Robert Louis Stevenson |
Tra i ventisette e i trent’anni Robert Louis Stevenson collaborava a un settimanale, il “London”, di tendenza «tory», diretto da amici suoi. Fu nel “London” che R.L.S. pubblicò la prima serie dei suoi racconti, tra i quali Il Club dei suicidi e Il diamante del Rajah, più molte collaborazioni non firmate riprese poi nei suoi volumi di saggi. Ma prima ancora era parso nel “London”, anonimo, un racconto lungo o romanzo breve d'una cinquantina di pagine, An Old Song, che è sicuramente di Stevenson ed è sicuramente la sua prima prova narrativa compiuta (1877).
Nessuno se n'era mai accorto prima di quest'anno, quando uno studioso americano, Roger G. Swearingen, ha scoperto che alcune minute trovate nei manoscritti giovanili di R.L.S. (il fondo più importante di carte stevensoniane è all'università di Yale) appartengono a quel frammento trovato nei manoscritti giovanili, in un volume non facile da trovare, coedizione di due piccole case editrici, una del Connecticut e una scozzese.
Il fatto che l'autore non abbia mai pensato a ripubblicarlo, prova che egli considerava An Old Song un tentativo ancora immaturo. Difatti lo sviluppo narrativo è ancora povero, ma si tratta comunque d'un testo molto interessante perché, nel legame e contrasto tra due fratelli (o cugini), contiene un netto preannuncio del suo capolavoro, il Master of Ballantrae. (Qualcuno dice anche del Dr. Jekyll and Mr. Hyde, ma direi solo nel senso che dimostra come già Stevenson tendesse a contrapporre due personaggi che sono come le due metà dissimmetriche d'un'unica persona).
Educazione puritana
L'azione si svolge in una solitaria casa scozzese, dove un anziano colonnello convertitosi allo zelo religioso educa severamente due nipoti, cugini tra loro, John e Malcolm. Lo zio preferisce palesemente John, di carattere più fiero e impulsivo, al più docile e saggio Malcolm, ed è già deciso che John sarà il suo erede. Questo Colonnello Falconer è la prima incarnazione che R.L.S. dà d'un'immagine paterna che aveva avuto un peso considerevole negli anni più sofferti della sua breve vita, dominati dai dissidi col padre per motivi di comportamento e sul modo d'intendere la religione. Difatti nel racconto la severità dell'educazione puritana è uno dei moti vi che scatenano il dramma. Non il motivo principale, però: tutti restano prigionieri d'equivoci su se stessi e sugli altri.
Un giorno la fidanzata dichiara a John che non ama lui ma Malcolm; John decide che è suo dovere rinunciare tanto al matrimonio quanto all'eredità in favore del cugino. La stessa sera egli trova il modo di ribellarsi allo zio in modo tanto irreparabile da dover abbandonare la casa Inizia per lui una vita grama, d'impieghi in giornali che falliscono, alcolismo, disoccupazione. Finisce per tornare alla vecchia casa solo dopo la morte dello zio, accolto con qualche impaccio da Malcolm e dalla moglie. A poco a poco scopre che lo zio non aspettava altro che il suo ritorno, che non è vero che la ragazza non lo amasse, che il cugino non meritava la sua abnegazione. Dopo una rissa violenta col cugino, in cui quasi 1' ammazza, abbandona la casa per sempre.
La frase finale dice: «Pioveva senza soste, e le strade da quelle parti erano percorribili a mala pena per chi viaggiava a piedi».
Il pudore nell'esplicitare sentimenti e passioni, l'esclusione d'ogni giudizio o commento sono i segni d'uno stile come scelta poetico-morale che il giovane R.L.S. si prefigge, ma manca ancora tutto quello che il lettore di R.L.S. adulto s'aspetta come efficacia di visione e d'emozione. Tutti gli aspetti tenebrosi e avventurosi che saranno presenti nel Ballantrae, qui sono soffocati, anzi negati. Quello del giovane Stevenson è un romanticismo che castiga se stesso.
Già ben delineato è però quello che sarà il grande tema del Ballantrae: il «buono» che a poco a poco si dimostra, implicitamente, egoista e subdolo, mentre, altrettanto implicitamente, la nostra simpatia viene conquistata dal «cattivo». In più qui c'è il risalto che acquista la figura del vecchio zio: è a questo personaggio che appartiene il tratto psicologicamente più sottile del racconto: il severo colonnello, nonostante tutto, segretamente comprende il nipote ribelle più di quello obbediente, perché riconosce nel primo un'esigenza morale d'andare fino in fondo affine alla sua. E vi possiamo vedere una definizione che il giovane Stevenson cercava di dare ai suoi problemi col padre.
L'altro testo (un inedito assoluto) che il volume contiene è l'inizio (una ventina di pagine) d'un romanzo epistolare, le Lettere edificanti della famiglia Rutherford, anteriore all'altro di quattro o cinque anni e più giovanile ancora come contenuto, ma d'una scrittura molto più ricca. Anche qui dissidio tra padre e figlio sulla religione e 1'austerità di condotta, e anche qui accenni a una possibile comprensione nella diversità.
L'altra novità dell'annata (questa nell'ambito italiano) da segnalare agli appassionati di Stevenson è l'uscita del volume dei «Meridiani» Mondadori dedicato al narratore scozzese, a cura dell'infaticabile Attilio Brilli (R.L. Stevenson, Romanzi, racconti e saggi, pagg. 2000, lire 30.000).
La scelta è ricca e comprensiva di tutte le opere f ondarne ntali e di parecchi testi più rari: oltre ai romanzi maggiori, e a tutte o quasi le raccolte di racconti (ma i titoli dei singoli racconti non figurano nell'indice, e nemmeno nei titoli correnti, cosicché cercare un racconto sfogliando le duemila pagine in carta India è un bel problema), ci sono alcuni dei romanzi meno conosciuti, come Il riflusso della marea (The Ebb-Tide), una selezione delle memorie di viaggio di questo grande infermo che viaggiava come un hippy, e un centinaio di pagine di saggi.
Precursore dì Jakobson
La scelta dei saggi è la maggiore novità per l'Italia (almeno, io non ricordo altre traduzioni) e la più interessante, dato che questo maestro del romanzesco era un uomo d'una coscienza critica più unica che rara. Purtroppo non è stata inclusa nella scelta la più fondamentale dichiarazione di poetica stevensoniana: A Humble Remon-strance, saggio scritto nel 1884 in risposta al saggio The Art of Fiction del suo amico Henry James. (L'ha ricordato recentemente in televisione il vecchio stevensoniano Mario Soldati). Mentre James sosteneva che il romanzo deve «competere con la vita», R.L.S. ribatte che il romanzo deve funzionare come romanzo, mentre la vita è un'altra cosa, molto meno ordinata e finalizzata. La lucidità e la concretezza di Stevenson nel capire cosa sono i mezzi letterari e le strategie del loro impatto sono d'una modernità e d'una esattezza straordinarie. Tra i saggi compresi nel volume dei «Meridiani» ce n'è uno ancora più inaspettato: quello sugli Elementi tecnici dello stile, dove R.L.S. per spiegare la suggestione di certi versi e di certi brani di prosa precorre le analisi fonetiche e fonologiche di Roman Jakobson.
Un gioiello del volume è il saggio La casa ideale. Vi si dice tra l'altro che lo studio dello scrittore deve avere cinque tavoli: uno per il lavoro del momento, uno per i libri da consultare, uno per manoscritti e bozze, un quarto sgombro per ogni occorrenza e un quinto per le carte geografiche! Tra le molte meraviglie che R.S.L. sogna per la sua casa — tutto d'un'estrema semplicità, compresi «un Corot e un Claude o due» — c'è uno spazio in soffitta per le battaglie dei soldatini di piombo.
“la Repubblica”, 2 dicembre 1982
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