8.6.18

“Tutti i giorni”. L'educazione cattolica di Isabel Allende


La mia vita sessuale iniziò presto, più o meno a cinque anni, all’asilo delle suore Orsoline a Santiago del Cile. Presumo di essere rimasta fino a quel momento nel limbo dell’innocenza, e non ho ricordi legati alla mia curiosità sessuale di quella tenera età. La mia prima esperienza consistette nell’ingoiare casualmente una bambolina di bachelite, di quelle che si mettevano sulle torte di compleanno. “Ti crescerà dentro la pancia, diventerai tonda e poi nascerà un bambino” mi spiegò la mia migliore amica, cui era appena arrivato un fratellino. Un figlio! Era l’ultimo dei miei desideri. Seguirono giorni terribili, mi venne la febbre, persi l’appetito e presi a vomitare in bagno di nascosto. La mia amica confermò che i sintomi erano identici a quelli di sua madre prima del parto. Alla fine una suora mi obbligò a confessare la verità e ammisi singhiozzando che ero incinta. Mi ritrovai afferrata per un braccio e sollevata di peso fino all’ufficio della madre superiora, che telefonò a casa mia per avvisare che ero stata sospesa per comportamento indecente. In questo tragico modo nacque il mio orrore per le bamboline e il mio interesse per quella questione misteriosa il cui nome non si doveva pronunciare: sesso.
Le bambine della mia generazione erano prive di istinto sessuale, lo inventarono Masters e Johnson molto tempo dopo. Solo i maschi soffrivano di tale malattia, che poteva portarli all’inferno e trasformarli in potenziali fauni per tutta la vita. Quando noi bambine formulavamo una domanda scabrosa, ricevevamo due tipi di risposte, a seconda della madre che ci era toccata in sorte. La spiegazione tradizionale era la cicogna, che portava i neonati da Parigi; quella moderna riguardava fiori e api. Mia madre era moderna, ma il rapporto tra il polline e la bambola nella mia pancia mi risultava poco chiaro.
A sette anni le suore mi prepararono per la prima comunione. Prima di ricevere l’ostia consacrata bisognava confessarsi. Mi portarono in chiesa, mi inginocchiai tremando in un lugubre confessionale, separata dal sacerdote da una polverosa tenda di felpa nera, e cercai di ricordare la mia lista dei peccati. Per non commettere il sacrilegio di ricevere la comunione avendone dimenticato qualcuno, avevo aggiunto all’elenco tutto ciò che figurava nel decalogo dei possibili peccati, dal rubare all’uccidere, fino al desiderare le cose d’altri, ma ero talmente spaventata che la voce non mi uscì. Il prete attese per un intervallo ragionevole e poi prese l’iniziativa. In mezzo all’oscurità e al profumo d’incenso sentii una voce dall’accento galego.
“Ti sei toccata il corpo con le mani?” mi domandò.
“Sì, padre” farfugliai.
“Spesso, figlia mia?”
“Tutti i giorni...”
“Tutti i giorni! Questa è un’offesa gravissima agli occhi di Dio, la purezza è la più grande virtù in una bambina, devi promettermi che non lo farai mai più! ”
Promisi, anche se non riuscivo a immaginare come avrei potuto lavarmi la faccia o i denti senza toccarmi il corpo con le mani.

Da Amore, Feltrinelli, 2013

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