Carlo Collodi |
Dopo la prima edizione del 1857, toma a
disposizione del pubblico degli specialisti e dei curiosi quest'opera
minore del creatore di Pinocchio (I
misteri di Firenze, Salani,
1988). Il titolo riecheggia il capolavoro (sui generis) di
Eugene che ebbe varianti più o meno originali (a Londra e a Genova,
a Monaco e a Milano, a Marsiglia e a Napoli) e imitatori più o meno
luminosi (Féval e Sauli, Balzac e Barrili, Zola e Mastriani). I
Misteri, in qualsivoglia città d'Europa indagati, si
caratterizzavano per l'ambientazione realistica e labirintica, per
l'esotismo della porta accanto e dell’isolato più in là, per
l'intreccio apparentemente immotivato di disgraziate vicende private
tutte palesemente false e eccessive eppure tutte credibilmente
intrise di vissuto.
Non cosi i Misteri di Collodi
che, a metà della fatica, non ne poté più e in tre pagine
memorabili provò a spiegare che Firenze è troppo piccola e i suoi
cittadini tutti reciprocamente noti tra loro perché vi sia qualcosa
di realmente misterioso (il mostro di Scandicci era ancora di là da
venire) e che, alla fine, il suo libro, di veramente misterioso,
altro non ha che la ragione per la quale l'autore vi aveva messo
mano.
Che cosa rimane, allora, al lettore?
Una gustosissima ed elegantissima «messa in forma» linguistica, in
cui il dialettale è giustapposto all'internazionale e il curiale al
gergale, in una pirotecnica babele brillantemente dominata dal
burattinaio toscano. E l'anticipazione, se si vuole, di una lingua
che troverà perfezione e compimento nel Pinocchio,
testo nel quale confluiranno anche intere pagine di
quest'opera. Opera che, presentata come
primo volume per solleticare attese nel pubblico dell'epoca, cadde
nel più indifferente dei silenzi e non ebbe mai seguito. La sua
riedizione attuale ne premia, sia chiaro, il solo valore documentale.
“l’Unità”, 5 ottobre 1988
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