17.2.15

La Dafne di Fausto Curi e il soggetto della poesia (Cecilia Bello Minciacchi)

«E un greve torpore le pervade le membra: / di corteccia sottile si cinge il suo morbido seno: / si risolvono in foglie i suoi capelli, e in rami le sue braccia: / e il suo piede, che era tanto veloce, si ferma in inerti radici»: così Edoardo Sanguineti traduceva e tradiva, come usava dire, l’ovidiana metamorfosi di Dafne nel suo ultimo, postremo libro di poesia, Varie ed eventuali. Versi amati, nell’originale latino e nell’italiano del «tradimento», da Fausto Curi che di Sanguineti è stato studioso di lunghissima fedeltà.
A Curi si deve ora un denso libro di critica letteraria, Il corpo di Dafne. Variazioni e metamorfosi del soggetto nella poesia moderna (Mimesis), che porta in esergo quei versi nel latino primigenio. Il libro muove da una proposito ambizioso quanto suggestivo: analizzare le mutazioni delle forme poetiche nella modernità occidentale a partire dalle mutazioni del soggetto. In primo luogo, dunque, studia il fondarsi e il mutare del soggetto nel testo. Soggetto come entità, corpo sostanziale e sfuggente. Ingannevole, pronto al mascheramento, all’abbandono di una forma in vantaggio di un’altra, sorprendente e non conosciuta. Per realizzare il proprio intento, il libro di Curi prima s’interroga sull’esistenza del soggetto, poi percorre la letteratura in senso diacronico, anzi traccia preliminarmente una Preistoria sul soggetto nella poesia greca e latina, per procedere infine a incursioni puntuali in autori e testi dell’ampia civiltà critica che gli appartiene: Baudelaire, Lautréamont, Mallarmé, Rimbaud, Pascoli, Nietzsche, Freud, Marinetti, Pascoli, Tzara, Breton, Eliot, Pound, Benn, Montale, Sanguineti e gli altri Novissimi.
Chi ha familiarità con il metodo e i temi d’indagine di Curi, ha la certezza e il piacere di ritrovare, nel Corpo di Dafne, l’incedere della sua riflessione intellettuale, i punti di riferimento suoi e del Novecento più inquieto e innovativo. I capisaldi della modernità, per dirla in una formula. Quelli che Curi ha interrogato con maggior dedizione e tenacia in oltre cinquant’anni di lavoro critico, dalla lucidità d’approccio di Ordine e disordine (1965), alla solidità e alla ricchezza di implicazioni di Struttura del risveglio. Sade, Sanguineti, la modernità letteraria (1991), fino alle numerose sfaccettature del mito, al rapporto tra La scrittura e la morte di dio (1996), alla dialettica tra Canone e anticanone (1997), agli studi di estetica e di poetica degli anni più recenti.
Ciò che è nuovo – e come tale contribuisce a fondare l’importanza del Corpo di Dafne – è il presupposto teorico, l’angolo di visuale che inquadra (e verifica) la relazione tra soggetto e forme poetiche. Ed è una novità che ci tocca da vicino, che riapre problematicamente il Novecento (quel secolo troppo lungo, interminabile, agli occhi di Sanguineti) con le avvisaglie ottocentesche che l’hanno preceduto, i ritardi, e le sue focali scoperte, prima fra tutte la psicoanalisi che sul soggetto e sulle sue componenti ha avuto e ha tuttora molto da dire.
Nella riflessione teorica che funge da premessa, Preludio, Curi riconosce l’assunto di Benveniste – «è nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce come soggetto» –, cioè riconosce il fondamento linguistico come unico valido e accettabile fondamento del soggetto, e tuttavia non manca di chiedersi se sia sempre l’Ego a dire «Ego», o se non possa «accadere che l’Es, che non ha facoltà di parola, riesca a costringere l’Io a parlare per suo conto». Questo è, a ben guardare, ciò che più attrae l’attenzione di Curi, insieme al rapporto – intanto lacaniano – tra inconscio e linguaggio, e ai segni preponderanti dell’Es, al fatto che «l’uomo è vissuto dall’Es», per stare a una formula di Groddeck.
Su questo si accampa – ed è incontenibile tentazione d’analisi – il rapporto tra l’autore di un testo e chi in quel testo dice «io», e le sue varie e conseguenti maschere, volontarie o meno che siano. La prima sezione del volume, la Preistoria, discute e mette in luce – via Curtius, Snell, Vernant, Veyne, Canfora, Gentili, Foucault, Traina – l’espressione del soggetto nella poesia classica, ovvero la differenza tra alcune manifestazioni pur forti della soggettività nella poesia antica e l’affioramento dell’energia psichica nella soggettività moderna, assai distante nei modi e nei nuclei d’individualità. L’Interludio non è tanto una sezione di raccordo e introduzione al corpo maggiore del volume dedicato alla Storia, quanto piuttosto una breve ricognizione sui segni d’insorgenza della modernità. Intanto il «male» che ha consentito alla letteratura «straordinarie possibilità conoscitive» sì da coincidere spesso col nuovo e da configurarsi «come profondità e eccezionalità della vita psichica e sociale, come verità eccedente, abnorme, scandalosa». E poi il «brutto»: la dissacrazione del corpo femminile, il rovesciamento di un modello estetico millenario, l’uso del corpo nudo – si pensi a Pubertà di Munch – per svelare una condizione di apprensione e di disagio, o l’esibizione dell’osceno – le pose deturpanti e quasi scorticate, le «invereconde e grossolane nudità di Schiele» –, vale a dire di ciò che la borghesia vorrebbe occultato e che invece diventa, suo malgrado, «lo scandaloso incanto del visibile».
Se i capitoli sul Montaggio e sulla Funzione della critica, oggi sono il perno ideologico del libro, il suo centro militante con l’appello a una critica «soggettiva e di parte» che scenda benjaminianamente armata nella «battaglia letteraria», la sezione storica è ciò che rende non eludibile, urgente quell’appello. È d’esempio la capacità di sorvegliare severamente la propria adesione all’oggetto di studio – ché di autentico affetto a volte si dovrà parlare – e insieme è dichiarazione estetica, e politica, la schiettezza lampante dell’insistenza su alcuni nuclei di ricerca. L’indagine sul soggetto significa, per Curi, studio della parola inconscia e insieme meditazione su quello «strumento potente» che è la parola, teste Freud. Les Fleurs du mal sono «l’estrema manifestazione di un soggetto poetico preso profondamente di sé ma tutt’altro che indifferente al mondo, incantato e atterrito dalla propria vita psichica»; in Rimbaud «l’Io è in grado di provocare l’insorgenza dell’“altro” e di ‘coltivarlo’, cioè di svilupparlo»; Pascoli, che da Curi ha ricevuto pagine sensualissime, traveste doppiamente, «poeticamente e senza residui la propria tormentosa vita psichica». Il soggetto dionisiaco di Nietzsche è «una compresenza di impulsi»; Marinetti sostituisce il soggetto con la materia; e se col montaggio Ejzenštein aveva rotto «l’unità della forma» Breton rompe «l’unità del senso». In modi diversi i Novissimi riducono l’io: Giuliani «metrica adiuvante», Sanguineti e Balestrini con parole d’altri: l’uno montando vita psichica e «museo linguistico», l’altro con illimitato e ri-significante azzeramento; Pagliarani facendo convivere diegesi e mimesi; Porta con una coinvolgente «espansione dell’Es».
L’intento ermeneutico non è disgiunto, in Curi, da quello didattico. Un libro come il Corpo di Dafne può dare senso nuovo e spessore al rapporto – ancora possibile – tra maestro e scolari (come Curi con affetto chiama gli allievi). È un libro pieno di Cose, questo suo ultimo, materialista nell’attenzione alla fisicità (sensualità, anche) del testo, e alle sue ossessioni. Mentre guarda alle metamorfosi del soggetto è ricco di altre notizie, generoso di citazioni che non cessano di essere illuminanti, di suggerimenti critici altri, manifesti e indiretti.


“alias talpa – il manifesto”, 12 febbraio 2012

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