Giuseppe Mazzini |
Ho "postato" di recente su questo blog e
linkato su fb qui due riflessioni da un articolo di Fortini di più di
trent'anni fa, che girano intorno al tema della nazione; tema su cui
Chabod e Hobsbawm scrissero nel 900, a distanza di alcuni decenni,
due libri che più diversi non potrebbero essere, ma entrambi
bellissimi, tema su cui (si parva licet...) da alcuni
giorni mi accade di arrovellarmi, anche involontariamente.
A me sembra, per esempio, paradossale
che si parli tanto di "partito della nazione" proprio
adesso che la nazione è sostanzialmente morta, benché insepolta, e
si finge di tenerla in vita con complicati macchinari. E mi sembra
altrettanto paradossale che i segni di questa morte li avvertisse più
di altri Fortini, cioè uno degli intellettuali più consapevoli del
fatto che le "nazioni" non sono un'entità "naturale", ma - quasi sempre una costruzione
intellettuale piuttosto arbitraria -, frutto di necessità storiche avvertite soprattutto dai ceti borghesi.
In Italia tra letteratura e
nazione, tra lingua e nazione il rapporto è stato strettissimo. E la
costruzione nazionale è stata lenta e lunga prima e dopo il
Risorgimento.
La "sparata" che rese famoso Galli Della
Loggia, quella della "morte della patria" che sarebbe
avvenuta l'8 settembre con lo sfaldamento dell'esercito, è - con
tutto il rispetto - una stupidaggine. Qualcuno ha detto che la
"nazione" la fecero i partigiani del 1943-45, che la realizzò davvero, come avrebbero voluto Mazzini e Garibaldi, solo la guerra di popolo resistenziale, non le guerre
del re. Questo mi pare sostituire una retorica ad un altra. La Resistenza è
poco più che un embrione. Quel poco di "nazione" che
abbiamo avuto l'ha fatta il compromesso da cui è nata la Repubblica,
tra ceti proprietari e imprenditoriali, Chiesa cattolica, movimenti
operai e contadini, Nord e Sud, burocrazie e apparati statali,
partiti del cosiddetto arco costituzionale. A costruire quel poco o
tanto di comunità nazionale che siamo riusciti ad avere sono stati insomma la Democrazia cristiana e il Partito comunista, la televisione, la
scuola dell'obbligo, le riforme sociali degli anni 60 e 70.
Era una
costruzione che traeva vantaggi dal fatto che nella guerra fredda (o
nella pace armata) tra Est e Ovest l'Italia fosse vissuta come un
paese di frontiera; ed era nondimeno costruzione fragile, con
gravissimi squilibri ed elementi di conflitto, realizzata a pezzi e
bocconi, il che ha fatto giustamente parlare di un paese incompiuto.
Una nazione siffatta non ha retto già ai primi venti della
globalizzazione capitalistica iniziata negli anni 80: Non c'è stata
(ed era difficile che vi fosse) una disgregazione regionalistica su base etnica come per l'ex Jugoslavia o anche per la Cecoslovacchia,
ma già negli anni Ottanta s'era fortemente attenuato il legame
sociale faticosamente costruito. Poi, nella cosiddetta seconda
repubblica il "farsi i cazzi propri", le guerre di tutti
contro tutti, i particolarismi, le gelosie interne si sono
accompagnate ad una progressiva cessione di sovranità, non solo e
non tanto all'Europa, quanto ai poteri finanziari dominanti in Europa
e in tutto l'Occidente.
Quello che Fortini notava negli anni Ottanta,
l'agonìa della lingua come agonìa della nazione, mi pare che abbia oggi trovato compimento: la lingua italiana e la nazione italiana sono
tenute in vita artificialmente. Per questo un tentativo come quello
attribuito a Renzi, di rivitalizzazione leaderistico-autoritaria
dello stato nazionale, non mi pare abbia molte frecce al suo arco. E'
verosimile che l'attuale cvapo del governo riesca a cambiare la Costituzione, che alcune
sue scelte segnino profondamente (più nel male che nel bene)
l'economia e l'organizzazione sociale, ma non "farà"
l'Italia; potrà durare dieci o quindici anni, ma il suo resterà un
"governicchio" subalterno ai grandi poteri internazionali.
Se qualcuno mi chiede la soluzione, io
rispondo che a volte soluzioni progressive immediate non ci sono, che
a volte la scelta è tra il peggio e il meno peggio. Io credo che,
senza aspettarsi nell'immediato altro che risultati parziali, bisogna
puntare su un Europa politica istituzionalmente democratica e su una
nuova sinistra europea, di cui si intravedono i primi segni, capace
di costruzione e in grado di condizionare la grande palude della
conservazione filotedesca. Non è detto che vada bene: i rischi di
qualcosa che assomiglia a una guerra mondiale sono forti e questo
farebbe saltare le coordinate su cui ragiono. Ma credo che occorra
puntare sulla soluzione più favorevole, se si vuol cambiare il mondo
nel senso del benessere e dell'uguaglianza.
Questo è ovviamente un ragionamento
astratto, da intellettuale "fottuto" e isolato, con
pochissimi agganci nel mondo politico, i miei amici e compagni di
"micropolis" e pochissimi altri; ma nelle condizioni date
(anche personali) non riesco a chiedere a me stesso di più. Vedo che
qualcosa si muove, anche forze giovani con le vocazioni apostoliche
che la congiuntura richiede; capisco che dalla Grecia viene una
spinta, ma so che la Grecia ha tanti problemi suoi e che è comunque
una piccola realtà. A noi vecchi, sconfitti non senza una qualche
nostra responsabilità, tocca di stare attenti a quanto accade, a
quanto di nuovo e di buono può emergere, senza aggrapparci a schemi
inattuali e senza pretese di dettare la linea. Sono convinto che
nella battaglia delle idee possa essere utile anche il nostro
contributo.
Stato di fb, 8 febbraio 2015
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