La pubblicazione, e la
conclusione, del Dizionario del fascismo, curato per Einaudi
da Victoria De Grazia e Sergio Luzzatto, ha consentito di ritornare,
con un'ampiezza di orizzonti e con una libertà d'intenti un tempo
sconosciute, sul fenomeno fascista. Ne hanno già discusso, anche
interpellando i curatori, Bruno Gravagnuolo su “l'Unità” e
Simonetta Fiori su “la Repubblica”. E poi Enzo Marzo sul
“Corriere”. La storiografia si sta del resto laicizzando proprio
mentre l'uso politico della storia, nutrito dalla modesta conoscenza
dei fatti di chi lo pratica, sembra muoversi tra isterismo,
incursioni nella toponomastica e trivialità. Non ci si è proposti
per una visita a papà Cervi, vissuto un po' dopo Romolo e Remolo, ma
da molti anni già morto?
Ma che vuol dire
«fascismo»? Ideologicamente nulla. Un «fascio» è infatti una
quantità di cose riunite e legate insieme. Nell'ultimo scorcio
dell'800, prestandosi il termine ad evocare l'unità, il fascio
divenne, all'interno del lessico politico, sinonimo di «lega», vale
a dire di associazione volta a tenere insieme soggetti che si
percepivano socialmente o politicamente affini. A Bologna, nel 1883,
da parte di esponenti repubblicani e socialisti, fu costituito un
effimero «Fascio della democrazia». Vi fu poi Il fascio operaio,
giornale vicino al partito operaio italiano. Nel maggio del 1892, in
un congresso tenutosi a Palermo, vennero poste le basi per
l'organizzazione dei Fasci dei lavoratori, più noti in seguito come
Fasci siciliani, movimento di protesta contro il latifondismo. Nel
1899, inoltre, in polemica contro la gestione autoritaria dell'Opera
dei Congressi, gruppi di giovani cattolici avevano fondato i Fasci
democratici cristiani, incunabolo della prima democrazia cristiana e
del popolarismo. Mussolini, nel gennaio 1915, creò gli interventisti
Fasci di azione rivoluzionaria. Il significato non era dunque mutato.
Né mutò quando, il 23 marzo 1919, vennero costituiti, in piazza San
Sepolcro, a Milano, i Fasci italiani di combattimento. Se il termine
«fascista», come generico membro di un fascio, era già comparso
nel 1897, e poi ripreso nel 1915, il sostantivo «fascismo» emerse,
proprio a proposito dei Fasci di combattimento, a partire dal 1919.
Mussolini lo utilizzò subito. «Fascismo» e «fascista», tuttavia,
al di là di «associazionismo» e «leghismo», e dell'enfasi
mussoliniana, non volevano dire nulla.
Per riempire il nulla,
venne presto in soccorso la romanità. Si pensi al generico termine
«duce». Mussolini era stato così definito una prima volta, e
sarcasticamente, nel 1904, ma «duce» era un termine da tempo
presente in ambito socialista. Arrivò comunque, provvidenzialmente,
e a posteriori, il fascio littorio, simbolo del potere coercitivo
degli alti magistrati romani (consoli, questori, dittatori). Si
trattava di un fascio di verghe di legno di olmo e di betulla. Era un
simbolo repubblicano, fatto però coesistere con la consenziente
monarchia. Il fascismo-regime rovistò poi nei Fori imperiali la
propria malcerta identità.
“l'Unità”, 25 maggio
2003
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