9.12.16

L’utopia di Vittorini (Claudio Milanini)

A sette anni dalla scomparsa, la figura di Vittorini resta al centro del dibattito critico-letterario, oggetto di sempre nuove ricerche e nello stesso tempo strumento di un polemico confronto • politico-culturale. Ne è riprova il fascicolo che la rivista ”11 Ponte” ha affidato alla cura di Silvio Guarnieri, autore anche di un ampio e puntiglioso saggio introduttivo. Gli interventi, dovuti a collaboratori che appartengono ad almeno tre generazioni, toccano un po’ tutti gli aspetti dell’opera e della vita dello scrittore: incontriamo Vittorini narratore e critico; Vittorini nel fascismo e nella Resistenza; caporedattore dell'“Unità” e direttore del "Politecnico”; comunista e radicale; promotore di iniziative culturali (dal “Menabò” sino a “Gulliver”, la rivista europea rimasta allo stadio di progetto) e scopritore di giovani talenti.
Questa intricata matassa viene dipanata da mani che potremmo, scusandoci per la schematicità, dividere in tre gruppi. Guarnieri, Sergio Solmi, Luzi, Bo, Calvino, De Michelis, Fortini cercano di fare il punto sull’opera nel suo complesso. Così Solmi intuisce in Vittorini un'anima laicamente religiosa, bisognosa di maestri e di discepoli, approdata a un marxismo tanto approssimativo quanto inquieto e generoso; un uomo-sintomo, riflesso di un’epoca tormentata: «una natura romantica che si sacrifica per una sorta di schematico illuminismo moderno, un narratore poetico e realistico che si arrende alle astrattezze programmatiche delle neoavanguardie e persegue sul piano teorico le sottigliezze dello strutturalismo».
Calvino è ancor più sintetico: «Ogni romanzo di Vittorini ha come forma mitica quella del viaggio, come forma stilistica quella del dialogo, come forma concettuale quella dell’utopia». La tecnica d’approccio è diversa, strutturalistica anziché psicologica, ma il risultato non cambia, se è vero che il termine di «conversazione», scelto da Vittorini per il suo titolo più famoso, richiama al critico le «sacre conversazioni», i quadri religiosi rinascimentali. Il carattere utopico della ricerca vittoriniana risulta d’altronde evidente da tutti questi saggi: potremmo ripetere, ancora con Calvino, che «la città resta, in ogni suo libro, da conquistare, anzi da fondare. È sempre una città futura ».
Altro «taglio» hanno gli scritti di Pampaloni, Fioravanti, Serri, Panicali, Briosi, Zancan, Ortolani, Ferretti, Rago, De’ Seta, volti a illustrare, con dovizia di documentazione talora inedita, singoli momenti dell’esperienza vittoriniana. Spesso s’integrano a vicenda. Dall’indagine condotta dalla Panicali sulla collaborazione al «Bargello» (settimanale della federazione fascista fiorentina) emergono, per esempio, la generosità con cui Vittorini affrontò già in quella sede il problema della collocazione pratica del lavoro di scrittore (in polemica con la concezione sacrale dei reazionari) e insieme la sua incapacità di risolvere l’alternativa engagement-autonomia; generosità e incapacità che in lui si ritrovano, come sottolinea la Zancan, negli anni in cui fu ripreso il primitivo progetto, dovuto principalmente a Curiel e a Banfi, del «Politecnico» e venne progressivamente abbandonato il lavoro interno all’organizzazione del PCI in nome di un’autonomia che «anziché contrapporsi all’organizzazione del Partito come definizione autonoma del ruolo dell’intellettuale organico alla classe, finiva con l’essere separatezza e organicità allo sviluppo del capitale».
Le contraddizioni interne alla poetica di Vittorini risultano singolarmente illuminate dagli articoli di Briosi e di Ferretti. II primo analizza, anche nel settore finora poco indagato della critica d’arte, l’attività saggistica del Vittorini solariano, ricollegandone i concetti estetici alle idee del tempo, individuando con maestria la radice di certe oscillazioni tra calligrafismo e vitalismo, tra tensione lirica e volontà di integrazione nella realtà storicamente data. Il secondo coglie oscillazioni analoghe nelle scelte e nei risvolti dei «Gettoni» e mostra come il Vittorini direttore della collana einaudiana riuscisse a descrivere all’interno dello stesso orizzonte neorealistico un arco problematico dinamico e articolato, come tendesse «fino al limite della rottura gli schemi culturali o i moduli letterari che concorrono a definire la prevalente narrativa italiana del dopoguerra ».
Lo stesso Vittorini inquieto, critico e autocritico, ritroviamo nelle testimonianze di Bartolini, Bompiani, Bonsanti, Giulio Einaudi, Enriques Agnoletti, Failla, Alberto Mondadori, Gian Carlo Pajetta, Rigoni Stern, Leonetti, Bilenchi. Quest’ultimo, con una prosa lucida e commossa insieme, ripercorre le tappe di un’amicizia più che trentennale, restituendoci intero, nei limiti del possibile, l’itinerario psicologico o politico di Vittorini. Dobbiamo osservare peraltro che la lettura di queste trecento e più pagine, nonostante l’eccellente qualità dei singoli contributi, ci lascia una punta di insoddisfazione: troppe questioni restano più sfiorate che puntualizzate. Ciò deriva, almeno in parte, dalla struttura stessa del fascicolo, che si limita ad accostare scritti eterogenei, nati da ricerche e meditazioni separate, rinunciando a una ripartizione per «nodi» culturali, alla presentazione di un confronto dialettico serrato.
La fondamentale politicità della presenza di Vittorini, il suo assiduo richiamo alle responsabilità civili dell’uomo di cultura, l’insistenza con cui ripropose insomma il concetto sartriano di engagement, avrebbero meritato, ci sembra, quest’omaggio: che si riesaminassero partitamente (e quindi esplicitamente) i problemi principali della produzione artistica, a cominciare dalla cosiddetta «questione degli intellettuali». Quest’ultima del resto, dopo le profonde mutazioni subite negli anni sessanta dalla struttura oggettiva del lavoro intellettuale, si ripropone oggi con urgenza.
La pretesa vittoriniana di far svolgere al «partito degli scrittori» un’autonoma funzione progressista si ripresenta ora in termini sempre più individualistici, mentre il motto con cui s’apriva il «Politecnico», «la cultura prende il potere», grottescamente tende a rovesciarsi nella realtà del potere economico che s’impadronisce di molti uomini di cultura. Anche per questa ragione riesaminare il rapporto tra cultura e politica, tra scrittori e militanti, tra lavoratori e intellettuali rappresenta, crediamo, il miglior modo di ricordare Vittorini. uomo vivo del quale, per dirla con Pajetta, una parte non piccola è nella nostra vita.


l'Unità / giovedì 13 dicembre 1973

Nessun commento:

statistiche