Franco Fortini |
Tra le riviste che preparano il
Sessantotto viene talora citata “Ragionamenti”, ma di passaggio, come episodio
di una inquietudine tra gli intellettuali di sinistra, più spesso socialisti
che non comunisti, scontenti del quadro “frontista” o addirittura “stalinista”,
animati da istanze che vanno da un riformismo tecnocratico a un marxismo
rivoluzionario e critico. Credo sia utilissima la ricostruzione dall’interno di quell’esperienza da parte di Franco Fortini, in quegli anni partecipe di quasi
tutti i tentativi di svecchiamento della sinistra politica e intellettuale, in
Italia e non solo. (S.L.L.)
Nel 1951, a Milano, in casa di
Roberto Guiducci, conobbi alcuni giovani studenti o da poco laureati. Avevano
partecipato alla Resistenza o erano stati in quel clima; militavano fra i
comunisti o i socialisti o, anche senza
alcuna tessera di partito, volevano lavorare ad un pensiero e ad una pratica
rivoluzionaria.
Poligrafavano dall’anno 1949 un
loro bollettino, destinato a qualche decina di conoscenti. Accoglieva scritti
di filosofia e politica, interpretazioni di eventi e di libri. Si chiamava
“Discussioni”. Pur nella immaturità degli scritti, c’era una serietà autentica.
In quegli anni – i peggiori della guerra fredda – quel foglio era prova che dei
giovani riscoprivano un pensiero marxista diverso da quello allora ufficiale.
Partecipai a quelle riunioni,
dove avevo molto più da imparare che da insegnare. Seguii le vicende del
gruppo, il suo mutare e dividersi. “Discussioni” durò fino al maggio del 1953.
Intanto, in una ricca corrispondenza e in molti documenti, si erano esaminati e
analizzati i possibili esiti della situazione, ci eravamo separati da alcuni
amici o conoscenti di formazione anarchica (Insolera, Doglio) come da altri più
immediatamente impegnati in attività politiche o sindacali (Parigi,
Tagliazucchi, Tortoreto). Studi e conversazioni continuavano soprattutto fra
Luciano Amodio, Roberto e Armanda Guiducci, Sergio Caprioglio, Renato Solmi e
me. Quelle amicizie mi furono, in un periodo che era difficile e penoso, molto
care.
Ci erano chiare le necessità ed
inevitabilità di una crisi dello stalinismo; ma non volevamo far nulla che ci
potesse porre sotto l’accusa di frazionismo o potesse favorire l’avversario di
classe. Fu questa autodisciplina a fermarci, ogni volta che si fu sul punto di
passare ad una vera e propria rivista. E intanto venne a morte l’illusione
iniziale di ricuperare all’impegno ideologico e politico alcuni intellettuali
che dal 1948 se ne erano allontanati o di farci aiutare e patrocinare da noti
studiosi e scrittori ormai abbastanza comodamente divisi fra prospettive di
successo universitario o letterario e milizia di partito o di fiancheggiamento.
Intanto ciascuno di noi continuava i propri studi, collaborava a riviste e
giornali, ma aveva coscienza che quel che aveva da dire non vi avrebbe potuto
trovar luogo o sarebbe stato deformato dalle contiguità.
Ma quando nel marzo del 1955, in
una riunione a casa mia, si decise di stampare una piccola rivista di 300-500
copie, il “disgelo” era già in parte avvenuto, tutte le forme di industria
culturale già potenti da noi, inseriti o decisi ad approfittare della imminente
belle époque la maggior parte degli
intellettuali. Per eccessiva delicatezza, per perfezionismo o intima
malsicurezza o paura di fronte al ricatto stalinista, sappiamo ora di aver
ritardato una iniziativa che, presa qualche anno prima, ci avrebbe condotti in
altre condizioni al 1956.
Il programma di “Ragionamenti” fu
di critica e informazione critica sui maggiori temi del pensiero marxista
contemporaneo, in una prospettiva antistalinista ma non riformista, e per una
unione nel “blocco storico” delle sinistre. Ci si voleva rivolgere
esclusivamente agli intellettuali e ai quadri dei movimenti di sinistra, senza
nessun intento attivistico ma nemmeno specialistico-scientifico. La parola
d’ordine era quella di pubblicare, sotto pretesto di recensioni o bibliografie,
scritti che della comunicazione “privata” avessero la necessità e
l’indipendenza assoluta, disinteressandoci quindi (e fin troppo) d’ogni loro
portata “comunicativa”. In un certo senso, “Ragionamenti” avrebbe voluto essere
soltanto una introduzione ad una possibile rivista. Sapevamo che, come il
ghiaccio nell’acqua, essa avrebbe reso visibile solo una piccola parte
dell’attività di ciascuno di noi.
“Ragionamenti” non ebbe editori
né finanziamenti. Ci si quotò fra pochi amici, non più di sei o sette. Gli
abbonamenti non superarono mai, credo, i centocinquanta; la maggior parte delle
copie era inviata gratuitamente. Solo nel secondo anno si ebbero da Feltrinelli
e Einaudi poche decine di migliaia di lire per pubblicità; e, credo, due numeri
furono distribuiti da Feltrinelli. Non ci vennero né incoraggiamenti né aiuti;
fuor che da Galvano della Volpe. Ostili i comunisti, quasi indifferenti i
socialisti, salvo qualche segnalazione sull’“Avanti!”, anch’essa, spesso,
contrastata. In pratica, ogni tentativo di allargare la cerchia dei
collaboratori incontrò diffidenza, evasività e opposizione; per motivi diversi,
persone che avrebbero dovuto, per una certa comunanza di intenti, collaborare
con noi, vi si rifiutarono sempre.
I dodici numeri della rivista,
con le sue trecento fitte pagine (dal settembre-ottobre 1955 all’ottobre 1957)
furono perciò, per alcuni dei redattori almeno, una dura fatica. Si considerino
quelle date: la rivista compare nel periodo della grande crisi del comunismo
internazionale. E lo si sente. Nel maggio 1956, per conto della redazione,
presi contatto a Parigi con un gruppo di intellettuali francesi, che si
proponevano una attività analoga alla nostra. Si decise che essi avrebbero
pubblicato a Parigi “Arguments”, con uno scambio di articoli fra la loro
rivista e la nostra. Erano Colette Audry, Roland Barthes, Jean Duvignaud e
Edgar Morin. Barthes e Morin parteciparono anche ad un convegno di preparazione
della seconda annata di “Ragionamenti”, tenuto per due giorni a Milano
nell’ottobre di quell’anno, con la partecipazione di una quarantina di persone.
“Arguments”, seppur trasformato nella sua redazione, si pubblica tuttora con
successo. Nel 1957 avemmo anche contatti con gruppi inglesi e polacchi, in
particolare con quello della rivista “New Reasoner”, confluita poi nella “Left
Review”, e con “Nowa Kultura” di Varsavia.
Ma due furono i momenti
culminanti della vita di “Ragionamenti”. Il primo fu nel marzo del 1956, quando
“Il contemporaneo”, in seguito al XX Congresso, aprì una inchiesta (ed una
polemica durata alcuni mesi) sulla cultura di sinistra. Essa fu, in sostanza,
una discussione con le tesi di “Ragionamenti”, le quali chiedevano a un tempo
l’autonomia degli uomini di cultura dalle direzioni culturali dei partiti e la
loro auto-organizzazione all’interno del “blocco storico” delle sinistre;
nonché il controllo, ad opera dei produttori di “cultura”, degli strumenti di
espressione “culturale” (tesi che, allora avversate dai dirigenti culturali
comunisti, sono oggi accettate persino dall’organismo sorto lo scorso anno a
Roma in seguito ad un convegno di riviste). Queste tesi sono contenute e svolte
in un supplemento al n. 5/6 della rivista, col titolo Proposte per una organizzazione della cultura marxista italiana, e
contengono affermazioni e proposte ancor oggi valide o almeno degne di
discussione. L’altro momento fu quello immediatamente successivo alla
insurrezione ungherese, quando, anche per evitare di essere inseriti fra le incomposte
dichiarazioni di quei giorni, si riuscì, non senza fatica, a far sottoscrivere a
ventitré fra comunisti, socialisti e marxisti senza partito un testo di Roberto
Guiducci che, riletto oggi e fatta la dovuta parte alla passione di quei
giorni, appare tuttora valido, almeno nell’istanza di datare da Budapest, dalla
sua “rottura”, un rinnovamento della sinistra, che infatti almeno in parte è
avvenuto.
Ma i contributi più rilevanti di
“Ragionamenti” sono stati, anzitutto, quelli di alcune bibliografie su Politica e cultura 1945-1955, sulle Relazioni umane, su Marxismo e problemi di estetica e in scritti che hanno trattato
argomenti, nomi e libri poi divenuti argomento corrente della vita culturale
italiana. L’opera di Lukács, anzitutto, studiata come prima non era avvenuto in
Italia (e di Lukács “Ragionamenti” ha pubblicato per la prima volta da noi
l’importante Che cos’è il marxismo
ortodosso dalla famosa opera “condannata” Storia e coscienza di classe); quella di Adorno, di Schaff, di
Goldmann; il tema dei popoli africani e del Tiers
Monde; delle ideologie dell’automazione; della critica stilistica e
semantica e della sociologia del linguaggio, ecc. Per prima “Ragionamenti” ha
fatto conoscere riviste come “Soviet Studies” o “Socialisme ou Barbarie”, ha
identificato in Lukács e in Brecht i più importanti frutti di pensiero e di
poesia del marxismo contemporaneo, ha contribuito a distruggere i miti del
crociogramscismo nazionalpopolare e dello pseudo realsocialismo; ha pubblicato
per prima in occidente quel Poema per adulti
di A. Wazik che espresse in Polonia una situazione destinata a risolversi
nell’ottobre polacco.
Col penultimo numero (il 9,
febbraio-aprile 1957) venivano associati alla redazione Franco Momigliano ed
Alessandro Pizzorno. Come indicano i nomi di questi studiosi, la pubblicazione
si avviava a trattare temi di sociologia ed economia piuttosto che filosofici e
storici. D’altronde i redattori erano quasi tutti persuasi che, mutata com’era
la situazione, la rivista dovesse diventare capace di pubblicare più ampi studi
e di acquistare maggiore autorità e diffusione.
Di qui i contatti, nel
maggio-luglio, con intellettuali e politici comunisti che avevano lasciato o
stavano per lasciare il PC, come A. Caracciolo e A. Giolitti. Quelli che allora
poterono sembrare a noi stessi contrasti personali fra redattori, che in parte,
certo lo furono e che non qui interessano, appaiono oggi invece rivelatori di
una più obiettiva linea di distinzione ideologica e politica. Infatti
alcuni dei nostri redattori
entrarono a far parte del gruppo che dette vita a “Passato e Presente”; e
“Ragionamenti” finì nell’ottobre del 1957.
“Ragionamenti”, al di là della
sua breve vita, resta l’unica pubblicazione che dall’interno dello schieramento
di sinistra sia stata espressione di un gruppo di intellettuali dissidenti
dalle direzioni dei partiti socialisti e comunisti ma tuttavia non assimilabili
a frazioni di quelli o ad altre formazioni politiche. Se si confrontano le sue
pagine con quelle che portano la medesima data, di pubblicazioni
socialiste e comuniste, si vedrà
quale anticipo venisse ai redattori di quella piccola rivista da una ben
precisa prospettiva ideologica e politica, che sul finire del ’57 sembrò a
molti definitivamente superata in nome del “ritorno agli studi”, della “serietà”
o magari del comfort; e che invece, purtroppo, è ancora reale ma lontana. Cioè
la elaborazione di una piattaforma teorica per un pensiero rivoluzionario di
formazione marxista, rinnovato ma non eclettico né riformista, sulla quale far
convenire gruppi di intellettuali decisi alla intransigenza ideologica e
all’impegno pratico per preparare le condizioni di una unione, nel nostro
paese, di quelle parti d’una medesima esigenza storica che insieme ad elementi
realmente eterogenei si ritrovano però in entrambi i due partiti italiani: il
comunista e il socialista; e soprattutto di quei giovani o di quegli uomini che
in nessuno dei due partiti si riconoscono interamente ma che al di là di
quelli, e in una ben precisa direzione – non altrimenti definibile se non con
l’aggettivo “rivoluzionaria” – si cercano.
Da Almanacco socialista, Milano, Edizioni Avanti!, 1961, ora in
“L’Ospite ingrato”, sito del Centro Studi Franco Fortini
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