A sette anni dalla
scomparsa, la figura di Vittorini resta al centro del dibattito
critico-letterario, oggetto di sempre nuove ricerche e nello stesso
tempo strumento di un polemico confronto • politico-culturale. Ne è
riprova il fascicolo che la rivista ”11 Ponte” ha affidato alla
cura di Silvio Guarnieri, autore anche di un ampio e puntiglioso
saggio introduttivo. Gli interventi, dovuti a collaboratori che
appartengono ad almeno tre generazioni, toccano un po’ tutti gli
aspetti dell’opera e della vita dello scrittore: incontriamo
Vittorini narratore e critico; Vittorini nel fascismo e nella
Resistenza; caporedattore dell'“Unità” e direttore del
"Politecnico”; comunista e radicale; promotore di iniziative
culturali (dal “Menabò” sino a “Gulliver”, la rivista
europea rimasta allo stadio di progetto) e scopritore di giovani
talenti.
Questa intricata matassa
viene dipanata da mani che potremmo, scusandoci per la schematicità,
dividere in tre gruppi. Guarnieri, Sergio Solmi, Luzi, Bo, Calvino,
De Michelis, Fortini cercano di fare il punto sull’opera nel suo
complesso. Così Solmi intuisce in Vittorini un'anima laicamente
religiosa, bisognosa di maestri e di discepoli, approdata a un
marxismo tanto approssimativo quanto inquieto e generoso; un
uomo-sintomo, riflesso di un’epoca tormentata: «una natura
romantica che si sacrifica per una sorta di schematico illuminismo
moderno, un narratore poetico e realistico che si arrende alle
astrattezze programmatiche delle neoavanguardie e persegue sul piano
teorico le sottigliezze dello strutturalismo».
Calvino è ancor più
sintetico: «Ogni romanzo di Vittorini ha come forma mitica quella
del viaggio, come forma stilistica quella del dialogo, come forma
concettuale quella dell’utopia». La tecnica d’approccio è
diversa, strutturalistica anziché psicologica, ma il risultato non
cambia, se è vero che il termine di «conversazione», scelto da
Vittorini per il suo titolo più famoso, richiama al critico le
«sacre conversazioni», i quadri religiosi rinascimentali. Il
carattere utopico della ricerca vittoriniana risulta d’altronde
evidente da tutti questi saggi: potremmo ripetere, ancora con
Calvino, che «la città resta, in ogni suo libro, da conquistare,
anzi da fondare. È sempre una città futura ».
Altro «taglio» hanno
gli scritti di Pampaloni, Fioravanti, Serri, Panicali, Briosi,
Zancan, Ortolani, Ferretti, Rago, De’ Seta, volti a illustrare, con
dovizia di documentazione talora inedita, singoli momenti
dell’esperienza vittoriniana. Spesso s’integrano a vicenda.
Dall’indagine condotta dalla Panicali sulla collaborazione al
«Bargello» (settimanale della federazione fascista fiorentina)
emergono, per esempio, la generosità con cui Vittorini affrontò già
in quella sede il problema della collocazione pratica del lavoro di
scrittore (in polemica con la concezione sacrale dei reazionari) e
insieme la sua incapacità di risolvere l’alternativa
engagement-autonomia; generosità e incapacità che in lui si
ritrovano, come sottolinea la Zancan, negli anni in cui fu ripreso il
primitivo progetto, dovuto principalmente a Curiel e a Banfi, del
«Politecnico» e venne progressivamente abbandonato il lavoro
interno all’organizzazione del PCI in nome di un’autonomia che
«anziché contrapporsi all’organizzazione del Partito come
definizione autonoma del ruolo dell’intellettuale organico alla
classe, finiva con l’essere separatezza e organicità allo sviluppo
del capitale».
Le contraddizioni interne
alla poetica di Vittorini risultano singolarmente illuminate dagli
articoli di Briosi e di Ferretti. II primo analizza, anche nel
settore finora poco indagato della critica d’arte, l’attività
saggistica del Vittorini solariano, ricollegandone i concetti
estetici alle idee del tempo, individuando con maestria la radice di
certe oscillazioni tra calligrafismo e vitalismo, tra tensione lirica
e volontà di integrazione nella realtà storicamente data. Il
secondo coglie oscillazioni analoghe nelle scelte e nei risvolti dei
«Gettoni» e mostra come il Vittorini direttore della collana
einaudiana riuscisse a descrivere all’interno dello stesso
orizzonte neorealistico un arco problematico dinamico e articolato,
come tendesse «fino al limite della rottura gli schemi culturali o i
moduli letterari che concorrono a definire la prevalente narrativa
italiana del dopoguerra ».
Lo stesso Vittorini
inquieto, critico e autocritico, ritroviamo nelle testimonianze di
Bartolini, Bompiani, Bonsanti, Giulio Einaudi, Enriques Agnoletti,
Failla, Alberto Mondadori, Gian Carlo Pajetta, Rigoni Stern,
Leonetti, Bilenchi. Quest’ultimo, con una prosa lucida e commossa
insieme, ripercorre le tappe di un’amicizia più che trentennale,
restituendoci intero, nei limiti del possibile, l’itinerario
psicologico o politico di Vittorini. Dobbiamo osservare peraltro che
la lettura di queste trecento e più pagine, nonostante l’eccellente
qualità dei singoli contributi, ci lascia una punta di
insoddisfazione: troppe questioni restano più sfiorate che
puntualizzate. Ciò deriva, almeno in parte, dalla struttura stessa
del fascicolo, che si limita ad accostare scritti eterogenei, nati da
ricerche e meditazioni separate, rinunciando a una ripartizione per
«nodi» culturali, alla presentazione di un confronto dialettico
serrato.
La fondamentale
politicità della presenza di Vittorini, il suo assiduo richiamo alle
responsabilità civili dell’uomo di cultura, l’insistenza con cui
ripropose insomma il concetto sartriano di engagement, avrebbero
meritato, ci sembra, quest’omaggio: che si riesaminassero
partitamente (e quindi esplicitamente) i problemi principali della
produzione artistica, a cominciare dalla cosiddetta «questione
degli intellettuali». Quest’ultima del resto, dopo le profonde
mutazioni subite negli anni sessanta dalla struttura oggettiva del
lavoro intellettuale, si ripropone oggi con urgenza.
La pretesa vittoriniana
di far svolgere al «partito degli scrittori» un’autonoma funzione
progressista si ripresenta ora in termini sempre più
individualistici, mentre il motto con cui s’apriva il
«Politecnico», «la cultura prende il potere», grottescamente
tende a rovesciarsi nella realtà del potere economico che
s’impadronisce di molti uomini di cultura. Anche per questa ragione
riesaminare il rapporto tra cultura e politica, tra scrittori e
militanti, tra lavoratori e intellettuali rappresenta, crediamo, il
miglior modo di ricordare Vittorini. uomo vivo del quale, per dirla
con Pajetta, una parte non piccola è nella nostra vita.
l'Unità / giovedì 13
dicembre 1973
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