I giocatori brasiliani
Djalma Santos, De Sordi e Gilmar se ne sono andati quasi insieme, fra
luglio e agosto scorsi, a meno di un anno dal mondiale che si
svolgerà nel loro paese. Componevano la retroguardia della squadra
che conquistò il primo titolo, quello del 1958 in Svezia. Re Gustavo
Adolfo voleva premiare personalmente i giocatori avversari che
avevano appena surclassato per 5-2 i padroni di casa ed era sceso in
campo per consegnare la Coppa Rimet nelle mani di capitan Bellini. Al
fianco di questi sorrideva e piangeva il mattatore della finale,
Pelè, realizzatore di una doppietta. In quattro partite aveva messo
a segno sei gol. Ma ciò non rappresentava un’impresa.
Accadeva per la prima
volta invece, e non sarebbe più successo in un mondiale, che a
segnare quei gol (di cui cinque fra semifinale e finale) fosse un
adolescente di 17 anni. In Italia, sulle prime, si faceva il tifo per
la Svezia dove giocavano da titolari gli ormai «italianizzati»
Liedholm (Milan), Hamrin (Padova), Skoglund (Inter), il centromediano
Gustavsson (Atalanta), Gren (ex-Milan). Non ci volle molto però a
restare deliziati dalle giocate di Pelè e compagni che quattro anni
dopo, in Cile, ridiventarono campioni del mondo battendo la
Cecoslovacchia 3-1.
La squadra del 1962 era
pressoché la stessa che aveva vinto in Svezia con Gilmar in porta e
Djalma Santos terzino destro. Ai verdeoro, in seguito, detentori di
cinque titoli, non sarebbe riuscito di vincere due campionati di
fila. Il Brasile del ’58 e del ’62 è ritenuto il più forte di
sempre. Soltanto due giocatori, Mauro e Zozimo, divenuti titolari,
erano subentrati in mediana a Bellini e Orlando. La formazione
vincente continuava a essere quella che i ragazzini mandavano
velocemente a memoria: Gilmar, Djalma Santos, Nilton Santos; Zito,
Mauro, Zozimo; Garrincha, Didì, Vavà, Pelè, Zagallo. In Cile il
selezionatore Moreira, succeduto all’oriundo napoletano-brasiliano
Vicente Feola, restò fedele a quegli undici in tutte e sei le
partite disputate. L’unica novità si chiamava Amarildo, che veniva
mandato in campo alla terza gara per sostituire l’infortunato Pelè.
Correvano gli anni del
Didì-Vavà-Pelè. Il trio centrale d’attacco, che si pronunciava
tutto d’un fiato, era sulla bocca degli appassionati di calcio e
non solo. In Italia riscuoteva successo un brano canoro, cantato dal
popolare Quartetto Cetra, il cui titolo veniva dato dai nomi (in
realtà dei soprannomi) di quel trio leggendario: «Vavà-Didì-Pelè».
Che era anche l’attacco della canzone, e che così proseguiva:
«…tre brasiliani neri neri come tre chicchi di caffè,
Vavà-Didì-Pelè; tre giocolieri cioccolata nel verde regno del
caffè, Vavà-Didì-Pelè… », eccetera.
Di quel trio è rimasto
Pelè. Quattro i superstiti che scesero in campo aimondiali del ’58
e del ’62: oltre alla «perla nera», il terzino sinistro Nilton
Santos, il mediano destro Zito, l’ala sinistra Zagallo. Il loro
calcio, con quel gioco che esaltava il «trio centrale d’attacco»,
oggi sembrerebbe un altro sport. Ormai passato alla storia.
“alias il manifesto”,
28 settembre 2013
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