Maometto nell'Inferno dantesco. Miniatura medievale |
Molti anni fa, prima
della rivoluzione khomeinista e prima che il fondamentalismo islamico
venisse individuato come un pericolo per la pace e la tranquillità mondiale, ci si occupava
poco della religione musulmana e del suo padre fondatore Maometto.
Pertanto si segnalò come un'eccezione, negli anni Settanta del
Novecento, il settimanale “l'Espresso” che dedicò uno speciale al
Profeta dell'Islam nella sua parte a colori (allora il periodico
constava di una parte più propriamente politica in bianco e
nero, con il formato lenzuolo dei quotidiani dell'epoca, e di un
rotocalco di varietà, “l'Espresso colore”, che di regola
conteneva una sezione monografica). Il testo
che qui riprendo ha carattere divulgativo e taglio giornalistico, ma è
opera di un intellettuale di valore, buon conoscitore delle culture
del Vicino Oriente. (S.L.L)
Maometto a colloquio con l'arcangelo Gabriele. Antica miniatura araba |
Una notte d'estate del
610, in una grotta del monte Hirà, vicino alla Mecca, fu rivelato a
Maometto d'essere il profeta di Allah. Un lume ad olio gettava luce
su quell'arabo di trenta o quarant'anni, balzato in piedi nell'udire
una voce ultraterrena. Egli era di statura media. Aveva barba
rigogliosa ed occhi grandi neri. La grossa testa, con guance scavate,
posava su spalle robuste. Vicino a lui, come ad un eremita cristiano
del deserto, posavano forse una brocca d'acqua e qualche dattero.
Attorno, nel buio, sorgeva la cresta scoscesa del colle. Si era sul
fare dell'alba, quando le stelle declinano. Una voce gli aveva
sussurrato: «Sei l'inviato di Dio!». L'uomo cadde in ginocchio,
scosso da tremiti. Pensò per un attimo di buttarsi nel vuoto, tanto
aveva paura, ma riuscì a trascinarsi all'aperto ed a scendere a
valle. Andò con quel suo passo strano, gettando i piedi in avanti,
come scalciasse. A parte lo spavento, lo angustiava il dubbio che
quella voce non fosse divina, bensì satanica oppure frutto della sua
immaginazione. Arrivato in casa, si confidò a Khadigia, la prima
moglie diletta, poi ad un cugino della sposa, il saggio Waraqa Ibn
Nawfal. Il vegliardo non nutrì dubbi sul significato e la natura del
bisbiglio. Quelle parole provenivano da un labbro celeste. Le aveva
pronunciate l'arcangelo Gabriele, staffetta di Allah.
GABRIELE PORTA UN
MESSAGGIO CONFUSO
Non è dato stabilire con
certezza se il messo di Dio apparve per la prima volta a Maometto sul
monte o altrove, nei paraggi. Comunque in quei giorni, egli vide
Gabriele librato in aria, alla distanza di appena due archi, quindi
ai piedi di un loto, nel settimo cielo, infine nel corso di un
viaggio notturno, dalla Mecca al tempio di Gerusalemme. Benché Allah
gli si manifestasse agli inizi con balbettii e frasi pressappoco
indecifrabili per cui l'apostolo registrava il verbo a gran pena, e
quasi non ne penetrava il senso, in quelle notti febbrili nacque
l'Islam, ultima religione profetica trasmessa agli arabi da un arabo,
correttivo e palingenesi d'ogni profezia anteriore. Nacque il credo
islamico, raccolto nel Corano (testo da recitarsi salmodiando),
trascritto in origine in caratteri cufici su brindelli di cuoio,
foglie di palma, ossa di cammello, cocci di vaso ed altro di
effimero. Consiste in 114 capitoli detti "sure", ciascuna
intitolata secondo alcune particolarità del contenuto (la sura della
vacca e del tuono, di Noè e di Maria, dell'ora avvolgente e
dell'inganno reciproco).
L'ANGELO FA ORARIO
UNICO
Credere in Allah, Dio
unico, e nel suo profeta Maometto, è il primo articolo di fede
musulmana. E' certo una divinità analoga allo Javeh ebraico, anche
perché singolarmente collerica. Ma, a differenza del Dio cristiano,
che a volte si lagna della cattiva condotta degli uomini, Allah,
appare refrattario ai sentimenti. Si limita a prescrivere, a
promettere premi e castighi. Comunque, sulla scorta della Genesi,
egli ha creato gli uomini a sua immagine: opera imperfetta se, a
proposito, il Corano sembra un mesto repertorio di criminali e di
malati di nervi. Gli uomini vi figurano instabili ed avidi, deboli e
frettolosi, gelosi ed ingrati al sommo grado. Tale turba di
peccatori, Allah ha alloggiato sulla terra, circondata da una
montagna a foggia di anello, 1' inaccessibile Kaf. Lui abita in
cielo, diviso in sette sfere e, da lassù, sentenzia.
Creature intermedie,
angeli e demoni vanno e vengono tra cielo e terra. I primi, come
risulta dall'escatologia cristiana, son fatti di luce e non
dispongono d'organi sessuali. I quattro arcangeli ebraici, filtrati
dal Corano, diventano Gibrail (Gabriele), Mikail (Michele), Isfrail
(Asrafil) e Asrail (Asraele). A differenza di quel che hanno
trasmesso le Scritture, Allah ha posto due angeli custodi a fianco
delle sue creature, ognuno assicurando un turno di vigilanza di
dodici ore. Succede allora che nell'attimo del cambio di guardia al
tramonto, il credente rischia di cadere in tentazione perché, in
quel momento, i demoni si affollano nei pressi. Sono gli angeli
precipitati la cui legione è comandata da Iblis (corruzione del
greco "Diabolos"), spiritelli o "ginn" fatti di
vapore e fiamma pura. Oltre a questi due tipi di geni» benigni e
maligni, il musulmano è invitato a credere ai santi profeti, ovvero
a Maometto e ai suoi predecessori. I sei principali precursori sono
Adamo, Noè (Nuh), Abramo (Ibrahim), Mosè (Musa) , Gesù ed in
ultimo il "sigillo" di tutti loro, Maometto appunto.
Naturalmente, manipolando quel poco che gli era arrivato alle
orecchie della tradizione giudeo-cristiana, o aveva letto sui testi a
Medina, il profeta incorre in errori. Cioè, a volte confonde luoghi,
tempi e personaggi. Noè lo fa disputare, ad esempio, con certi
idolatri" del sesto secolo e promuove l'Amano della Bibbia,
ministro di Asuero, in plenipotenziario di faraone. Maria, sorella di
Noè, è nel contempo la vergine madre di Cristo.
Come non bastasse, egli
introduce nel Corano brandelli di leggende arabo-pagane e
cristiano-orientali, le prime ispirate ai carovanieri dallo
spettacolo di ruderi sparsi nel deserto. Storie di popoli e metropoli
polverizzati da varie divinità si intrecciano perciò nei versetti.
Fianco a fianco, vi si stagliano le rovine di Thamud e di Sodoma e
Gomorra, ed i resti di campagne devastate dalle acque, dopo il
diluvio dei tempi di Noè. Sempre in materia di dogma, l'ultimo
comandamento di Allah impone di credere nella vita futura ed eterna
e, in ordine cronologico, nel giudizio universale il cui avvento si
configura in prodigi e cataclismi.
E' dunque dopo il
giudizio che i buoni saliranno in paradiso ed i cattivi scenderanno
all'inferno. Nulla di nuovo rispetto alle Scritture, tranne la
morfologia e lo statuto degli aldilà. L'inferno maomettano
(giahannan o gèhenna) è sovrastato da un albero terrificante, il
"zaqum", la cui particolarità consiste nell'avere teste di
demoni al posto di fiori. Vi sono disposti poi una .caldaia di pece
bollente ed un pozzo senza fondo. Angeli torturatori si adoperano di
continuo a suppliziare i dannati in ceppi. Li aspergono di bronzo
fuso, li straziano con getti di fuoco o li costringono a bere acqua
fetida. Questo l'inferno, non più orrendo di quello dantesco. Da
qui, geograficamente, si va al piano superiore, limbo su cui
l'apostolo sorvola, anticamera del paradiso promesso ai timorati di
Allah.
E' a questo punto che la
visione maomettana procede a sostanziali interpolazieni della Bibbia,
Vangelo e testi apocrifi pur ispirandovisi abbondantemente. Questo
Eden, tra i più voluttuosi dell'escatologia universale, è sì un
riflesso diretto dei mosaici, miniature e descrizioni dei giardini
paradisiaci dell'era della patristica, specie di certe paginette di
santo Efremio, ma risulta affatto privo di santa, fanciullesca
ingenuità. In altri termini, commosso da quei paesaggi bucolici,
abitati da angeli ricciuti e beati in estasi, Maometto formula
l'ipotesi che nel paradiso di Javeh i buoni si divertono alquanto,
invece di passare tutto il giorno ad adorare il Signore ed a cantare
in sua lode. Ai beati islamici egli riserva ben altra sorte. Quelli
non fanno che languire tra le braccia delle "urì", ragazze
immacolate i cui tratti fisici caratteriali, ed il loro enigmatico
possesso, contribuiscono non poco alla virtù dei maschi in terra,
onde meritarle in cielo.
Il vocabolo urì indica
che quelle spose hanno il nero e il chiaro degli occhi molto
pronunciati, occhioni cerchiati di bistro, grandi e luminosi, come di
gazzella. Che siano stupende, oltre che umili, non vi è dubbio.
Maometto le paragona a rubini e coralli e, adeguandosi al gusto arabo
per le opulente rotondità, a «uova di struzzo protette da polvere».
Queste cortigiane celesti accolgono i beati nelle loro tende ed a
loro si concedono riverse su giacigli di broccato, cuscini verdi e
tappeti mirabili. Gli amori hanno luogo in gruppo, intanto che efebi
simili a perle offrono melagrane, carni deliziose e bevande. Attorno
è il paradiso. Fiumi d'acqua limpida, latte, vino e miele, piante ed
ombra a profusione.
La parte dogmatica, nel
caso cattivante, termina con questa fantasmagoria. Resta da osservare
che la religione musulmana è concepita non solo come un giudaismo
spogliato dal cerimoniale mosaico e un cristianesimo liberato dal
concetto di trinità ma, innanzitutto, dalla nozione e possibilità
di espiazione. Novità di estrema importanza, perché connessa al
dogma della predestinazione. Ne deriva l'inutilità di dimenarsi,
volere il bene e pentirsi del male, elucubrare, struggersi e fare
alcunché. Nulla esiste ed è esistito senza che Allah lo abbia
deciso. Le azioni degli uomini, tutte, sono incise in partenza in
certa «tavola ben custodita», prima ancora che Dio creasse il
mondo. Di qui certa sclerosi razionale islamica, la sovrana saggezza,
certi collassi fatalistici.
Quanto alle leggi
canoniche, è evidente che Maometto rompe con la morale ed usanze a
lui contemporanee. A quei tempi, in Arabia, al vertice della scala di
valori erano situati l'alterigia, l'ardimento e prodigalità
inconsulta, attitudine d'uomini (gli unici esseri umani dotati di
intelligenza) che non si curavano delle conseguenze, del domani
proprio ed altrui, dei beni ed affetti, specie delle necessità
familiari e tribali. A nessuno, prima del profeta, sarebbe venuto in
mente di bollare il disprezzo per i miserabili. Etica barbarica
cavalleresca cui Maometto oppone la provvida autorità divina, di
colui che tutela le sue creature, anche gli umili, esige la carità,
la ponderatezza e l'ordine operante. Non vale la pena soffermarsi sui
precetti rituali, di cui esiste dovizia di particolari in qualsiasi
romanzo d'appendice turchesco. E' noto che il musulmano deve
purificarsi (abluzione con acqua e sabbia), pregare sei volte al
giorno, digiunare durante il mese del ramadam e compiere almeno una volta nella vita
il pellegrinaggio alla Mecca.
Della regola canonica è
piuttosto interessante indicare quelle norme e istruzioni intimamente
legate al temperamento ed alle tumultuose vicende dell'apostolo,
talché alcune "sure" rivelano gli intrighi e rovelli d'un
uomo vivo, più che la presenza spettrale d'un messaggero divino.
Soffi e correnti contrari scompigliano a volte i versetti, li mutano
in giambo, epopea, addirittura in epigramma. Da un lato il Verbo,
dall'altro il fiato umano, l'affanno e 1' astuzia. E' quando Allah,
ridotto a confidente e fiduciario di Maometto, anche a redattore di
bollettini di guerra, sorvola il Corano come una tormentata e
ragionata autobiografia del suo profeta. Si tratta di voci distinte,
oppure fuse o in contrappunto, reperibili nei due stili del libro. La
prima è celeste, espressa con precipitazione ellittica, frasi aspre,
d'un tratto sonore, comunque martellate da rime. La seconda, meno
concitata, ma sempre incisiva si snoda più esplicita, porta il
marchio della ragion politica, sociale e psicologica dell'autore.
Sono le pagine del codice, delle esortazioni, delle proteste e pure
delle scuse.
Non va dimenticato che
Maometto fu capitano intrepido oltre che un mistico, predone e
statista. Quando subisce una sconfitta, assaltando popoli e tribù,
Allah subentra l'indomani per giustificare la pochezza strategica del
profeta. Asserisce di aver voluto lui stesso la rotta, per contare i
fuggiaschi, i disertori ed i denigratori della nuova religione.
Comunque, non stigmatizza il massacro di Medina, dove 800 giudei sono
fatti decapitare da Maometto e centinaia di donne e fanciulli vengono
tradotti schiavi.
UN PROFETA MOLTO
ARMATO
Maometto è ombroso e
spietato. A differenza di Gesù, non porge l'altra guancia, dopo uno
schiaffo. In uno degli scontri tra le sue bande e i qursciti,
trovandosi accerchiato, scocca frecce e mulina la lancia. Una pietra
gli spacca un dente ed un'altra gli ammacca l'elmo, prima che un
colpo d'asta lo lasci tramortito. A quest'uomo immerso nella guerra,
negli amori e nei dilemmi governativi Allah porta sempre soccorso.
Per rendersi conto della
grandezza di quest'uomo, prendiamo il precetto coranico
dell'elemosina, obbligata e volontaria, senza di che un musulmano è
empio e destinato all'inferno. Questo genere di predicazione la
formula un miliardario che vede affluire nei suoi forzieri dinari,
gemme ed altro d'inestimabile. Oltre ai proventi delle tasse ed ai
doni personali, egli preleva un quinto del bottino preso al nemico
sul campo di battaglia ed il totale se questo viene ottenuto in
seguito a negoziati. Tuttavia, contro il suo interesse e la
cupidigia, definisce impuri i beni della terra ed ordina di
purificarli, distribuendoli ai bisognosi. Maometto risulta
rivoluzionario là dove si scaglia contro i potenti e ricorda loro
che sono nulla e meno di nulla: «Possa l'uomo perire! Quanto egli è
ingrato! Di che cosa lo creò Dio? D'una goccia di sperma!».
UN' ECCEZIONE PER
ZAINAB
E' il momento di
considerare che parte della sua legislazione circa il destino delle
donne deriva dai casi amatorii del profeta, oltre che da un'insolita
generosità virile nei confronti delle arabe del sesto secolo,
ritenute indegne di intrattenere rapporti con Dio, anzi neppure da
lui create. Maometto fu molestato dai sensi, condottiero senz'altro
rapinoso quando si trattava di cogliere una femmina tolta ai vinti o
qualsiasi altra gli desse il capogiro. Ebbe circa dieci mogli e
svariate concubine, ognuna alloggiata in padiglioni, intorno alla sua
dimora medinense. Fra le concubine, Jowayria, catturata assieme a
2.000 cammelli, 5.000 capi di bestiame ed altre 200 schiave,
Rayahana, vedova d'un nemico massacrato a Medina, Cafiya, strappata
al consorte sul punto di farlo uccidere, dopo l'assedio di Khaybar,
Zainab, di cui si appropria dopo lo stesso fatto d'arme e che serbò
e godette, benché la bella gli avesse arrostito un agnello
avvelenato, infine Maria, la copta, da cui ebbe l'unico figlio
maschio.
Tribolato da tanto
appetito sessuale e posto sovente davanti a intoppi sentimentali,
l'apostolo comincia a mischiare il divino con l'umano, 1'universale
col particolare. Impone ad esempio al suo popolo il divieto di
sposare una consanguinea, ma procura di fare un'eccezione. Permette
cioè le nozze con la moglie ripudiata dal figlio adottivo. Regola
stravagante se non avesse risolto lì per lì, dopo una opportuna
trance mistica, un problema di Maometto che appunto aveva sposato
Zainab (da non confondersi con la concubina), moglie ripudiata dal
figlio adottivo Said. L'aveva intravista una sera, attraverso la
fessura della tenda, assente Said. Colpito da tanta bellezza, ché la
nuora era discinta e lo fissava, subì poco dopo la visione di Allah
che gli ingiungeva di farla sua. Deriva dalla radice autobiografica
anche la relativa clemenza coranica riguardo alle adultere, prima
lapidate. Vengono certo fustigale (cento frustate) e recluse in casa
sino alla morte, ma solo se la colpa è provata da ben quattro
testimoni oculari. Con ciò, il profeta volle evitare il supplizio
alla moglie amatissima Aisha, sposata quando aveva sei anni. Sembra
lo abbia tradito con un suo ufficiale, durante una sosta della marcia
su Medina. Nascostasi tra i palmizi e atteso che la carovana partisse
senza di lei, Aisha commise forse adulterio in perfetta solitudine,
sicché al marito ed alle male lingue non restarono che il sospetto e
la maldicenza.
Maometto è comunque
femminista, se lo si inquadra in quel mondo e in quel secolo. Si
erige contro quanti padri rimangono fulminati dal dolore alla nascita
d'una femmina e, peggio, la seppelliscono viva. Agevola poi le
vedove, cui è dato risposarsi, quindi le ripudiate che possono
rimaritarsi, trascorsi tre mestrui, periodo durante il quale il
ripudiatore può riprendersele e, eventualmente, ripudiarle per
l'ultima volta. Servito come un re, a tratti dispostico, Maometto
raccomanda tuttavia di trattare gli schiavi con bontà, disponendo
che parte degli oboli obbligatori vengano impiegati al loro riscatto.
In definitiva, egli conserva degli usi arabi arcaici la poligamia e
la schiavitù. Però limita la prima (quattro mogli e concubine a
volontà) ed allevia la seconda. Sebbene frammentaria e rozza, anche
la legge penale è più moderata rispetto alla precedente. Autorizza
il taglione, ma stabilisce soluzioni di compromesso per le pene
riservate agli omicidi.
L'ULTIMO VIAGGIO
COL COMPAGNO PIÙ' ALTO
Illuminato e terrestre,
questo rude condottiero ebbe una morte che lo ritrae perfettamente.
Si ammala dopo aver lanciato a settentrione una nuova spedizione
militare, per una razzia in Transgiordania, oltre che per vendicare
il figlio adottivo Said, caduto in quella regione. Il profeta
comincia a deperire. Gli duole la testa, la febbre gli dà i brividi.
Avvertendo la fine, chiede alle sue spose l'autorizzazione di dormire
nel padiglione di Aisha, dove lo trascinano alcuni fedeli, lui con le
gambe tremanti e la fronte fasciata da una benda. Prima crede di
patire un attacco di Satana, poi le conseguenze di quell'agnello
avvelenato, propinatogli dalla perfida ma incantevole Zainab.
Sino all'ultimo si
rifiuta di credere che Allah lo abbia sottoposto a una umana
malattia. Ma le emicranie e la febbre lo prostrano. Spira con la
testa poggiata sul vasto grembo di Aisha. Morendo, con l'occhio nero
appuntato al soffitto, borbotta: «II compagno più alto!».
Si dice abbia rivisto
allora l'arcangelo Gabriele, per l'ultima volta. Seguono le strida ed
i singhiozzi di tutto il suo harem, irrotto nella tenda.
L'Espresso Colore, 25
febbraio 1973
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