11.6.18

Sessantotto. La contestazione in parrocchia e altrove (don Andrea Gallo)

Ricordi vivi e impressioni scolpite nel cuore, propositi, sicurezze e incertezze, sogni... mai illusioni. 
Chi vuole affrontare onestamente il ’68, analisi dopo analisi vedrà emergere autenticità, unicità, novità senza esaltazioni arbitrarie e incomprensioni malevoli.
Ho partecipato attivamente nel 2001 al G8 di Genova.
Migliaia e migliaia di giovani che «camminano domandando». Gioiosamente e pacificamente ho sfilato lo scorso novembre a Genova. Oltre 60 mila giovani in marcia. Perché ancora capri espiatori? Dov'è la commissione parlamentare d'inchiesta sul G8?
A Vicenza col presidio permanente Dal Molin una festa continua di resistenza democratica.
All’inizio di questo terzo millennio ho vissuto idee, istanze, valori di libertà, di solidarietà, di responsabilità, di democrazia partecipata nelle scuole, sul territorio, nella politica. La scoperta dell'autogestione nei centri sociali, la autodeterminazione, la pace, la lotta per il lavoro, per l’ambiente.
Ebbene, signori tristi revisionisti, ciechi e cinici, queste tensioni, queste spinte di oggi si sono sprigionate nel’68.
Si è fatto di tutto per metterci una pietra sopra. Il macigno non è risultato inamovibile.
Il ’68 è apertura alle possibilità a venire. Si voleva evitare di trattenersi nella prigione del presente, che, senza prospettive, si risolveva nella malinconica memoria di un passato immodificabile.
Era finita l’epoca dell’impossibilità di darsi un futuro. Il discorso è stato aperto ed è decisamente attuale. A Porto Alegre nel gennaio 2001 abbiamo gridato: «È possibile un nuovo mondo?».
Ero un prete quarantenne nel 68. L’età del «matusa», ma per raro privilegio accolto nell’università, nelle assemblee, nei cortei, nelle prime «comuni», nelle fabbriche in fermento.
Dal 1965 ero approdato in qualità di viceparroco al «Carmine» a trecento metri dalla mitica «Balbi» facoltà umanistica di Genova. A cento metri il liceo classico Colombo, la scuola di De André.
Sono stato miracolato e da sempre mi sono ritenuto orgogliosamente «sessantottino».
“Time”, rivista americana, nel 1988 scrisse: «Il ’68, come il rasoio che separò il passato dal futuro».
Ho visto fiorire originali intuizioni. Avevo vissuto la primavera del Concilio Vaticano II che terminò il 7 dicembre 1965.
Nel ’68, la prima e approfondita interpretazione dei documenti conciliari della Conferenza episcopale panamericana di Medellin (Colombia), con la nascita delle comunità di base e della teologia della liberazione. Opportuna e felice coincidenza per un prete cattolico, confrontarsi con l’alba di una nuova società, di un nuovo movimento giovanile studentesco. Sono alla soglia dei miei ottant'anni e sono convinto d’aver partecipato nel maggio ’68 al più straordinario movimento giovanile della storia.
Di fronte a tutto ciò, il mondo politico e parlamentare, la Chiesa, non seppero dare ai giovani nessuna risposta seria. Anche il Pci espulse alcuni compagni dal partito. Nascerà presto “il manifesto”. Un vento gioioso soffiava nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle strade, nelle piazze di tutto il mondo. Fu una festa di lotta, Mario Capanna nel 1998 uscì col suo libro Formidabili quegli anni. Bravo Mario.
L’entusiasmo spontaneo e il gusto per il corteo, la musica, le occupazioni, il sacco a pelo, i controcorsi, lo stare insieme, con tutti i limiti e le difficoltà. Le istanze collettive dilagano globalmente. L’essere «in sé», la coscienza critica si fa strada.
Nel 2007 si sono messi in luce per le loro interpretazioni del ’68 il presidente Sarkozy e il ministro Amato. Si continua a screditare... I pregiudizi son duri a morire: «Sessantotto uguale violenza». È esattamente al contrario! Si arriva addirittura ad accreditare l’equazione: «Sessantotto, padre del terrorismo».
C’è una semplice verità: mai, nel biennio ’68-69, i movimenti si sono organizzati per uccidere qualcuno, mentre sono state numerose le vittime tra le loro file, ancora prima della strage di piazza Fontana (dicembre ’69).
Ci furono fatti con significati profondi, con una progettualità ancora inespressa, perché boicottati, repressi e rimasti perciò in buona parte irrealizzati.
Come «sessantottino» mi sento molto onorato di essere offeso da tanti politicanti di una classe politica mediocre, incapaci di una rivisitazione obiettiva.
Mi pare di ricordare le parole che scrisse il mio amico padre Balducci nel '68: «Sul piano culturale è avvenuto qualcosa di definitivo, è avvenuto il denudamento delle istituzioni in quanto funzioni del potere. È da allora che il potere va in giro nudo».
Le istituzioni autoritarie e ingiuste: la scuola, i partiti politici, la famiglia, la Chiesa in piena restaurazione.
Da allora la violenza, la crociata dei valori, la guerra preventiva, l'attacco alla laicità sono venuti a sostituire il pensiero, la ragione, la democrazia, i diritti civili.
Mi chiedo: con quale legittimazione tanta arroganza e ingerenza?
Dove sono oggi le «ragioni ideali» di chi ha ripreso in mano la situazione, dopo quella contestazione totale al sistema?
Fra un’assemblea e un corteo c’era sempre un libro a portata di mano, caro ministro Amato.
Di diverso, ed è una differenza fondamentale, c'era il modo di leggerlo e di finalizzare l’apprendimento.
Induceva a dare il meglio di se stessi; ci si prendeva sul serio. Non si sceglievano facili scorciatoie. Tutto ciò generava ed estendeva un contagio positivo.
Durante una mia omelia al Carmine, sottolineavo che non era molto evangelico lanciare bombe al napalm sui vietnamiti. E mentre mi accingevo a condannare i carri armati sovietici, un fedele, dalla navata mi gridò: «Comunista». Lo invitai a parlare al mio microfono in Chiesa. Quel signore si allontanò velocemente molto contrariato.
In udienza il mio cardinale arcivescovo Giuseppe Siri, scherzando mi chiede: «Tu che vai spesso in processione...». «Scusi Eminenza, veramente...». «Sì, sì lo so quando vai ai cortei, sento che invocate il vostro santo protettore. Sono cardinale, ma non mi risulta nel martirologio cattolico». «Eminenza», dissi, «a chi allude?» «Mi vuoi dire, continuò l’arcivescovo, chi è questo Ho Chi Minh?».
Nel giugno del ’70 fui designato quale arciprete dell'isola di Capraia. Compresi subito: «Promoveatur ut amoveatur».
Rinuncia: «Domine non sum dignus». Mi volevano allontanare dai giovani. Gli avvenimenti incalzavano, nell’aprile ’68 viene ucciso Martin Luther King.
Già dal ’64 i campus americani insorgevano: «Won’t go», non voglio partire, per la guerra del Vietnam.
Il 10-11 maggio ’68, a Parigi, nel quartiere latino scoppiano gravi incidenti tra la polizia e gli studenti di Nanterre e della Sorbona.
Il 13 maggio sfilano 800 mila persone a Parigi. 
È l’apice del maggio francese.
Dalla Francia all’Italia, alla Germania federale, all’Europa, fino alla primavera di Praga (’68) col simbolico sacrificio del giovane Jan Palach.
A giugno Robert Kennedy viene assassinato. Era candidato alla Casa Bianca.
Nell’ottobre del ’68 c’è il massacro di Tlateloco a Città del Messico: l’esercito spara con le mitragliatrici sugli studenti.
Il Giappone si sveglia, America Latina esalta Che Guevara e don Camillo Torres. Ad Avola si spara sui braccianti e si muore. Il 7 dicembre contestata la prima della Scala con lancio di pomodori.
I movimenti furono attaccati, aggrediti sistematicamente dalle forze di repressione.
Nessuno nei movimenti esita di ammettere gli errori. Al contrario le mozioni d'ordine sono incandescenti.
Ma il mutamento profondo delle coscienze avanzava, maturava
Una vera «metanoia». Montanelli ci definiva «disertori». No ! i studenti hanno fatto il loro dovere insieme ai lavoratori e al popolo. Tanta musica, tante chitarre, tanta felicità.
Si “osava la speranza”. Come nasce l'8 dicembre del '70 la Comunità di san Benedetto al Porto? 
Dopo la mia defenestrazione, nessun parroco mi voleva  come aiuto pastorale. Il 1° luglio occupazione della chiesa del Carmine, il 2 luglio occupazione della piazza con migliaia di persone. Dopo cinque mesi di dissoccupazione ecclesiastica finalmente il santo parroco, don Rebora, ci accolse l'8 dicembre 70 e nasceva la comunità ecclesiale di base cattolica, cristiana, umana con le porte aperte a tutti, ripartendo dagli ultimi.
Uno di quei sessantottini, il professor Giorgio Passerone, è direttore del Dipartimento dell Università di Lille (Francia).
La colonna sonora prevalente della Comunità non poteva essere che la poesia e la musica dell'amico Fabrizio De André e gli immancabili canti partigiani-
Nel 1968 venne alla luce Tutti morimmo a stento come una sferzata di vento gelido sul mellifluo e lusinghiero panorama musicale italiano. Scopriamo il Cantico dei drogati (’68). Pochi anni prima cantavamo la Guerra di Piero e la ballata La canzone di Marinella.
Una poesia ribelle, una testimonianza evangelica postconciliare, l’umana solidarietà lo stiletto dell'ironia di Faber, veri affreschi musicali.
Con Dario Fo e Franca Rame ci si divertiva immensamente con gli sberleffi al potere.
Il 68 con De André, il suo nodo cruciale, la gestione del potere.
Un appello alla solidarietà in Tutti morimmo a stento - una riflessione sullo scarto che esiste fra l'uomo e il divino nella Buona novella, l’abbattimento di qualsivoglia potere in Storia di un impiegato. Una profonda inquietudine e il 68 con l’aspirazione alla libertà. Vorrei ricordare il 15 ottobre ’68 all’arena di Milano gremita di metalmeccanici. Quando entrarono 10 mila studenti furono applauditi fragorosamente. Il rapporto fra i movimenti si salda.
11 68 traccia la nostra avventura benedettina che annovera perdenti-non sconfitti, ma assolutamente non «reduci». Abbiamo sempre chiesto democrazia, il primato della coscienza personale. È dottrina certa per i cattolici. Ci hanno sempre risposto con la strategia delle stragi, col proibizionismo, col precariato, col diritto della forza.
Lo spirito del 68 non ci ha abbandonato. È il nostro «detonatore» per continuare a camminare con forza repubblicana, democratica, laica, antifascista.
Il volto sorridente di Faber campeggia nella nostra piccola casa madre vicino a un manifesto degli studenti della scuola d arte di Parigi del maggio francese: «Je partecipe — tu partecipes — il participe — nous participons - vous participez - ils profitent!».

In Sessantotto: mito e realtà, supplemento a “Micromega”, 2008, n.1

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