22.7.17

Erasmo e il suo biografo (Maria Corti)

È difficile trovare una figura di intellettuale che abbia in sé tutta la forza di attualità che ha oggi Erasmo da Rotterdam. I temi smaglianti che dominano nelle sue opere, fra loro concatenati, sono: europeismo, pacifismo, antifanatismo, riforma dei costumi, coscienza della funzione dell’intellettuale, rispetto dell’intellettuale da parte dei politici. Esiste qualcosa di più desiderabile oggi in tutti i paesi del mondo?
Allora si può ben capire che attratto a scrivere la biografia di Erasmo sia stato proprio l’austriaco Stefan Zweig, che nei primi decenni del Novecento fu in Europa l’interprete di una cultura cosmopolita, fondata sulla fiducia nella ragione e sull’ideale erasmiano di fratellanza di tutti i popoli. Nato a Vienna nel 1881, Zweig visse un po’ come Erasmo in tutti i paesi d’Europa finché nel 1940 per sfuggire alla persecuzione razziale si rifugiò negli Stati Uniti, indi in Brasile; e qui, non tollerando l’avanzata dei nuovi barbari, i nazisti, nel 1942 si tolse la vita: suicidio che si configura l’ultimo drammatico messaggio di un intellettuale libero.
Autore di romanzi, drammi, opere di critica e di poesia, Zweig predilesse il genere biografia e soprattutto le vite di personaggi in qualche modo inquietanti sulla scacchiera della società: Maria Antonietta, Maria Stuarda, Magellano ecc. In quanto scrittore in proprio, prima che biografo, Zweig percepisce le voci degli uomini che dietro la sostanza intellettuale del protagonista vivono, soffrono, divagano e le raccoglie dentro la biografia come in un magico archivio universale dell’umanità. Zweig è l’incarnazione della genialità biografica. Ora, per felice scelta editoriale, è possibile leggere in italiano la biografia erasmiana: Stefan Zweig, Erasmo da Rotterdam, traduzione di Lavinia Mazzucchetti (Rusconi).

L a verità ha molti colori
Erasmo si può considerare nella storia d’Europa il primo letterato teorico del pacifismo: in un secolo attraversato, in tutte le direzioni, da continue guerre, egli scrisse ben cinque saggi dal 1504 al 1516 contro la guerra, rivolti a re, vescovi, imperatori, popoli. Famoso quello edito negli Adagia e dal mirabile titolo Dulce bellum inexpertis («dolce è la guerra per quelli che non la conoscono»); nel 1517 pubblicò la famosa Querela («Lamento della pace respinta e schiacciata da tutte le nazioni») in cui riprende il punto di vista ciceroniano «una pace ingiusta è sempre migliore della guerra più giusta», in quanto gli effetti della guerra ricadono sulla massa che non l’ha voluta, donde la riflessione erasmiana che l’idea stessa di guerra è incompatibile, inconciliabile con l’idea di giustizia.
E qui la mente lucida e razionalissima di Erasmo comincia coi distinguo: vi è forse una nazione che ha tutte le ragioni e un’altra tutti i torti? Ciò è privo di senso, va bene solo per i politici i quali non vogliono vedere che la verità è un tessuto pluricolorato e cangiante, non per un intellettuale. A questo punto Erasmo e il suo biografo hanno il coraggio di affermare che «in caso di guerra gli intellettuali e i dotti di tutte le nazioni non dovrebbero rompere la loro amicizia. Il compito loro non dovrà mai consistere nel rafforzare i contrasti di opinione fra popoli, razze o classi con zelante partigianeria, ma di perseverare irremovibili nella pura sfera dell’umanità e della giustizia».
Ovviamente da un’umanità così poco simpatizzante per la ragione e quindi per le soluzioni supernazionali, Erasmo fu ostacolato, apertamente e subdolamente combattuto, ingiuriato; ma la sua elegante imperturbabilità di vero saggio non venne per niente scalfita. Anzi il bla-bla delle parti e dei partiti, le esperienze dirette della «incorreggibile sragionevolezza» umana lo sollecitarono a comporre quel delizioso pamphlet che si intitola nella traduzione italiana Elogio della pazzia, buttato giù in sette giorni a Londra nella villa di campagna di Tommaso Moro e destinato a terremotare i terreni dell’autorità. L’idea portante è geniale e con la sua ambiguità mette al sicuro l’autore: la Stultitia o Follia, figlia di Plutone dio della ricchezza, parla dalla cattedra in prima persona e tesse con la figura del paradosso l’elogio di se stessa: qui Erasmo ha il coraggio di offrire un antimodello sociale, la salutare Follia creativa, «l’erba della Pazzia che dà la sete dell’eternità», dirimpetto all’altra Follia satireggiata per la sua presunta saggezza che, in sostanza, non è altro che stupidità, incapacità di cogliere i veri nessi, i nuovi nessi sottili fra le cose del mondo.
È meraviglioso che sia l’uomo più razionale del Rinascimento europeo a levare un inno alla Follia, a compiere un’operazione satirica così inquietante. Devono passare alcuni secoli e verrà Musil col suo Discorso sulla stupidità del 1937 a dirci: «Signori e Signore, chi al giorno d'oggi abbia l’audacia di parlare della stupidità corre gravi rischi: lo si può interpretare infatti come arroganza, o addirittura come tentativo di disturbare lo sviluppo della nostra epoca». Ma sia Erasmo che Musil non furono ascoltati; scoppiarono le guerre europee nel Cinquecento, scoppiò l’antisemitismo e poi la seconda guerra mondiale nella Germania nazista.
Più originale nelle sue forme lo scontro Erasmo-Lutero, due personalità grandiose situabili a distanze stellari, sicché il farli contemporanei sul nostro pianeta e nella piccola Europa fu un affascinante colpo di dadi di quel giocatore d’eccezione che è il destino. Se Erasmo ha aperto la strada ai postulati più radicali della Riforma con il suo Enchiridion militis christiani («Manuale del milite cristiano»), con l’edizione del testo originale greco del Nuovo Testamento divergente dalla Vulgata (o Bibbia cattolica) e con alcuni scritti anticlericali, tuttavia lo scontro fra i due era alla resa dei conti culturali inevitabile. Diamo la parola allo scrittore Zweig, di cui è ammirabile lo stile sintetico, quasi lapidario: «Nella carne e nel sangue, nella norma e nella forma, per ingegno e contegno, dall’aspetto esteriore fino alla fibrilla più interna, in tutto essi appartengono a due tipi diversi ed ostili: l’indulgenza di fronte al fanatismo, la ragione contro la passione, la cultura contro la forza primigenia, l’internazionalismo contro il nazionalismo, l’evoluzione contro la rivoluzione».
Se fosse qui fra noi, Erasmo ci suggerirebbe di evitare il famigerato fanatismo nel giudicare il conflitto fra lui e Lutero; e seguiremo la sua lezione. È certo però che Erasmo, questo incredibile monaco agostiniano, con la chiarezza cristallina del proprio ingegno rappresenta il dramma sottile dell’intellettuale che vede un’idea giusta trasformarsi mostruosamente in fanatismo intransigente, un linguaggio rigoroso e lucido in altro sanguigno e demagogico, il tono basso di voce in verità urlata.

Quando la pazzia diventa universale
È interessante notare come tutti, politici e artisti, religiosi dell’una e dell’altra sponda, compreso Lutero, cercassero di avere Erasmo dalla loro parte; un uomo indipendente è l’insegna più desiderata per i partigiani di un’idea. Ma Erasmo con sublime astuzia non venne mai a patti, a costo di rompere con la Riforma luterana dopo averne favorito con la sua indiscussa autorità la nascita nel 1520. Uomo profondamente riformista, ha sospetto delle rivoluzioni per quello che a distanza possono produrre: «Qui sono. Non posso altrimenti» è un suo motto storico. Né ci deve stupire che per alcuni anni, quelli caldi della nascita della Riforma, Erasmo sia stato bersaglio, in quanto uomo libero, appartato, indipendente, sia dei papisti sia dei riformisti, e abbia vagato vecchio fra Lovanio e Basilea in cerca della pace delle biblioteche, dove poter scrivere a suo agio nuovi libri. Solo pochi intellettuali, fra cui Melantone, intesero l'asciutta desolazione di un’intelligenza che chiedeva solo il consenso di muoversi liberamente. Le nature fatte per comprendere (come quella di Erasmo) non sono quelle fatte per agire.
Vi sono in questa biografia dei brani dove la simbiosi Erasmo-Zweig è perfetta; il biografo allora parla del biografato o di sé? Eccone un esempio vistoso: «In tali istanti spaventosi di pazzia generale e di universale partigianeria, la volontà del singolo è impotente. Vanamente l’uomo dello spirito si rifugia nella sfera appartata del pensiero: l’ora del presente lo sospinge nel tumulto a destra o a sinistra, con l’una o con l’altra schiera, con l’una o con l’altra bandiera; nessuno allora fra i milioni di combattenti avrà bisogno di maggior coraggio, di maggiore energia, di maggior fermezza morale che l’uomo neutrale, il quale si rifiuti di soggiacere a ogni cieca follia della massa. Qui comincia la tragedia di Erasmo».
Ma qui, aggiungiamo noi, comincia anche la tragedia di Stefan Zweig e di molti intellettuali liberi.

"la Repubblica", 29 gennaio 1982

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