Si parla sovente
dell'India come uno dei grandi paesi emergenti e si sottolinea come
il suo sviluppo non riguardi soltanto le manifatture, ma anche
prodotti con alto valore aggiunto nel campo delle telecomunicazioni e
dei servizi. E, tuttavia, in quel paese con questa modernità
convivono sacche di arcaismo, che lasciano trasparire feroci rapporti
di dominio. Questa contemporaneità del non contemporaneo è evidente
nella situazione che l'inviato della “Stampa” raccontava un paio
di anni fa nell'articolo qui “postato” e che non pare si sia di
molto modificata. (S.L.L.)
Appena arrivata nella sua
nuova casa dopo un viaggio interminabile attraverso l’India, Sreeja
Singh fu colpita da un particolare. La maggior parte delle donne che
vedeva per le strade di Sorkhi, piccolo villaggio in un distretto
rurale nello Stato dell’Haryana, avevano il volto coperto dal velo.
Eppure era una comunità hindu. «In Kerala, dove sono nata, solo le
donne musulmane usano il velo - dice -. Qui invece è un costume
diffuso tra le donne sposate, anche se gli abitanti sono induisti.
Non è tutto. Una donna che cammina da sola non è ben vista. Può
accadere che venga molestata e assalita».
Sreeja è una paro, una
delle «mogli comprate» che si spostano da un estremo all’altro
del subcontinente al seguito di un marito sconosciuto. Partono a
migliaia dal Kerala, nel Sud del paese, o dall’Orissa e dal
Bengala, nell’Est, per iniziare una nuova vita nel Nord, in
Haryana, in Punjab, nella stessa Delhi, la capitale. Spesso si
ritrovano in una prigione familiare. Non si tratta dei soliti
matrimoni combinati, tuttora una consuetudine in India. Le «spose
straniere» arrivano da realtà lontane, da abitudini diverse. Non
portano nessuna dote. Anzi, è il futuro marito a pagare la famiglia
- quasi sempre molto povera della sposa. La cifra media per
l’acquisto di una ragazza giovane è di 100 mila rupie, circa
duemila euro. Per protestare contro il traffico delle mogli, Empower
People, una ong indiana, ha organizzato, all’inizio di marzo, una
marcia che dalle regioni del Bihar, dell’Assam e del Bengala farà
convergere i manifestanti su Delhi.
I matrimoni interstatali
sono un fenomeno nuovo per l’India. Le unioni combinate sono sempre
avvenute all’interno dello stesso gruppo sociale; e sono le spose a
portare con sé una ricca dote. Negli ultimi anni, però, in molti
Stati indiani la forbice dei sessi si è allargata: le nascite delle
bambine sono diminuite drasticamente rispetto a quelle dei maschi. In
Haryana, il rapporto è di 877 donne ogni mille uomini. Se poi si
guarda sotto i 7 anni di età, le bambine sono a quota 830. Molto al
di sotto della già bassa media indiana che, secondo l’ultimo
censimento, è di 914 femmine ogni mille maschi. In Punjab, dove è
avvenuto l’ultimo stupro di gruppo che ha indignato il paese, il
divario è appena inferiore rispetto allo Stato confinante
dell’Haryana. Anche a Delhi la proporzione tra i sessi è
sbilanciata. La causa sono gli aborti selettivi, proibiti per legge
(come la compravendita delle mogli e la stessa dote), ma praticati in
maniera diffusa, soprattutto al Nord. Secondo dati dell’Onu, in
India vengono abortiti duemila feti femminili al giorno. E si calcola
che le bambine che mancano all’appello negli ultimi dieci anni
siano otto milioni. Così, la vendita delle mogli e la scomparsa
delle figlie appaiono strettamente legate.
In Punjab, considerato
una delle riserve agricole dell’India, è stato coniato un termine
singolare: la «carestia delle spose». «Quando mio figlio ha
compiuto 35 anni, ci siamo resi conto che non c’era nessuna
candidata disponibile nel nostro villaggio o nella nostra cerchia
sociale. Così abbiamo dovuto accettare una moglie da un altro Stato»
racconta Mahinder Singh, patriarca in un villaggio del Punjab. Lo
scopo ultimo, ammette, è quello di continuare la linea familiare
paterna, di avere figli maschi. Continuando ad allargare il divario
tra i sessi. A volte, questi matrimoni possono causare uno choc
culturale, come nel caso di Shreeja, che, intervistata dall’inglese
«Bbc», afferma di non sentirsi sicura nella sua nuova vita. Ma può
andare molto peggio. Secondo organizzazioni non governative come
Shakti Vahini, molte delle spose sarebbero sfruttate e picchiate,
impiegate come serve, costrette ad abortire se il nascituro è
femmina. E, alla fine, abbandonate. O rivendute. Come è accaduto a
Munni Devi, nel Rajastan, lo Stato dei palazzi principeschi, venduta
a quattro diverse persone, nel corso di tre anni. È stata fermata
dalla polizia mentre abbandonava una bambina di due anni al margine
della strada. Le autorità hanno scoperto organizzazioni criminali
che gestiscono il traffico delle mogli, soprattutto dagli Stati
orientali. Intanto il distacco tra i sessi si allunga. Se in Stati
come l’Haryana il processo si è leggermente invertito, in altri
quali il Kashmir, la nascita delle bambine è precipitata. Gli
scapoli indiani rischiano di dover fare molti viaggi per sposarsi,
nel prossimo futuro.
“La Stampa”, 28
febbraio 2013
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