11.6.18

Sessantotto. Una violenta domanda di senso (Romano Luperini)



Associare la parola violenza al Sessantotto fa parte del terrorismo giornalistico. Lo storico americano Sidney Tarrow ha mostrato che fra l’autunno del 1967 e quello del 1969 la violenza fu minima (esplose solo quando il movimento di massa defluì). Il Sessantotto fu violento perché svolse una funzione distruttiva attraverso azioni anche illegali - le occupazioni delle facoltà, manifestazioni non autorizzate - non perché praticasse la violenza o spalleggiasse e consentisse l’intervento di gruppi terroristici.
Distrusse le dipendenze, i rapporti, i meccanismi scontati, le gerarchie visibili e quelle impalpabili, ponendo una domanda radicale di significato che metteva in causa ogni momento della vita. Per chi e per che cosa si vive? Per chi e per quale fine si studia e sì lavora? Per chi e per quale fine ci si associa e si fa politica? I rapporti personali e sessuali (la microfisica del potere) possono essere distinti da quelli politici? E anche: le forme della democrazia possono essere separate e addirittura antitetiche rispetto ai suoi fini? Tutti i gruppi chiusi organizzati come nicchie egoistiche e protettive (la famiglia) o come istituzioni volte alla camera individuale e alla formazione della classe dirigente nazionale (le scuole, le università) ne furono allora sconvolti.
A questa violenta domanda di senso per far coincidere i nomi con le cose non dava risposta né il capitalismo con la società del benessere né il comunismo realizzato con il suo Stato burocratizzato. Il Sessantotto fu contro l’Unione Sovietica e, in Italia, contro il Pci; e sviluppò una critica di massa al socialismo realizzato che oggi è diventata senso comune. Anche per la parola socialismo bisognava (bisogna) tornare a far coincidere il nome con la cosa.
Infine: il Sessantotto distrusse la dimensione nazionale e statuale per porsi all’interno del sistema-mondo: nacque da una globalizzazione che interessò tutti i continenti e che presupponeva una lotta senza frontiere.
Anche per questo fu anticipatore e violento. Immanuel Wallerstein scrive:«Ci sono state due rivoluzioni mondiali. Una nel 1848. La seconda nel 1968. Entrambe hanno fallito. Entrambe hanno trasformato il mondo».
Purtroppo il Sessantotto non lo ha trasformato abbastanza.
Non è stato troppo violento, ma troppo poco.

L'Espresso, 5 Marzo 1998

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