5.6.18

Al mercato nero 250 mila dollari per un rene: i grandi affari dei mercanti di organi (Antonio Maria Costa)


Dall’America Latina all’Europa dell’Est 
le rotte del commercio illegale dei trapianti. 

In Cina mutilati i condannati a morte, 
amputazioni tra i migranti del Mediterraneo
Non c’è maggiore generosità. Un benefattore dona un proprio organo a qualcuno la cui sopravvivenza dipende dal suo trapianto. Un altro samaritano autorizza nel testamento l’espianto di una parte del proprio corpo, post-mortem. Gesti ripetuti nel mondo migliaia di volte l’anno: generosi, ma non sufficientemente frequenti. L’organizzazione Onu per la salute (Oms) stima che in Europa, Usa e Cina si trapiantino annualmente circa 20 mila organi, con una spesa aggregata di 1 miliardo di dollari l’anno in ciascuna regione (3500 trapianti in Italia nel 2015). Eppure le liste di attesa attestano una richiesta aggregata di 100 mila organi. In media, il fabbisogno è 5-8 volte superiore alla disponibilità.
Con la maggioranza della domanda di organi insoddisfatta, le opportunità di arricchimento, per chi non teme sanzione terrena né celeste, sono illimitate. L’umanità è trasformata in un immenso giacimento di tessuti organici, dal quale si estraggono reni, cornee, fegato, pancreas e, persino cuore e polmoni – offerti a prezzi esorbitanti, che riflettono l’ansia di pazienti disposti a pagare qualsiasi ammontare pur di avere l’innesto necessario alla sopravvivenza.
A sfruttare la miniera umana ci pensa la mafia internazionale, assistita da agenzie di viaggio, società di trasporto ed enti sanitari. Pur di lucrare sulla disgraziata necessità di malati ricchi, professionisti in camice bianco (chirurghi, anestesisti e urologi) non esitano a causare la diminuzione permanente nella condizione fisica del donatore – inevitabilmente povero e spesso involontario. I guadagni ammontano a 15-20 volte il capitale investito. All’espianto un organo vale 5-10 mila dollari. Il suo prezzo al trapianto raggiunge i 70-100 mila dollari, fino a 250 mila, a seconda dell’organo e soprattutto della lunghezza della lista di attesa.
Il terzo protocollo Onu contro la criminalità organizzata (la convenzione di Palermo), sanziona le origini criminali degli organi immessi sul mercato: movimenti migratori rendono i soggetti vulnerabili ad amputazioni forzate (i casi scoperti nel Mediterraneo); violenza su manodopera coatta per indurla a donare una parte del corpo; cessione contrattuale di un organo mai remunerata (in Africa); espianto forzato a degenti in ospedale per altra terapia (America Latina). Notorio è poi il commercio di organi asportati da avversari politici spariti nel nulla, da prigionieri di guerra appositamente assassinati (nei Balcani), e da cadaveri di condannati a morte (in Asia). Quando l’espianto è volontario, le vittime sono generalmente giovani, indigenti e inconsapevoli dei rischi: riduzione permanente dell’attività fisica a seguito dell’amputazione, inadeguata cura post-chirurgica, e condizioni psico-fisiche degradate fino alla morte.

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La Convenzione del Consiglio d’Europa in materia (2014), protegge il sacrosanto diritto al trapianto eseguito rispettando le procedure. Eppure internet, che pubblicizza disponibilità, ubicazione e prezzi, mostra la globalità del contrabbando di organi. Informazioni desunte da Lexis/Nexis, MedLine e PubMed, oltre che da comuni motori di ricerca mostrano 2000 innesti illegali di reni in Pakistan negli ultimi anni, 3000 nelle Filippine, 500 in Egitto e diverse centinaia, recentemente, in Moldavia.
L’industria del trapianto consiste in una catena logistica dove l’efficienza nel raccordo tra donatore e recettore, sono fondamentali. Le opzioni sono tre: il donatore raggiunge il malato; oppure quest’ultimo e i suoi medici viaggiano per incontrare il donatore; oppure l’organo è trasportato tra i due. Problemi di frontiera (visti d’ingresso) ostacolano la prima opzione: i donatori dal terzo mondo hanno difficoltà nel raggiungere i malati nei paesi ricchi. Il terzo caso è più frequente ora, grazie alla migliore farmacologia anti-rigetto. La seconda opzione, nota come turismo del trapianto, coinvolge il malato e i suoi professionisti: l’intera squadra raggiunge il donatore, complici autorità corrotte, al fine di ridurre il rischio di deterioramento dei tessuti nel trasporto.

I profitti nelle cliniche
In Kosovo, il cui primo ministro è accusato di omicidi di prigionieri serbi a scopo di trapianto, diversi medici sono stati identificati per innesti illegali da vittime russe e moldave. In Sudafrica centinaia di trapianti illegali su ricchi occidentali hanno accumulato un profitto milionario in cliniche locali. In Usa recenti indagini hanno identificato 110 trapianti su cittadini americani, eseguiti in 18 paesi esteri.
Susumu Shimazono, il maggiore esperto in materia, stima che il 10% dei trapianti effettuati nel mondo comportano organi trafficati, con il coinvolgimento di malati di oltre 100 nazionalità: 700 dall’Arabia Saudita, 450 da Taiwan, 131 in Malesia, migliaia da Australia e Giappone. Pur se orrende, queste sono probabilmente una sottovalutazione: qualche anno addietro, nella sola Cina sono stati fatti 11 mila espianti da cadaveri di condannati a morte (molteplici asportazioni dallo stesso corpo sono comuni).
I Principi Guida dell’Oms sanciscono che «il corpo umano, e ogni parte di esso, non possono essere fonte di lucro». In ossequio, i paesi non sanzionano né donatori, che perdono parte del corpo, né recettori, per lo più inconsapevoli dell’approvvigionamento clandestino dell’organo. Il destinatario delle sanzioni è l’intermediario criminale che, con inganno o violenza, mercifica il corpo umano. I trafficanti di migranti nel Mediterraneo sono tra essi.

“La Stampa”, 11 luglio 2016

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