Se sapessimo di quale
universo di leggende i bianchi pennuti sono onorati protagonisti, non
guarderemmo più allo stesso modo le oche che ci capitasse di
incontrare. A dispetto delle pessime qualità che sono state loro
attribuite, fino a usarne il nome come sinonimo di dabbenaggine e
pochezza intellettuale, sono creature molto più affascinanti e
carismatiche di quanto non si creda. Tanto che, in molte culture
antiche, erano il simbolo di una regalità che si fondeva con il
divino, di un’innocenza primordiale, e di un’energia femminile
intrisa di fecondità e saggezza. Per esempio, il volo dell’oca
selvatica è al centro dell’esagramma “Il Progresso graduale”
de I Ching, Il libro dei mutamenti, e nella riga
culminante «le sue penne si possono adoperare per la sacra danza».
In molte fiabe della tradizione occidentale, l’oca presta le sue
ali potenti per i voli di ritorno dei protagonisti, come Hansel e
Gretel dopo l’uccisione della strega. Si rivela così maestra nella
difficile arte del ritorno, per cui spesso è necessario l’aiuto di
una guida.
Ma l’oca non partecipa
solo delle energie dell’aria: grazie alle solide zampe palmate,
anche gli elementi dell’acqua e della terra le sono congeniali. Sa
nuotare bene, e nel Medioevo il suo cammino goffo ma regolare spesso
affianca quello sacro dei pellegrini. Addirittura secondo alcuni
studiosi le conchiglie donate a chi ha compiuto il pellegrinaggio a
Santiago di Compostela sono modellate sul suo piede palmato, capace
di appoggiarsi solidamente al terreno, indicando la via iniziatica
verso il cielo. E nel Museo archeologico dell’Antica Capua è
raffigurato un cavallo che cavalca un’oca, a sua volta cavalcato da
Artemide. L’energia femminile si allea con la potenza maschile, per
sostenere la dea cacciatrice, sovrana di una forza primordiale che
unisce l’umanità al cosmo.
Insomma, questi e molti
altri casi nella fiaba e nel mito fanno pensare che, se esiste da
tempo immemorabile un gioco ispirato a questo bianco volatile. è
perché attinge a un universo di archetipi, vasto quanto le culture
del pianeta che accomuna. Roberta Borsani, studiosa dell’immaginario
della fiaba, in Sul dorso di un’oca. Il simbolismo iniziatico
del Grande Gioco (Moretti&Vitali) ci offre un’analisi
sorprendente, fondata su cultura poliedrica e ottima capacità
comunicativa, delle sessantatre (o novanta, in alcuni casi) caselle
di questo gioco antico. Caselle che rappresentano nel loro insieme il
percorso della vita umana. Essendo per sua natura affidato al caso,
grazie al lancio dei dadi, il gioco dell’oca induce a riflettere
sulla nostra condizione, in cui ha un ruolo dominante ciò che sfugge
al nostro controllo. Potrebbe quindi aiutarci a sviluppare la
capacità di accettazione del destino e dei suoi imprevisti e una
virtù ormai rara, la pazienza. Tutto fa pensare che non sia nato per
puro intrattenimento. Le sue caselle contengono spunti per la
riflessione e misteri: il ponte, simbolo di passaggio, crescita
spirituale e rischio; la locanda, simbolo di trasformazione fisica,
legata alle gioie del corpo; il pozzo, con il suo contenuto nascosto
di acque sotterranee, simbolo dell’incontro iniziatico con le
energie primordiali che innescano la vita. E il centro del tortuoso
percorso, in cui si trova l’immagine degli sposi felici,
simboleggia la meta del viaggio della vita stessa: il ritorno alla
casa che è anche il punto di partenza, l’origine da cui tutto
proviene, «la beata unità che si irradia nella molteplicità».
“Avvenire”, 15
novembre 2015
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