La lettura di un critico di valore, che - secondo me - coglie aspetti importanti, ma sbaglia misura nelle ultime riflessioni: non mi pare che nella rappresentazione (non banale) della quotidianità degli "eroi", ci sia compiacimento sentimentale. Il libro in
questione, per me il migliore della nostra scrittrice, è da (ri)leggere: ci restituisce un mondo ed un tempo perduti con una qualità di scrittura assolutamente convincente. (S.L.L.)
Il lessico di casa
Sereni. Comunismo come fede
"Probabilmente, solo
qualcuno che sia compiutamente laico... potrà raccontarmi un giorno
per intero la mia storia": così Clara Sereni nell' ultima
pagina del Gioco dei Regni (Giunti), a conclusione di una
vicenda che è, sostanzialmente, di fede.
Certo non erano
compiutamente laici Emilio Sereni e Xenia Silberberg, i genitori di
Clara e protagonisti di questo romanzo documentario, che, se avevano
fatto la scelta più apparentemente scientifica, quella del
comunismo, era perché nel comunismo ravvisavano la possibilità di
una legge superiore che li mettesse al sicuro dalla tentazione di
vivere, di trovarsi di fronte a delle responsabilità e non a delle
direttive. Del resto l'autrice lo spiega benissimo: Emilio Sereni,
dirigente storico del Pci, nato a Roma nel 1907, apparteneva a una
generazione che maneggiava gli ideali come cose concrete ("soffrire
più in alto"), ma faceva volentieri a meno di guardarsi dentro.
Figlio di Samuele Sereni, ebreo di grandi tradizioni borghesi che era
arrivato ad esser medico della Real Casa, Emilio cresce nel culto di
tutti i buoni princìpi. "Mens sana in corpore sano";
e si comprenda in questo programma l'osservanza stessa della castità
. Anzi, era stato un ebreo positivista, incombente sulla cultura di
fine secolo, Max Nordau, a tessere le lodi del matrimonio come solo
alveo della sessualità erompente. Quando poi, insieme col fratello
Enzo, Emilio abbraccia giovanissimo la causa sionista, accetta al
tempo stesso tutte le pratiche dell' ortodossia. Che era una
stranezza, ma anche un modo di constatare come il soggetto non
appartenesse più a se stesso in quanto interamente devoluto all'azione comune: linea valida anche per la fede comunista destinata in
breve a prendere il posto di quella ebraica. O meglio: Emilio
credette di aver fatto una svolta radicale, mentre Clara,
rievocandone la vita quando lei non era ancor nata, capisce che "la
ginnastica mentale delle disquisizioni talmudiche" gli era stata
utile "per farsi tornare ogni conto" tutte le volte che
c'era da dare una risposta alla politica del Partito, e capisce che
lo stesso lavoro dello storico (a partire dal Capitalismo nelle
campagne, del ' 47) ha origini collegate al sionismo: "Mio padre
non era sempre stato comunista, e le ragioni per cui aveva scelto per
la vita di interessarsi di agricoltura erano state, alla partenza,
altre". E accanto a Emilio (detto Mimmo) la moglie (Xenia, poi
Marina), sionista anche lei e più tardi anche lei comunista, sola a
continuare la lotta quando il marito verrà condannato dal Tribunale
Speciale, e, come il marito, sottomessa alle imperscrutabili
decisioni dei vertici del Partito. Infatti, alla prima occasione di
raggiungere "il Paese del comunismo" (dopo la liberazione
dal carcere fascista), Sereni fu arrestato dai sovietici, ma - dice
la figlia - "non si stupi' ", anzi si trovò d'accordo con
Stalin "sulla necessita' di guardarsi anche da se stessi" e
"tornò da Mosca convinto delle proprie scelte più che mai".
Clara Sereni, che è nata
nel ' 46, ha al suo attivo almeno due libri fortunati:
Casalinghitudine e Manicomio primavera; ma non si pensi
che voglia ritentare oggi il successo con una demolizione della
figura del padre. Il gioco dei Regni è un'opera assai meno
diretta ed esplicita, a cominciare dal titolo che dovrebbe indicare
l'unità fra i tre ragazzi (c'era anche Enrico, il maggiore) quando
fingevano di conquistare imperi di carta, e invece allude più
verosimilmente a una rottura, se, una volta passato al comunismo,
Emilio non perdona a Enzo di essere restato sionista. In ogni modo le
critiche di Clara al padre hanno il carattere di osservazioni
marginali, mentre il rapporto più problematico è, alla fine, quello
con la madre: perduta a sei anni e ritrovata sulle pagine di un suo
libro, I giorni della nostra vita, "pubblicato per essere
vangelo di una generazione di donne comuniste", ma, agli occhi
della figlia adulta, troppo inquinato da menzogne, censure,
omissioni. Anzi Clara scoprirà che la nonna materna, rivoluzionaria
sotto lo zarismo prima di diventare sionista (senz'essere ebrea), è
stata la figura più vera della sua famiglia: una donna che non si
sarebbe adattata ad essere un'eco, un prolungamento della volontà
del marito.
Ma dal Gioco dei Regni
si può trarre una conclusione più ardua, sfuggita allo stesso
controllo dell'autrice. La quale, pur intonando la scrittura a un
livello intellettualmente alto, sul punto di smorzare il proprio
rigore verso i genitori, non sempre riesce ad evitare una manierata
dolcezza da lessico familiare, e con quella ricrea i momenti privati
di Emilio accanto alla moglie e alle figliette. La colpa è in buona
parte dei documenti, epistolari o memorialistici, utilizzati nel
racconto, ma si viene comunque a concludere che il sistema mentale
del fideismo eroico ha come imprevedibile risvolto quello della
banalità. Non credo che la Sereni abbia voluto portarci a questa
evidenza. Anzi ci ha voluto dire che anche le intelligenze più
astratte conoscono i loro intervalli di verità umana; ma sono
proprio queste attenuanti generiche ad accomunare, talvolta, genitori
e figlia in uno stesso compiacimento sentimentale.
Corriere della Sera 20
febbraio 1993
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