Non mi lascia la mente un verso, anzi
due, di Filippo Turati, da Su fratelli, su compagni. Quei bisnonni
saranno anche stati riformisti e positivisti ma certe cose le avevano
capite. I versi dicono: «I nemici, gli stranieri / non son lungi ma
son qui». È una versione un po' carducciana di quel che, in modi di
più truculento pacifismo, proclama la seconda strofe della
Internazionale, se la si traduce dall'originale francese: «Se si
ostinano, quei cannibali,/ a far di noi degli eroi/ presto sapranno
che le nostre pallottole/ sono per i nostri stessi generali».
Voglio insomma dire che non sono gli stranieri a imporci la loro
lingua. Siamo noi che ce la lasciamo imporre dai nostri connazionali.
E, se ci sta bene, che male c'è?
da Vecchio e nuovo (gennaio '82), in Insistenze, Garzanti, 1985
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