23.7.17

A pranzo con Pertini. Buon appetito, signor Presidente (Giorgio Bocca)

ROMA
Pranzo al Quirinale con il presidente Pertini. L'ho preso in parola: "Se vieni a Roma, diceva, ti offro un piatto di spaghetti". Niente male la vecchia casa dei papi e dei re e questo sentirci intrusi-padroni: come mai, Sandro, siamo qui, noi borghesucci provinciali, a mangiare nella casa dei papi e dei re? Lui ci si è abituato, ma io percorrendo sale e saloni mi chiedevo se salutassero davvero me, portando la mano all'elmo, quei corazzieri con le teste piccole a uovo, sopra corpi enormi-difformi, da specie estinta, da araba fenice.
Niente male guardare dalle grandi finestre i vapori luminosi dell'inverno romano, i giardini, i viali di ghiaia pulita su cui scivolano nere e silenziose le automobili dei ministri e degli ambasciatori; stare in queste stanze dove il potere è ancora metafisico, ancora "per volontà di Dio e della nazione", anche se non sta scritto nella costituzione repubblicana.
Niente spaghetti, brodo in tazza, risotto alla pescatore e tovaglioli fiandra di lino, lisci e pesanti, il grande orologio sveglia di Luigi XIV, gli arazzi Gobelins invidiati da Giscard e il silenzio del grande palazzo in cui però ti giunge, non so come, il fruscio dei fogli, il rumore attutito dei passi, il muoversi cauto di funzionari, servitori, cuochi di questo luogo in cui lo Stato si rappresenta e si rispetta, sul colle del Quirinale, inaccessibile, a dio piacendo, all'Italia del "fast food" e dei tovagliolini di carta.
Il presidente è di buon appetito e di conversazione sonante ed ha la facoltà dei patriarchi di raccogliere un argomento o di lasciarlo cadere, come gli aggrada e di parlare di sé, del mondo, di anni remoti o vicini, di episodi attuali o del 1919, in quel modo pacatamente definitivo di chi non ha più dubbi da risolvere, incertezze da placare, timor del mondo da vincere. C'è in questi patriarchi una tendenza all'essenzialità: un altro illustre presidente, Luigi Einaudi, si era convinto che la buona prosa dovesse fare a meno di ogni aggettivo; Pertini, lui torna sempre a quei tre quattro fondamenti: i giovani, la pace, la classe operaia dentro lo Stato. Ma ha ancora il gusto di condirli con il pepe e il sale delle ironie, delle dissacrazioni, delle frecciate agli uomini del palazzo, non il suo, quello dei partiti, dei finanzieri, degli imprenditori, dei sindacati, l'establishment, come lo chiamano.
E qui se ne è tolte di soddisfazioni in questi anni, il vecchio Sandro. L'entrata nella casa dei papi e dei re deve avergli fatto capire, in modo certo, che possedeva qualcosa che a molti signori del palazzo mancava, niente di trascendentale, eppure decisivo: la coscienza e le tasche pulite. Ce n'erano, ce ne sono di più sapienti di lui nelle machiavelliche del potere, ma pochi, pochissimi che come lui abbiano fatto nel momento giusto quel che andava fatto, pagato quel che si doveva pagare. "Ero contro la guerra sai, nel 15, quando tu non eri ancora nato. Fermamente contro. Ma, che diamine!, quando mi hanno dato il comando di una compagnia di mitraglieri non mi sono tirato indietro, non mi sono imboscato". Sì Pertini non si è mai tirato indietro, né quando è andato in galera, né quando nella Roma liberata dagli americani c'era da sistemarsi al governo o nel partito: lui ha preso su le sue quattro cose e ha raggiunto i partigiani del nord. E poi in prima fila nelle lotte per la Repubblica. Niente di eccezionale, ma credete che sia così facile trovarne un altro così?
Camerieri in giacca bianca versano Ferrari brut nei nostri calici ma il presidente vuole anche il rosso "che fa bene al raffreddore". Lui parla, sonante, dei suoi fondamenti, i giovani, la pace, la classe operaia ma a un tratto il monologo presidenziale si blocca cogliendomi in un piacevole torpore da Valpolicella d'annata: "Perché non me lo chiedi?". Che cosa Presidente? "Furfante, ti conosco, perché non mi chiedi se il discorso di Capodanno agli italiani sarà l' ultimo mio dal Quirinale?". Non te lo chiedo perché sono un cittadino rispettoso e perché non posso neppure dirti, come tua moglie, che se ti ripresenti, divorzio. "Ah, canaglia, tu ce l' hai con me da sempre ma io ti stimo. Te lo direi, sai, ma non posso, qualsiasi cosa dicessi adesso sarebbe male interpretata. Tu cosa ne pensi?".
Pertini è ligure e i liguri, a volte, fanno gli occhi a fessura come i finti marinai e i veri contadini che sono. Presidente hai una bellissima finestra, credo che nei prossimi mesi ti piacerà guardare quel che succede là in basso. "Cosa hai detto? Ti piace questo rosso?". Presidente, il furfante che hai invitato a pranzo vorrebbe farti domande da furfante. Ma tu dove l'hai imparata l'arte eccelsa delle pubbliche relazioni? L'uso stupendo dei mass media? "Che dici?". Presidente, ricordi quelle incredibili ore di attesa a Vermicino, mentre cercavano di salvare il bimbo sepolto vivo? E il viaggio in aereo con la salma di Berlinguer, il padre che riporta a casa il figlio morto? Il presidente né si arrabbia né lascia completamente cadere. Ci pensa su e poi gli viene da sorridere: "Sai cosa ha detto il moccioso? No, non scriverlo che si offende. Dunque Martelli dice che se i comunisti hanno guadagnato due punti alle elezioni, uno è per la morte di Berlinguer, l'altro perché io l' ho riportato a casa in aereo, come un padre. Allora un giorno dico al moccioso e a Craxi: "voi due fate una cosa, tornate a Verona, suicidatevi sulla tomba di Giulietta e io vi riporto a Roma in aereo"". Hanno fatto le corna, presidente? "No, le corna le faceva un altro inquilino di questo palazzo, ma non farmi parlare".
Presidente ma come è nata questa tua grande amicizia con il papa? Qualcuno pensa che tu, socialista, un tempo rivoluzionario, esageri un po' nella lode di questo papa controriformista. "Che qualcuno, furfante? Lo hai scritto tu su "L' Espresso", tu ce l'hai sempre avuta con me". Presidente sono in casa tua, trattami bene. Lo coglie di nuovo, annunciata da un sorriso, la voglia dell'aneddoto malizioso: "Sai cosa feci quando arrivò la notizia che avevano ferito il papa? Chiamai Maccanico e gli dissi: subito la macchina, andiamo al Gemelli. Stavano ancora operandolo ed ero lì da cinque minuti quando arriva trafelato Flaminio Piccoli con il seguito. Mi vede e sbotta: "Ma sei già qui?" Non scriverlo, mi raccomando, ma che fai? Scrivi? Su prendi un bicchierino, di grappa, te l'offre un tuo concittadino". Ma tu non sei di Savona? "Cittadino onorario di Cuneo e adesso dottore honoris causa di Ox... no questo non te lo posso proprio dire. E pensare che ero il brutto della famiglia".
Perché brutto? Credevo fossi uno dei meglio del paniere socialista. "Eh, tu non hai conosciuto i miei fratelli. Pippo era alto e grosso come una casa. Quando mi vedevano mi dicevano: "vegna chì, brutu". Così quando arrivavano con gli amici io mi presentavo "mi sun u brutu". Ma tu, furfante, perché hai scritto che la gita con il Papa sull'Adamello è costata ottocento milioni?". No, presidente, io non l'ho scritto, ho detto solo che tu lodi il papa controriformista. "La religione è una cosa sua, io non ci metto naso, io sono laico, ma lui mi è amico e io gli sono amico". Presidente che cosa ti ha detto Agnelli quando gli hai raccomandato i licenziati della Marelli? "Che avrebbero dovuto accettare la cassa integrazione". Mica una idea cattiva, così li paga lo Stato. "Cosa dici brigante?". Dico che questi commercianti che non vogliono pagare le tasse a volte mi mettono una certa paura di fascismo. "Ma no, ma no, fascisti no". Però la corda la tirano Presidente. "Sì la tirano".
È vero, Presidente, che tua moglie è una femminista e che quando manda gli inviti per la festa della Repubblica li indirizza così: Signora Musatti e consorte, signora Momigliano e consorte? "Ma via, mi fai anche il pettegolo?". Perché no, Presidente. Siamo soli, una volta mi hai detto che qui non ci sono microfoni, solo tintinnii dei cristalli dai lampadari. E allora, dimmi, è vero che l'altro giorno quando hai incontrato Spadolini a una cerimonia gli hai detto: "Come stai ciccione?". "Ma cosa dici, come mi permetterei? Lui però mi ha risposto: "Ma se sono dimagrito"".
Andiamo nel salotto per il caffè. Il presidente si è messo a raccontare di Giorgione Amendola e di quando si incontrarono a Milano durante la Resistenza nella piazza dove c'è il Cristo con le braccia aperte, o l'angelo. Piazza Indipendenza, Presidente. "Sì, va bene e lui mi disse: "sei tu che hai scritto su l'Avanti! contro la svolta di Salerno". E mi stava addosso enorme".
Ora è tempo di sonnellino casalingo. I servitori affettuosi aiutano il presidente a infilare il cappotto, guardie e corazzieri lo salutano come un amico mentre sale in auto.
"Buon Natale, furfante", mi dice. Buon Natale, Presidente.


“la Repubblica”, 16 dicembre 1984  

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