Una brillante e gustosa
ricostruzione giornalistica della campagna elettorale del 1948, che
segnò la nascita dell'Italia democristiana. (S.L.L.)
Ancora oggi quarant'anni
dopo politologi ed esperti di mass-media s'interrogano sulla campagna
elettorale del 1948. Quella, per intenderci, che vide la sconfitta
dei socialcomunisti e la nascita di quell'Italia democristiana che ci
governa ininterrottamente da quattro decenni.
L'Italia, in effetti,
comincia a diventare democristiana nelle ultime settimane del
febbraio 1948. È in quei giorni che attorno alla Dc, a De Gasperi,
ai suoi uomini più rappresentativi si va formando un consenso
elettorale che andrà ben oltre ogni prevedibile aspettativa. Eppure
in quelle convulse giornate a cavallo tra l'inverno e la primavera le
forze in campo sembrano equilibrate e con pari probabilità di
vittoria. Da una parte il Fronte democratico popolare guidato da
Togliatti e da Nenni che ha raccolto complessivamente nelle elezioni
per la Costituente del 2 giugno 1946 più del 40 per cento dei voti;
dall'altra, c'è la Dc che, con il suo 35,18 per cento è diventata
la calamita e il centro propulsore di uno schieramento anticomunista
e proamericano che va dai socialdemocratici ai liberali. In più ci
sono alcuni milioni di voti incerti e vaganti che bisogna
assolutamente conquistare.
La forza d'urto del
Fronte è naturalmente costituita dai comunisti. Con i suoi 2.283.000
iscritti, le 8.700 sezioni, le 36.000 cellule, il suo compatto nucleo
dirigente di rivoluzionari professionali, il Pci acquista fin dalle
prime battute il ruolo di leader indiscusso. Il Psi che pure il 2
giugno con 4.758.129 voti si è confermato il secondo partito
italiano segue con una certa fatica. I suoi dirigenti sono divisi.
Molti militanti mugugnano per il blocco elettorale con i comunisti.
L'otto febbraio, infine, un'altra brutta notizia. Alcuni dirigenti di
fama e di grande passato, Ignazio Silone, Ivan Matteo Lombardo, Aldo
Garosci, abbandonano il Fronte e danno vita all'Unione dei socialisti
italiani.
La prima scaramuccia si
risolve in un netto successo del Fronte. Il 15 febbraio, durante un
turno di elezioni amministrative a Pescara, il blocco socialcomunista
più alcuni ex repubblicani e indipendenti di sinistra guadagnano
circa 4000 voti rispetto al 2 giugno e ottengono addirittura la
maggioranza assoluta in consiglio comunale. Per Nenni è un segnale
augurale di successo. Scrive infatti nel suo diario: “Ho chiuso
stasera a Pescara la campagna elettorale del Fronte. Se debbo
giudicare dal successo del discorso la vittoria è sicura”. Più
enfaticamente Paolo Bufalini commenta invece su “Rinascita”: “A
Pescara il Fronte ha dato la sua prima grande battaglia e l'ha vinta.
Il significato politico di questa vittoria è oramai pacifico nella
coscienza delle masse popolari e di tutto il paese”. A Pescara si
sperimenta per la prima volta la durezza dello scontro elettorale. Al
qualunquista Zampaglione che aveva affisso manifesti volgari
invitandolo ad un pubblico contraddittorio, il mite Umberto Terracini
risponde: “Si faccia prima il bagno il signor Zampaglione”.
Comizio dopo comizio
crescono la virulenza polemica e le grandi grossolanità della
propaganda. In un manifesto il nome di Togliatti appare in mezzo a
macchie grondanti sangue. In un altro la sua testa è schiacciata
sotto gli zoccoli di cavalli al galoppo. In certi bollettini
parrocchiali la sigla F.D.P. (Fronte Democratico Popolare) viene
tradotta in Funerale di Palmiro: Agnosco stilum Romanae Curiae
è il commento sarcastico di Togliatti.
Nessuno neppure l'acuto e
lungimirante segretario del Pci poteva però prevedere quale sarebbe
stato l'apporto della Romana Curia nella campagna elettorale. Dopo
un'accurata preparazione durata molti mesi la Chiesa e il suo
pontefice Pio XII in prima persona scendono in campo schierando a
fianco della Dc un vero e proprio esercito fiancheggiatore. L'otto
febbraio è Luigi Gedda presidente dell'Azione Cattolica a dar
battaglia mobilitando i Comitati civici, una formazione di sostegno
elettorale che può contare sull' appoggio di 22.000 parrocchie e di
300.000 attivisti. I Comitati civici confermerà molti anni dopo
Giulio Andreotti ad Antonio Gambino hanno svolto un'azione preziosa:
“Anche il linguaggio usato nei loro opuscoli, slogan come coniglio
chi non vota hanno avuto un ruolo notevole nello scuotere gli
strati più assonnati della popolazione e nel creare quindi le
premesse di quel voto di massa da cui è dipeso il nostro successo
elettorale”.
Una volta costituita la
massa d'urto anti-Fronte, bisogna fornire al nuovo esercito una
adeguata motivazione ideologica. Ed ecco pronti a intervenire i più
grossi calibri della Chiesa. In prima fila Pio XII che abbonda in
discorsi e perfino in apparizioni in pubblico. Ai lati del papa, due
cardinali terribili: l'arcivescovo di Milano Ildebrando Schuster che
ordina ai suoi sacerdoti di non dare l'assoluzione ai comunisti o ad
altri aderenti contrari alla religione cattolica. E l'arcivescovo di
Genova Giuseppe Siri che non ha la mano meno pesante.
Sull'altro fronte non
difettano certo l'attivismo dei militanti e la mobilitazione delle
macchine di partito. Alla inaspettata violenza degli avversari si
cerca di rispondere con un apparente maggiore fair play. La
direzione del Pci invita, per esempio, a non accettare lo scontro
frontale; ordina alle federazioni di non dare carattere di partito
alle manifestazioni del Fronte; consiglia di non mettere troppo in
mostra bandiere rosse, falci e martelli e di valorizzare quanto più
possibile la faccia barbuta, virile e bonaria di Giuseppe Garibaldi.
A Roma, seguendo queste indicazioni, i primi manifesti che annunciano
i comizi del Fronte sono stampati su carta azzurra, pervinca, rosa
pallido, beige, giallo canarino, bois de rose, viola, verde pisello.
Questa difficile pratica dell'understatement non impedisce ai
propagandisti del Fronte di usare qualche volta toni pesantissimi.
Sull' “Unità” del 17 marzo, per esempio, si può leggere questo
titolo a caratteri cubitali con didascalia: Sferzante risposta di
Longo all'ex deputato austriaco De Gasperi: Se si deve parlare
di un partito, di un uomo, di un governo che è asservito allo
straniero, questo governo è il governo presieduto da De Gasperi.
Si punta molto sulla pace e sulle provocazioni della polizia di Mario
Scelba. Selvaggia spedizione poliziesca contro Firenze.
Perché? Non vogliono le elezioni, è un altro titolo
indicativo dell' “Unità”.
Nenni è il più
battagliero, il meno propenso ai compromessi, più disposto di
Togliatti a rintuzzare con argomenti pesanti la propaganda
avversaria. “Pranzato con Togliatti. - scrive nel diario il 2 marzo
- Sulla situazione generale pensa come me che dobbiamo vincere o in
ogni caso rasentare la vittoria. Mi è sembrato un po' incline a
preferire l'opposizione che io stimo pericolosissima”. Nenni, e in
parte anche Togliatti, non si rendono conto del carattere totale che
i capi democristiani e la Chiesa di Pio XII stanno imprimendo alla
campagna elettorale. Inutilmente Nenni e con lui i propagandisti del
Fronte si affannano a ripetere che le elezioni non si combatteranno
per Cristo o contro Cristo, per l'America o contro l'America, per la
Russia o contro la Russia. Le elezioni si faranno per i consigli di
gestione, per la nazionalizzazione dei grandi complessi industriali,
per la riforma, per la questione meridionale, per tutti i problemi
che la classe borghese ha eluso per mezzo secolo.... Questioni
importanti, verità anche sacrosante, ma che fanno poca presa sui
futuri elettori, soprattutto su quelli ancora incerti. Di fronte alla
scomunica, ai preti e ai caschi blu dei Comitati civici di Gedda,
alle prediche roboanti e apocalittiche di padre Lombardi detto il
microfono di Dio, l'arsenale propagandistico della sinistra dispone
di vecchi archibugi per fronteggiare un'armata provvista di moderni
cannoni. La battaglia è impari.
Come contrattaccare? Le
teste d'uovo del Fronte pensano di avere trovato l'arma vincente.
All'esercito raccogliticcio e sanfedista della Dc, il Fronte
contrapporrà il fior fiore del pensiero laico, le menti più
illuminate della cultura italiana. La mobilitazione, la caccia
all'intellettuale frontista è considerata dai dirigenti del Psi e
del Pci molto importante, ma assume, per la fretta e la frenesia con
cui viene condotta, aspetti pittoreschi e qualche volta umoristici.
Le adesioni sono indubbiamente di prestigio e coprono l'intero arco
culturale. Si va da Artuno Carlo Jemolo a Lionello Venturi, da Pietro
Pancrazi a Manara Valgimigli, da Gabriele Pepe a Massimo Mila, da
Luigi Russo a Silvio D'Amico, da Roberto Longhi a Giacomo Devoto, da
Alba de Cespedes a Cesare Zavattini, da Giacomo De Benedetti ad
Alberto Savinio. In pratica quasi tutte le vecchie e le nuove leve
della cultura, dalla pittura al cinema, dalla letteratura al mondo
accademico, aderiscono in modo più o meno convinto all' Alleanza
per la difesa della cultura. Non mancano gli equivoci e i
contrattempi. Sull' “Europeo” del 7 marzo si legge: “Tutti i
manifesti dell' Alleanza, per esigenze alfabetiche, cominciano con la
firma di Corrado Alvaro e finiscono con quella di Cesare Zavattini,
per cui si dice che l'intelligenza italiana è sempre presente quando
si tratta di firmare: presente, dall'Alvaro allo Zavattini”.
La battaglia delle firme
non è indolore. Alcuni ritrattano, altri dicono di essere stati
tratti in inganno, altri ancora, come Guido De Ruggiero, scrivono ai
giornali lettere per chiarire bene il significato politico della loro
adesione. Ernesto Rossi su “L'Italia Socialista” commenta in modo
feroce l'adesione in massa degli intellettuali: “In
Jugoslavia i dirigenti comunisti chiamano questi intellettuali
Koristni Nevini' (gli utili idioti). A Firenze dicono: Pei
bischeri non c' è paradiso”.
Togliatti invece è molto
soddisfatto dell'adesione di tanti intellettuali famosi. Accentua, se
possibile, la sua polemica con un De Gasperi austriacante ed
oscurantista, fornito di una cultura papalina e retriva, così aliena
dalla tradizione italiana. In quei giorni, scrive Gorresio, Togliatti
se la prende di nuovo con De Gasperi che in un discorso ha accennato
di sfuggita alla incomprensibilità di Beethoven. “Ogni volta che
lo ascolto - scrive Togliatti riferendosi al presidente del Consiglio
- che leggo le sue parole, più lo sento distante dall'animo nostro
di latini, che Beethoven siamo capaci di godere nella successione dei
ritmi suoi aerei, senza concedere al nordico costume che anche nella
musica sua divina introduce tenebrose interpretazioni e finzioni”.
“L'articolo - scrive Gorresio - è apparso il 18 febbraio 1948 e
quella prosa raffinata aveva per titolo I misteri del Cominform”.
Gorresio ricorda però che l'improvviso amore di Togliatti per gli
intellettuali è un po' tardivo e sospetto. Non è stato lui a
scrivere, nella prefazione alle Memorie di un barbiere di
Germanetto, che i letterati italiani sono sempre stati nella loro
grande maggioranza una masnada di giullari che servono un padrone e
si fanno gli sberleffi l'un l'altro per divertirlo?
Ma non è certo la
mobilitazione degli intellettuali progressisti che può arginare
l'avanzata delle armate papaline e democristiane. O con Cristo o
contro Cristo non è soltanto uno slogan. È il collettore di
sentimenti largamente diffusi che la barba e il volto sorridente di
Garibaldi non riescono ad esorcizzare. Poi le Madonne cominciarono a
piangere. La prima a muoversi, e a lacrimare, è la statua della
Vergine posta sulla facciata del santuario di Santa Maria degli
Angeli ad Assisi. Il Messaggero scrive: “Mentre l'aureola, fissata
alla statua, e formata da numerose e potenti lampadine rimane
immobile, il volto della Madonna accenna a muoversi da destra a
sinistra, nel mentre che il torace si solleva come in un respiro
affannoso. Il fenomeno non avviene in modo continuativo, ma solo di
tanto in tanto ed è scorto contemporaneamente da tutti i
presenti...”.
Poi la Madonna appare a
un gruppo di contadini di Rocca San Felice nel Napoletano, a Sant'
Angelo dei Lombardi, a Piano San Lazzaro nell'Anconetano, mentre
altre Madonne di Lourdes compaiono e scompaiono nel Cuneese, in
Garfagnana, a Valdottavo, a Cagliari. Prodigi a catena, Cristi che
sanguinano, Santi che si lamentano con ritmo sempre più incalzante.
“Al punto - scrive Mino Guerrini - che perfino il diffidentissimo
Sandro De Feo dovette muoversi da Roma ed arrivare a Napoli per
ispezionare il corpo di suor Giuseppina di Gesù Crocifisso, ancora
intatto e senza fetore dopo quindici giorni. Lo scrittore annusò e
sentì, al massimo, un odor di santità” . Del resto, perché
meravigliarsi? Non è stato forse lo stesso cardinale Schuster ad
annunziare che la lotta del drago infernale contro il Cristo e la sua
Chiesa è entrata nella sua fase disperatamente acuta? Satana,
secondo che insegna San Giovanni nell'Apocalisse, sa che gli
resta poco da vivere. Siamo arrivati alle ultime settimane di
febbraio. La strada per giungere al 18 aprile è ancora lunga.
Mancano circa sei settimane al traguardo. Saranno quaranta giorni
movimentati, pieni di avvenimenti e di colpi di scena sotto gli occhi
dell'opinione pubblica mondiale che attende con ansia l'esito delle
votazioni.
“la Repubblica”, 5
aprile 1988
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