Due anni fa “la
Repubblica” pubblicò una breve anteprima del libro di Zygmunt
Bauman, Il pianeta delle disuguaglianze,
in cui il celebre sociologo, noto soprattutto come teorico e analista
della società “liquida”, denuncia l'ingiustizia sociale
crescente, che tende ad uccidere la democrazia. La posto qui, come
promemoria. (S.L.L.)
Zygmunt Bauman |
Uno studio recente
dell’Istituto mondiale per la ricerca sull’economia dello
sviluppo (World Institute for Development Economics Research)
dell’Università delle Nazioni Unite riferisce che nel 2000 l’1
per cento delle persone adulte più ricche possedeva da solo il 40
per cento delle risorse globali, e che il 10 per cento più ricco
deteneva l’85 per cento della ricchezza mondiale totale. La metà
inferiore della popolazione adulta del mondo possedeva l’1 per
cento della ricchezza globale. Ma questa è solo l’istantanea di un
processo in corso... Notizie sempre più negative e sempre peggiori
per l’uguaglianza degli esseri umani, e quindi anche per la qualità
della vita di tutti noi, si susseguono di giorno in giorno.
«Le disuguaglianze
planetarie attuali avrebbero fatto arrossire di vergogna gli
inventori del progetto moderno, Bacone, Descartes o Hegel»: è la
considerazione con cui Michel Rocard, Dominique Bourg e Floran
Augagner concludono l’articolo “Le genre humain menacé”
pubblicato a firma di tutti e tre in Le Monde del 2 aprile 2011.
Nell’epoca dei Lumi in nessun luogo della terra il livello di vita
era di più di due volte superiore a quello della regione più
povera. Oggi, il paese più ricco, il Qatar, vanta un reddito pro
capite di ben 428 volte più alto del paese più povero, lo Zimbabwe.
E questi, non dimentichiamolo, sono confronti fra medie, che ricadono
quindi nella storiella del pollo di Trilussa...
L’ostinata persistenza
della povertà su un pianeta alle prese col fondamentalismo della
crescita economica è già abbastanza per indurre le persone pensanti
a fermarsi un momento e a riflettere sulle vittime dirette e
indirette di una così ineguale distribuzione della ricchezza.
L’abisso sempre più profondo che separa i poveri e privi di
prospettiva dai benestanti ottimistici, fiduciosi e chiassosi — un
abisso di profondità tale che già è al di sopra delle capacità di
scalata di chiunque salvo gli arrampicatori più muscolosi e meno
scrupolosi — è una ragione evidente per essere gravemente
preoccupati. Come gli autori dell’articolo appena citato
ammoniscono, la principale vittima della disuguaglianza che si
approfondisce sarà la democrazia, in quanto i mezzi di sopravvivenza
e di vita dignitosa, sempre più scarsi, ricercati e inaccessibili,
diventano oggetto di una rivalità brutale e forse di guerra fra i
privilegiati e i bisognosi lasciati senza aiuto. Una delle
fondamentali giustificazioni morali addotte a favore dell’economia
di libero mercato, e cioè che il perseguimento del profitto
individuale fornisce anche il meccanismo migliore per il
perseguimento del bene comune, risulta indebolita. Nei due decenni
che hanno preceduto l’accendersi dell’ultima crisi finanziaria,
nella grande maggioranza dei paesi dell’OCSE il reddito interno
reale per il 10 per cento delle persone al vertice della piramide
sociale è aumentato con una velocità del 10 per cento superiore
rispetto a quello dei più poveri. In alcuni paesi, il reddito reale
della fascia al fondo della piramide è in realtà diminuito.
Le disparità di reddito
si sono quindi notevolmente ampliate. «Negli Stati Uniti, il reddito
medio del 10 per cento al vertice è attualmente 14 volte quello del
10 percento al fondo», si vede costretto ad ammettere Jeremy Warner,
caporedattore di The Daily Telegraph, uno dei quotidiani più
entusiasti nell’esaltare la «mano invisibile» dei mercati che
sarebbe capace, agli occhi tanto dei redattori quanto dei lettori, di
risolvere tutti i problemi da essi creati (e magari qualcuno in più).
Warner aggiunge: «La crescente disuguaglianza del reddito, benché
ovviamente indesiderabile dal punto di vista sociale, non ha
necessariamente grande rilevanza se tutti diventano
contemporaneamente più ricchi. Ma se la maggior parte dei vantaggi
del progresso economico vanno a un numero relativamente ristretto di
persone che guadagnano già un reddito elevato — che è quanto sta
accadendo nella realtà di oggi — si avvia evidentemente a
diventare un problema».
L’ammissione, cauta e
tiepida nel suo tenore ma piena di comprensione anche se solo
semivera nel suo contenuto, arriva al culmine di una marea montante
di scoperte dei ricercatori e di statistiche ufficiali che
documentano la distanza rapidamente crescente fra quelli che sono in
cima e quelli che sono in fondo alla scala sociale. In stridente
contraddizione con le dichiarazioni dei politici, che pretendono di
essere riciclate come credenza popolare non più soggetta a
riflessione né controllata né messa in discussione, la ricchezza
accumulata al vertice della società ha mancato clamorosamente di
«filtrare verso il basso» così da rendere un po’ più ricchi
tutti quanti noi o farci sentire più sicuri, più ottimisti circa il
futuro nostro e dei nostri figli, o più felici...
Nella storia umana la
disuguaglianza, con tutta la sua fin troppo evidente tendenza ad
autoriprodursi in maniera sempre più estesa e accelerata, non è
certo una notizia. E tuttavia a riportare di recente l’eterna
questione della disuguaglianza, delle sue cause e delle sue
conseguenze, al centro dell’attenzione pubblica, rendendola
argomento di accesi dibattiti, sono stati fenomeni del tutto nuovi,
spettacolari, sconvolgenti e illuminanti.
"Corriere della sera", 26 febbraio 2013
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