1.2.13

Jack London? Gli davamo del tu (di Giovanni Arpino)

Jack London
Ideologicamente? È rischioso palleggiarlo. Stilisticamente? Può far arricciare più di un naso fine. La sua importanza? Forse sta solo nel gorgo fangoso — ma proprio per questo straordinario — di una letteratura popolare e vitalistica.
Jack London, che tempra. Nasce un anno prima che la regina Vittoria diventi l'imperatrice delle Indie. Muore mentre Freud scrive l'Introduzione alla psicanalisi, mentre Dostoevskij medita i Karamazov e Apollinaire sta per coniare il termine « Surrealismo ».
Ma lui, che ne sapeva? Per me, quest'uomo vagabondo, rissoso, narratore che si sente marinaio, giornalista che si sente narratore, è un grande. E lo è anche se gira non in tenuta poetica, ma con una camicia a rozzi quadri, con le tasche rigonfie e lacere del randagio. Scrive legando nodi d'avventure, spezzando i capitoli con l'accetta? Benissimo, vivaddio. Il suo vitalismo gli procurerà smorfie da parte dei fedeli di una pagina ben coltivata? Controprova decisiva, a mio parere.
Per Jack London, la vita è una tigre, una iena, un terremoto dove ognuno deve pagar prezzi mostruosi, dove chi manca di coraggio è giusto che vada sulla forca, e dove chi ha coraggio non può non diventar cinico e bruto, in modo da meritarsi la forca anche lui. Il suo miglior personaggio, la sua più felice creatura è un cane, quel Buck che «serve» per una vita poi cede al «richiamo della foresta».
Sempre ingolfato, disperato, sanguigno, velleitario, con tutti i muscoli gonfi, London è un «qualcuno » con cui fare i conti (e divertirsi al giro avventuroso che combina). Un «qualcuno» che i lettori schietti sanno capire: penso a un ferroviere, a un ubriacone, a un giocatore di carte della profonda provincia piemontese, che mi parlavano di London come di un fratello. Spartivano con lui l'identica visione cruda e nuda della vita, la stessa rabbia contro il destino, crogiuolo di ingiustizie.
Titano dalle scarpe scalcagnate, Jack si fa dare del «tu» da chicchessia. Per uno scrittore è il massimo dell'elogio. Le riserve lasciamole al professorini ignari del battito cardiaco, sordi ai «richiami ».

Postilla
Il testo proviene da un ritaglio su “Tuttolibri” de “la Stampa” senza indicazioni di data, ma certamente risalente agli ultimi anni 70 del Novecento. (S.L.L.)

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