Quello
che segue è il secondo capitolo di un libro speciale, Andare per
la Sicilia dei Greci (Il Mulino, 2015), di Franco
La Cecla.
Il volume è inserito nella collana Ritrovare
l'Italia, che nelle intenzioni
degli editori dovrebbe comprendere guide molto particolari, veri e propri itinerari d'autore tra storia e cultura, utili per una conoscenza non
meramente turistica e consumistica del nostro paese. L'autore,
siciliano per nascita, è antropologo dai molti interessi e ha
insegnato nelle università di Berkeley, Bologna e Parigi.
Il libro
non è una nuova, magari originale, illustrazione di siti e
monumenti, ma il tentativo di ricavare dalle tracce lasciate dai
Greci in Sicilia, più numerose di quanto non si pensi e sovente
ignote agli stessi siciliani, un'idea del rapporto tra civiltà e
paesaggio. È, secondo me, un libro importante, che si può usare
come guida o leggere come un racconto, ma che in ogni caso produce
emozioni e propone domande sull'ieri, sull'oggi e sul domani.
(S.L.L.)
Chi
erano i Greci che arrivarono qui e perché vennero in Sicilia, cosa
facevano, cosa volevano, come vivevano e pensavano?
Sappiamo
che i Greci avevano già avuto contatti con la Sicilia in epoche
remote. Se Omero fa approdare Ulisse in Sicilia e gli fa accecare
Polifemo è perché non solo l’VIII secolo a.C., il tempo di Omero,
ma anche il tempo di Creta e della cultura minoica aveva con l’isola
scambi e amplissimi contatti. Quando i Greci di Atene e di Sparta
diventano una «potenza» marittima ed economica la civiltà cretese
è già scomparsa. Nell'VIII e VII secolo la forma di vita tipica dei
Greci è già delineata: una costellazione di città, di polis
alleate ma spesso in litigio e guerra tra di loro che utilizza il
mare come primo mezzo di comunicazione e si espande a oriente, in
Asia Minore, e a occidente, verso l’Italia e la Spagna. I Greci
vengono «decisamente» a stabilirsi in Sicilia tra VIII e VII setolo
a.C. Fondano delle colonie, ma la differenza tra il loro progetto in
Sicilia e altrove è grande. La Sicilia per i Greci è una terra
molto meno aspra e molto più fertile della Grecia. Qui è possibile
mettere a frutto il «modo di vivere» greco appieno e applicarlo a
una scala maggiore.
Chi
sono i Greci? Sono degli agricoltori, dei possidenti di terre che
costruiscono città. Il loro essere agiati farmers consente
loro di essere liberi per esercitarsi nell’unica vera attività che
considerano degna di un uomo, l’essere cittadini militanti di una
polis, fare della partecipazione alla vita politica della propria
città la loro principale occupazione. Hanno un’idea ben chiara
delle attività umane degne di nota, coltivare - anzi far coltivare
da schiavi - la terra, fare la guerra per difendere la propria polis
o per allargarne l’influenza, e partecipare direttamente alla vita
civica e politica. Se si spostano in Sicilia è per fondare città
indipendenti che abbiano un ricco circondario agricolo. Cosa sono le
polis? Sono dei «dispositivi» che consentono di far vivere insieme
con un progetto politico comune migliaia di persone, di cittadini -
in Sicilia si va da colonie che alla fondazione contano 10-15.000
persone a città che a volte si ingrandiranno fino a centinaia di
migliaia (come accadrà ad Agrigento/Akragas, Selinunte e Siracusa).
La campagna anche qui serve a rendere possibile la vita nella polis.
Questa è «fondata» e disegnata da esperti appositi che si chiamano
«ecisti» ed è da subito pensata come una città completa: con una
piazza difesa da un portico ombreggiato (stoà), un’agorà
dove gran parte dei cittadini possono riunirsi a discutere le
questioni riguardanti la vita della città, un teatro dove mettere in
scena tragedie e commedie che hanno a che fare con la grande
tradizione greca declinate direttamente con il presente che si sta
vivendo. La quarta istituzione della polis è il simposio, la forma
sociale che serve a creare coesione tra i cittadini attraverso un
convivio sostenuto dal consumare vino che ha spesso carattere erotico
e che è anche il luogo dove si canta e si improvvisa la poesia.
Queste
quattro istituzioni le troverete in ogni polis che visiterete in
Sicilia. La loro caratteristica sta nell’imporsi al preesistente,
le popolazioni locali come i Siculi, i Sicani, gli Elimi, gli
Etruschi che saranno spesso integrate e «conquistate» dalla maniera
greca di vivere. Nelle polis vivono i cittadini, ma anche i meteci
(gli stranieri) e gli schiavi con cui i Greci intrattengono un
rapporto complesso. Questi vengono incaricati del lavoro che i
cittadini non ritengono nobile, che sia l’artigianato o il
commercio. A volte gli schiavi diventano ricchi e si affrancano. Ma
il loro primo pensiero è comprarsi la terra e le armi che li fanno
diventare automaticamente cittadini. La guerra è l’attività a cui
tutti i cittadini sono chiamati. Un training specifico e particolari
istituzioni come l’efebia e il ginnasio formano le menti e
i corpi dei giovani all’essere cittadini modello e guerrieri. Essi
crescono formati da uomini adulti che ne diventano amanti e
precettori. Lo spirito di agonismo pervade però tutte le attività.
Per i coloni siciliani riuscire significa poter partecipare e vincere
alle attività agonistiche panelleniche (che si svolgono in
madrepatria, i giochi istmici, olimpici, pitici e nemei), corse di
quadrighe, atletica ma anche competizioni poetiche, di canto e
tragedie e commedie. Sono questi agoni insieme all’esercizio della
guerra a dare gloria a chi vi si impegna.
Per
capire quanto la Sicilia entri in un progetto di diffusione di una
ben precisa maniera di vivere vi basterà andare in giro per i siti
greci rimasti e notare quanto diversi essi risultino ancora oggi da
ciò che vi è intorno. I Greci hanno un grande progetto di
«civilizzazione» del mondo e lo portano avanti anche quando,
sconfitti, vedranno la loro potenza affievolirsi e sparire nelle mani
di Alessandro Magno o dei Romani. La Sicilia è il luogo per
eccellenza di questo esperimento che dura più di undici secoli. E un
esperimento «culturale» più che imperiale.
I
Greci vogliono diffondere la propria maniera di vivere come la
«migliore» e sono convinti che non ci sia bisogno di essere Greci
per assumerla come propria. Sarà il primo popolo nella storia con
una visione universalistica, con l’idea di una missione
civilizzatrice. Hanno una grande narrazione dietro le spalle,
l'Iliade e l’Odissea
di Omero, e avendo da poco scoperto la scrittura è attraverso le
forme di essa, lirica, epica, teatro, filosofia, storia, geografia,
matematica, che diffonderanno il proprio progetto universale. Per
questo girare per Greci in Sicilia non è un semplice turismo
archeologico, ma è il ritorno a un’origine del pensiero umano e
dell’attitudine umana a concepirsi come qualcosa di unico e allo
stesso tempo di comune a tutti i viventi. Non solo sono i primi ad
avere questa intuizione e questa ambizione, ma nella storia che
seguirà resteranno un raro caso. Essi stanno alla nostra origine di
europei come nessun’altra cultura che ci ha formato. La loro
«laicità», il loro spirito argomentativo che lascia al dubbio e
all’interrogativo sempre spazio, la loro voglia di verità
(aletheia,
una parola che viene dall’idea di guardare con chiarezza) è quanto
per secoli siamo andati cercando. La loro idea di democrazia che è
pagata a duro prezzo dai Greci stessi ma riconquistata spesso ai
tiranni che vogliono sostituirsi a essa è quella che continua a
interrogarci sulle forme del nostro vivere insieme. Infine il loro
senso del paesaggio, del costruire città, del rapportarsi al mare e
al cielo è quanto vivrete direttamente voi andando in giro con
questo libro per la Sicilia.
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