Sopra il trono sedea di Pontedera,
siccome scrive il padre Sparagione,
un Re congiunto a un’orrida mogliera;
Lasagna ella chiamossi, ei Bischerone,
e gentil figlia avean che gran prurito
sentía, dove grattarsi è proibito.
Stava costei la sera e la mattina
or la madre, or il padre importunando
col dire: - Ahi! la mi prude! ahi! me
meschina!
Io piango, e ognor soccorso vi domando,
ma il piangere e il pregare è
inoperoso...
Ah! parmi averci un Mongibello ascoso.
-
Bischeron nelle spalle si stringea;
Lasagna suggeria: - Fai due fomente
d’acqua di malva alla pantasilea,
e passerà quel pizzicore ardente. -
Ma del calmante ad onta, il pizzicore
di giorno in giorno si facea maggiore.
E, tornando la madre a tormentare,
diceva:
- Voi mi date erba trastulla;
le vincere mi sento consumare...
Ho ventun anno, e son sempre
fanciulla...
Sentite; io vo’ accordarvi tempo un
mese,
e poscia al mio cervel darò le spese.
-
Lasagna Bischeron prese a quattr’occhi,
e disse: - Qui convien pensarci bene,
se non vogliam che scorno ce ne tocchi;
diamle marito. - Ei sollevò le
schiene,
e rispose: - Madonna, a me non tocca
batterla a questo e a quello in sulla
bocca.
E poi... fra questi Re circonvicini
veramente... non v’è nulla di buono!
Non vaglion, tutti insiem, sette
quattrini,
e ragazzacci scapestrati sono;
maritarla ad un suddito non voglio,
ché nol soffre l’onor del nostro
soglio.
Dunque...- Dunque, signore, è
necessario, -
Lasagna replicò, - darle marito... -
- Oh! voi m’avete rotto il tafanario!
-
esclamò Bischerone imbestialito...
- Uh! - rispose la moglie, - fate voi;
guardate non avervi a pentir poi! -
Ah!... - disse il Re più in calma, -
il pizzicore
che la figliuola nostra cosi abbrugia,
opra certo sarà di quel rancore
che ha contro me la fata Menandugia!
È un pezzo che costei, dall’odio
invasa,
fa dei dispetti alla regal mia Casa.
- Io non so s’è la fata o la natura,
-
disse Lasagna; - so ben che bisogna
darle marito, e farlo addirittura,
o, lo ripeto, avrem scorno e vergogna
poi... - State zitta, - disse il Re...
- melenso
non sono; eh cazzo! quando penso...
penso!
Da Re Bischerone
in Le novelle,
Feltrinelli, 1971
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