La locomotiva Fs 290 |
MILANO
Gli brillano ancora gli
occhi chiarissimi quando parla della «sua» 290, la locomotiva più
bella: mille cavalli, tre cilindri, 12 quintali di carbone per fare
72 chilometri, velocità massima 80 all’ora («ma in discesa verso
Milano arrivavamo anche a 100»). Giulio Acerbone compirà 93 anni il
prossimo giugno ma ad ascoltarlo sembra che per lui il tempo si sia
fermato a quegli anni ruggenti in cui, prima come fuochista e poi
come macchinista delle Ferrovie Nord, guidava quelle belve a vapore
da Milano a Laveno, da Como a Varese, da Castellanza a Valmorea.
Ricorda benissimo ogni
piccolo particolare della «290» di cui le officine Cesma di Saronno
avevano costruito solo quattro esemplari. E sì che, a quell’
epoca, di locomotive le Nord ne avevano ben 57 di sei diversi
modelli. «Ho iniziato nel 1931, a 15 anni, come fuochista - ricorda
Acerbone - ma prima ho lavorato con mio padre che era tubista nelle
officine di Saronno dove si riparavano le locomotive. Dopo pochi anni
sono diventato macchinista. Una vita nomade, con turni che duravano
anche 12 ore perché prima di partire bisognava preparare la
macchina, portare la caldaia in pressione e se poi partivi e il
manometro cominciava a scendere era una gran fatica a buttare carbone
con la pala, a stenderlo con la forca».
«Se c’era nebbia, e a
quei tempi ce n’era tanta, bisognava tenere la testa fuori per
vedere i segnali. Non esistevano binari per girare la locomotiva, da
Laveno a Milano si andava con la marcia indietro. Però era una bella
soddisfazione. I treni, soprattutto il sabato e la domenica, erano
strapieni. E la gente, arrivati in stazione, veniva a salutarti, ti
offriva il caffè. Si guadagnava anche bene: nel '43 io prendevo
mille lire al mese».
Poi un giorno, era il
'46, mandarono di colpo in pensione tutte le locomotive a vapore ed
entrarono in funzione i treni elettrici. «Io ho pianto quando le
hanno buttate via tutte», ricorda Acerbone sfogliando fotografie
ingiallite. Lui ha viaggiato ancora per molti anni («Ma i treni
elettrici erano tutta un’ altra cosa») poi nel 53 è diventato
capo deposito e nel 73 è andato in pensione. «Adesso - sorride - ci
sono bei treni, si lavora più sicuri, però i tempi di percorrenza
sono sempre gli stessi».
Corriere della Sera, 28
febbraio 2009
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