11.6.18

La democrazia come problema (Roberto Monicchia)


Il testo che segue fu pubblicato da “micropolis” come presentazione di un dossier antologico sul tema della democrazia diretta, che conteneva testi di John Reed, Antonio Gramsci, Aldo Capitini e Valentina Pazè. Mi pare un'utile sintesi su un problema storico che in questi ultimi anni ritorna drammaticamente attuale. (S.L.L.)

La crisi che investe i sistemi politici liberali fa riemergere il problema storico della democrazia, ovvero la sua effettiva capacità di controllare e diffondere il potere, sfuggendo alle degenerazioni oligarchiche, plebiscitarie, populiste; questioni già affrontate nell'Atene classica, da Platone ad Aristotele. In età moderna, quando i diritti di cittadinanza si estendono, sganciandosi dal diritto di partecipazione, la rivendicazione democratica è fatta propria dai soggetti sociali esclusi dai diritti politici. Dalla rivoluzione francese e fino all'inizio del ‘900 la lotta per il suffragio universale divide nettamente liberali e democratici. Contemporaneamente a questa dicotomia si affianca e si sovrappone quella tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, che per Rousseau rappresenta la traduzione politica dell'uguaglianza sociale. L'espressione della volontà generale si concretizza in una serie di istituti quali il mandato imperativo e il diritto di revoca degli eletti.

Borghese e citoyen, società civile e stato
Allargamento del suffragio e superamento della democrazia delegata fanno parte della cultura e del programma del movimento operaio e socialista ottocentesco, intersecando il rapporto tra lotta economica e lotta politica. Gli esiti del 1848 spingono Marx ad abbandonare l'ipotesi di una soluzione immediata della contraddizione tra società e stato. Da questo momento in poi, insieme all'approfondimento della “anatomia della società civile”, teoria e prassi del socialismo si misurano con la complessità della struttura statale. I temi dell'organizzazione politica, della conquista e della gestione del potere, ricorrono nella polemica con gli anarchici e nella riflessione sulla Comune.

Soviet e industrializzazione: la democrazia operaia
Questioni analoghe si ripropongono nell'età della seconda internazionale su una scala molto più ampia, in seguito all'estensione geografica, dimensionale e tecnologica del sistema capitalistico industriale. I grandi partiti socialdemocratici europei, mentre provvedono attraverso diverse forme organizzative all'alfabetizzazione politica delle classi lavoratrici, assumono il suffragio universale e la democrazia parlamentare come via maestra per la conquista dello stato: una strategia conforme ad un'idea evolutiva dello sviluppo economico. L'alternativa rivoluzionaria di Lenin si fonda su una visione non lineare dell'imperialismo, nega la possibilità di una trasformazione dall'interno dello stato borghese. Ne consegue la netta separazione tra democrazia parlamentare, identificata con la dittatura della borghesia, e democrazia proletaria, da basare su istituzioni di tipo nuovo. Il discorso comincia a precisarsi con i soviet del 1905, che divengono il punto di appoggio decisivo della vittoria bolscevica nel 1917. Ben presto, tramontate le utopie di Stato e rivoluzione, si presenta l'immane compito di ricostruire ex novo apparati produttivi e amministrazione statale di un paese arretrato; a quel punto i soviet sono investiti di compiti gestionali, tecnici e amministrativi che non ne impediscono una rapida burocratizzazione. In ogni caso per tutta una fase il tema dei “consigli” è al centro del dibattito del movimento operaio internazionale.
Nella riflessione gramsciana, sviluppata a contatto con la classe operaia torinese, il tema della democrazia operaia è tutt'uno col ragionamento sulla società industriale moderna. Soggetti alla disciplina di fabbrica, che significa anche cooperazione razionale, i lavoratori imparano a gestire la produzione: i consigli operai si configurano contemporaneamente come stimolo della coscienza di classe, cellule della rivoluzione, organi del futuro potere socialista. La democrazia diretta è sostanzialmente vista come democrazia organizzata, modellata sulla complessità tecnica della società industriale. Il Gramsci leader del Pcd'i e dei Quaderni mantiene questa impostazione, approfondendola in relazione al problema della rivoluzione in occidente.

La democrazia nell’età del compromesso costituzionale
Ancora ad un quadro di “democrazia organizzata” si può riportare l'evoluzione dell'occidente nel secondo dopoguerra, quando una prolungata fase di crescita consente un compromesso stabile tra capitale e lavoro, che assicura la costituzionalizzazione dei diritti sociali e una progressiva inclusione delle classi e dei soggetti subalterni. Il tema della democrazia diretta si sviluppa in relazione all'estensione dei diritti, al controllo dei servizi e delle amministrazioni pubblici, secondo un'impostazione complementare alle istituzioni rappresentative.
Da un lato cresce il movimento referendario, che in alcuni casi (come in Svizzera) assume un rilievo politico-istituzionale di primo piano. In un'altra direzione si promuove la partecipazione diretta dei cittadini, su base tematica o professionale, ma fino a tutti gli anni ‘60 - specie in Italia - lo spazio dell'azione politica è monopolizzato dai partiti e dai sindacati. È l'onda d'urto del ‘68 a determinare una rivoluzione nelle forme di mobilitazione, che ha come presupposto il rifiuto della delega. Gli strumenti di azione e comunicazione che sorgono o risorgono (l'assemblea, il comitato di lotta, il volantino, i concerti, ecc.) si fondano su un'ipotesi di proiezione immediata sul piano politico generale di istanze specifiche di liberazione e presa di coscienza. Il limite intrinseco, comune a molti movimenti fino ad oggi, sta nella dipendenza dai flussi e riflussi fisiologici delle mobilitazioni, che le rende incapaci di incidere sulle strutture istituzionali esistenti: rifiutando a priori il tema dell'organizzazione e del potere, certe esperienze si condannano all'assorbimento o alla marginalizzazione.

Postdemocrazia
Il crollo del socialismo sovietico e la nuova globalizzazione capitalistica fanno saltare il compromesso keynesiano, abbattendo principi e pratiche politici consolidati. Si manifesta così l'attuale crisi di tutte le forme della democrazia, dalle assemblee rappresentative agli enti locali, dai partiti ai sindacati. Questo stato di cose produce un'articolata gamma di reazioni, dall'astensionismo silenzioso alla rabbia qualunquista, dalla chiusura localista all'impegno nel volontariato. Produce anche, e la stagione no global ne è un esempio, tentativi di rilancio delle forme di democrazia diretta, le più signi-
ficative delle quali si riassumono sotto le categorie della “democrazia deliberativa” e della “democrazia partecipativa”, che promuovono la partecipazione diffusa e informata rispetto ad alcuni temi, soprattutto su scala locale.
Nel caso italiano certe tendenze regressive sono incistate in una crisi di sistema sempre più avvitata. Che il Movimento 5 stelle sia se non altro una cartina di tornasole di questa crisi, lo dimostra anche il suo insistere sui temi del funzionamento della democrazia. A partire dalla condanna senza appello del sistema dei partiti, i grillini propongono una riforma che riprende e rinnova elementi tipici della democrazia diretta, come la ridefinizione della rappresentanza parlamentare sulla base di un controllo diretto da parte degli elettori o l'istituzione dei referendum propositivi. L'elemento centrale è la cosiddetta “webdemocracy“, che da un lato è il principale strumento organizzativo (i meetup) del movimento, dall'altro si candida a modello alternativo di democrazia, destinato - secondo la profezia di Casaleggio - a diventare lo strumento di una democrazia mondiale in un futuro non tanto remoto. Al di là di grottesche approssimazioni, le precoci contraddizioni con cui il M5s si trova a fare i conti non indicano solo i limiti del progetto grillino, ma rimandano allo scacco a cui finora sono sempre andate incontro le “riforme della politica” basate su più o meno raffinate ingegnerie istituzionali. Il problema della relazione tra potere e democrazia resta aperto.

“micropolis”, luglio 2013

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