Paolo Volponi a Ivrea, davanti alla sede dell'Olivetti |
Paolo
Volponi e Francesco Leonetti nel 1995 pubblicarono presso Einaudi Il
leone e la volpe. Dialogo nell'inverno 1994. Il volume
raccoglieva i ragionamenti di due amici, scrittori “impegnati”
che fin dalla giovinezza avevano tentato di mettere in relazione la
propria ricerca culturale e letteraria con l'Italia di ieri e di oggi
e messo in discussione la civiltà occidentale e i suoi valori.
Volponi e Leonetti avevano in comune l'esperienza di una rivista
letteraria importante, “Officina”, con Fortini, Pasolini, Romanò
e Scalia. Nel libro, in cui i due discutono di politica, industria,
classe operaia, comunismo, Volponi rievoca anche gli anni trascorsi
alla Olivetti, con quello strano imprenditore che era stato Adriano
Olivetti. “Posto” qui uno stralcio della sua testimonianza.
(S.L.L.)
1947 - Franco Fortini in una fabbrica Olivetti con un operaio |
Fui presentato ad Adriano
(Olivetti, ndr) da Carlo Bo e da Franco Fortini. Il mio curriculum
vitae lo scrisse a macchina Franco Fortini nel '49 a Milano.
Fortini lavorava all'Olivetti ma non era un «olivettiano», nel
senso che non era un ammiratore di Adriano: aveva con lui dei
conflitti. Si stimavano reciprocamente e si disapprovavano: si
criticavano molto però si rispettavano, tanto che Fortini lavorava
per Adriano e Adriano faceva lavorare Fortini, alla pubblicità; e
lui lo ripagava inventando dei nomi per le macchine; per esempio il
nome Lexicon l'ha
inventato Fortini. Fortini mi conosceva attraverso un libretto di
poesie che avevo stampato nel '48. La mia conoscenza di Gramsci,
allora, non c'era per niente; e non c'era nemmeno la conoscenza dei
testi di sociologia industriale.
Adriano e i poeti
Dove trovava Adriano i
dirigenti? In quel momento, dopo la guerra, doveva farseli, e allora
faceva colloqui e puntava sugli intellettuali, sugli uomini di
ricerca, di fantasia, sui poeti, perché li riteneva portatori di una
capacità di operare, di innovare. Così aveva affidato la pubblicità
a Sinisgalli, un poeta, e Sinisgalli l'aveva ripagato bene perché la
pubblicità della Olivetti allora era esemplare, certamente fuori
dall'ordinario, addirittura bella. Aveva grandi architetti che gli
avevano progettato fabbriche bellissime, case per gli operai,
un'urbanistica per la fabbrica di Ivrea. Ivrea non è mai diventata
un centro convulso, una periferia industriale nel senso corrente
della parola, una città squallida, come dormitorio, ma è rimasta
una cittadina che è cresciuta bene, con bei quartieri, belle case,
servizi e trasporti organizzati.
Gli intellettuali che
erano lì di che formazione erano? Di varia formazione. C'era
Pampaloni che era un cattolico, e quindi aveva una formazione
essenzialmente letteraria e politica, come un cardinale Richelieu che
sa suggerire al Principe delle idee. Però c'era anche Bigiaretti di
cui si sapeva che votava per il partito comunista, aveva fatto la
resistenza e probabilmente aveva già letto Gramsci.
C'era Franco Momigliano
che era un comunista e che forse in qualche modo si può definire un
sociologo, anche se allora la parola sembrava strana; c'era Gallino
che era in fabbrica e faceva studi ed esperimenti in fabbrica, e poi
ha scritto il primo testo di sociologia industriale nell'esperienza.
E' passato per l'Olivetti anche Insolera; c'era anche una certa
cultura di sinistra rigidamente di classe, rappresentata soprattutto
da Fortini e anche da Insolera. (...)
Fiat «espropriata»
Il rapporto col sindacato
era aperto: la Cgil pubblicava un giornalino dentro la fabbrica che
si chiamava Il tasto. Era un giornalino molto duro, che
affrontava i dirigenti anche personalmente; era molto temuto; Adriano
era molto attento a Il tasto. Certo, Adriano era un
imprenditore, forse anche un capitalista, però era uno che era
passato attraverso l'esperienza dell'antifascismo, era uno che aveva
la tessera del partito socialista, alla liberazione del paese. Il Psi
propose a Adriano di diventare commissario alla Fiat.
La Fiat, come si sa, era
stata occupata, era governata dal Consiglio di Gestione; era stata
espropriata, tolta agli Agnelli; il senatore Agnelli era addirittura
sotto processo come collaborazionista. I partiti dell'esarchia che
governavano avevano chiesto ad Adriano, subito dopo la liberazione,
di fare il commissario straordinario alla Fiat. E Adriano disse di
no. Che cosa voleva Adriano dal partito socialista? Voleva la
direzione dell' Avanti, la gestione della Fiat gli interessava meno,
quel lavoro lo faceva già all'Olivetti, ed era più interessato al
discorso culturale di rinnovamento.
Il rapporto col sindacato
da parte nostra era aperto. All'Olivetti è sempre sopravvissuto un
Consiglio di Gestione, anche dopo che i Consigli di Gestione furono
ovunque cancellati. Era, questo, un organismo prodotto dal movimento
di resistenza, dai partiti della liberazione; anche gli operai
discutevano ed eleggevano rappresentanti di un consiglio che gestiva
la fabbrica.
Certo, ormai non gestiva più la fabbrica perché questa era ritornata nelle mani di Adriano, ma era rimasto e gestiva tutti i servizi culturali e sociali dell'azienda, con un peso non solo consultivo ma anche deliberativo sui bilanci dei servizi sociali, quindi sull'istruzione, sull'assegnazione degli alloggi, sulle mense, sugli asili, su tutti quei servizi che la Olivetti promuoveva. L'esperienza poi si è frantumata.
Certo, ormai non gestiva più la fabbrica perché questa era ritornata nelle mani di Adriano, ma era rimasto e gestiva tutti i servizi culturali e sociali dell'azienda, con un peso non solo consultivo ma anche deliberativo sui bilanci dei servizi sociali, quindi sull'istruzione, sull'assegnazione degli alloggi, sulle mense, sugli asili, su tutti quei servizi che la Olivetti promuoveva. L'esperienza poi si è frantumata.
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