Dall’America
Latina all’Europa dell’Est
le rotte del commercio illegale dei
trapianti.
In Cina mutilati i condannati a morte,
amputazioni tra i
migranti del Mediterraneo
Non c’è maggiore
generosità. Un benefattore dona un proprio organo a qualcuno la cui
sopravvivenza dipende dal suo trapianto. Un altro samaritano
autorizza nel testamento l’espianto di una parte del proprio corpo,
post-mortem. Gesti ripetuti nel mondo migliaia di volte l’anno:
generosi, ma non sufficientemente frequenti. L’organizzazione Onu
per la salute (Oms) stima che in Europa, Usa e Cina si trapiantino
annualmente circa 20 mila organi, con una spesa aggregata di 1
miliardo di dollari l’anno in ciascuna regione (3500 trapianti in
Italia nel 2015). Eppure le liste di attesa attestano una richiesta
aggregata di 100 mila organi. In media, il fabbisogno è 5-8 volte
superiore alla disponibilità.
Con la maggioranza della
domanda di organi insoddisfatta, le opportunità di arricchimento,
per chi non teme sanzione terrena né celeste, sono illimitate.
L’umanità è trasformata in un immenso giacimento di tessuti
organici, dal quale si estraggono reni, cornee, fegato, pancreas e,
persino cuore e polmoni – offerti a prezzi esorbitanti, che
riflettono l’ansia di pazienti disposti a pagare qualsiasi
ammontare pur di avere l’innesto necessario alla sopravvivenza.
A sfruttare la miniera
umana ci pensa la mafia internazionale, assistita da agenzie di
viaggio, società di trasporto ed enti sanitari. Pur di lucrare sulla
disgraziata necessità di malati ricchi, professionisti in camice
bianco (chirurghi, anestesisti e urologi) non esitano a causare la
diminuzione permanente nella condizione fisica del donatore –
inevitabilmente povero e spesso involontario. I guadagni ammontano a
15-20 volte il capitale investito. All’espianto un organo vale 5-10
mila dollari. Il suo prezzo al trapianto raggiunge i 70-100 mila
dollari, fino a 250 mila, a seconda dell’organo e soprattutto della
lunghezza della lista di attesa.
Il terzo protocollo Onu
contro la criminalità organizzata (la convenzione di Palermo),
sanziona le origini criminali degli organi immessi sul mercato:
movimenti migratori rendono i soggetti vulnerabili ad amputazioni
forzate (i casi scoperti nel Mediterraneo); violenza su manodopera
coatta per indurla a donare una parte del corpo; cessione
contrattuale di un organo mai remunerata (in Africa); espianto
forzato a degenti in ospedale per altra terapia (America Latina).
Notorio è poi il commercio di organi asportati da avversari politici
spariti nel nulla, da prigionieri di guerra appositamente assassinati
(nei Balcani), e da cadaveri di condannati a morte (in Asia). Quando
l’espianto è volontario, le vittime sono generalmente giovani,
indigenti e inconsapevoli dei rischi: riduzione permanente
dell’attività fisica a seguito dell’amputazione, inadeguata cura
post-chirurgica, e condizioni psico-fisiche degradate fino alla
morte.
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La Convenzione del
Consiglio d’Europa in materia (2014), protegge il sacrosanto
diritto al trapianto eseguito rispettando le procedure. Eppure
internet, che pubblicizza disponibilità, ubicazione e prezzi, mostra
la globalità del contrabbando di organi. Informazioni desunte da
Lexis/Nexis, MedLine e PubMed, oltre che da comuni motori di ricerca
mostrano 2000 innesti illegali di reni in Pakistan negli ultimi anni,
3000 nelle Filippine, 500 in Egitto e diverse centinaia,
recentemente, in Moldavia.
L’industria del
trapianto consiste in una catena logistica dove l’efficienza nel
raccordo tra donatore e recettore, sono fondamentali. Le opzioni sono
tre: il donatore raggiunge il malato; oppure quest’ultimo e i suoi
medici viaggiano per incontrare il donatore; oppure l’organo è
trasportato tra i due. Problemi di frontiera (visti d’ingresso)
ostacolano la prima opzione: i donatori dal terzo mondo hanno
difficoltà nel raggiungere i malati nei paesi ricchi. Il terzo caso
è più frequente ora, grazie alla migliore farmacologia
anti-rigetto. La seconda opzione, nota come turismo del trapianto,
coinvolge il malato e i suoi professionisti: l’intera squadra
raggiunge il donatore, complici autorità corrotte, al fine di
ridurre il rischio di deterioramento dei tessuti nel trasporto.
I profitti nelle
cliniche
In Kosovo, il cui primo
ministro è accusato di omicidi di prigionieri serbi a scopo di
trapianto, diversi medici sono stati identificati per innesti
illegali da vittime russe e moldave. In Sudafrica centinaia di
trapianti illegali su ricchi occidentali hanno accumulato un profitto
milionario in cliniche locali. In Usa recenti indagini hanno
identificato 110 trapianti su cittadini americani, eseguiti in 18
paesi esteri.
Susumu Shimazono, il
maggiore esperto in materia, stima che il 10% dei trapianti
effettuati nel mondo comportano organi trafficati, con il
coinvolgimento di malati di oltre 100 nazionalità: 700 dall’Arabia
Saudita, 450 da Taiwan, 131 in Malesia, migliaia da Australia e
Giappone. Pur se orrende, queste sono probabilmente una
sottovalutazione: qualche anno addietro, nella sola Cina sono stati
fatti 11 mila espianti da cadaveri di condannati a morte (molteplici
asportazioni dallo stesso corpo sono comuni).
I Principi Guida dell’Oms
sanciscono che «il corpo umano, e ogni parte di esso, non possono
essere fonte di lucro». In ossequio, i paesi non sanzionano né
donatori, che perdono parte del corpo, né recettori, per lo più
inconsapevoli dell’approvvigionamento clandestino dell’organo. Il
destinatario delle sanzioni è l’intermediario criminale che, con
inganno o violenza, mercifica il corpo umano. I trafficanti di
migranti nel Mediterraneo sono tra essi.
“La Stampa”, 11
luglio 2016
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