Io vengo da una famiglia povera
dal punto di vista culturale. Tutt'e due le famiglie — quella di mia madre e
quella di mio padre — sono di estrazione contadina. Quella di mia madre toscana,
quella di mio padre lucana. Mio padre prese la licenza elementare quando già
era arruolato nell'arma dei carabinieri. Da lui ho avuto un unico libro che
aveva leggiucchiato forse per gli esami di licenza elementare; era I Promessi Sposi nell'edizione Salani
illustrata da Carlo Chiostri. Da piccolo me lo son letto e guardato più volte.
Mia madre aveva pure lei qualche libro: racconti, un libro di Delly, una Primula rossa, qualche romanzo rosa, e
poi un librettino della "Biblioteca dei miei ragazzi", Otto giorni in una soffitta. Non so come
e da dove mi è venuto, ma ho sempre avuto un grande amore per i libri, che
erano a casa mia una cosa rara e preziosa.
Mi ricordo che quando avevo
sette-otto anni sono stato ammalato. Dovevo stare a letto per qualche giorno.
Mio padre mi chiese se volevo un regalino, qualcosa, per passare il tempo. E io
gli chiesi un libro. E aspettai, lui usciva la mattina presto e tornava la sera
tardi, aspettai con emozione enorme l'arrivo di babbo. Chissà quale libro mi
avrebbe portato... Invece tornò non con un libro, ma con una cosa strana che
non avevo mai visto prima, era un giornalino di Walt Disney, un Albo d'oro
della Mondadori. E piansi disperatamente. Mio padre rimase malissimo: «Ma mi
avevano detto che ai bambini piacciono di più i fumetti», cercava di
giustificarsi e di consolarmi. E io: «No, volevo un libro, un libro; che cos'è
questa cosa qui con tutti disegnini». Poi mi misi a leggerlo e mi piacque, mi
affascinò enormemente. Scoprii il fumetto. E da lì, tutte le settimane compravo
"Topolino". Con i fumetti ho provato delle emozioni bellissime;
emozioni che pensavo si potessero avere solo con la lettura dei libri.
A casa mia non hanno mai fatto
problemi per i fumetti. Per cui, quando è stato possibile ho letto di tutto. Almeno
fino ai quindici-sedici anni il rapporto con la carta stampata è stato del
tutto casuale, era il puro gusto di leggere cose scritte, qualunque cosa fosse.
Perché c'era questa carenza di libri intorno a me. Ricordo che andai qualche
giorno ospite da una zia in campagna e c'era un ragazzo che aveva tutta la
raccolta di "Capitan Miki", erano dei fumetti a strisce, piccoli.
Passai ore a leggerli tutti. Poi andavo per le vacanze al mare a Porto S.
Giorgio in una casa con dei ragazzi che avevano i libri di Salgari. Passai
tutto il mese di agosto a leggere, leggevo un romanzo al giorno. Incredibile a
pensarci ora. Ho letto tutto Salgari o quasi, le storie dei pirati, le storie
indiane... era meraviglioso. Normalmente in ogni casa che frequentavo c'erano
pochi libri. Li chiedevo in prestito: racconti e romanzi d'avventura, le riduzioni
del "Reader's Digest"... Difficile ricordarli tutti. Uno che ricordo
perché mi è piaciuto moltissimo ed era inquietante anche per le illustrazioni
fu Tizzoncino ed altre storie di
Luigi Capuana. Un sadismo a ripensarci oggi in quelle fiabe, terribile! Non
l'ho più rivisto questo libro. Erano illustrazioni a due colori, delle silhouette
nere su dei fondi freddissimi verdi, rosa. Storie di amori tragici, morti,
donne traditrici.
Leggevo qualunque cosa. Allora
nelle case — siamo negli anni cinquanta - si trovavano spesso dei libri di un
certo Van Loon, erano volumetti di divulgazione parascientifica, per esempio I più grandi terremoti della storia e
cose del genere, divulgazione terra terra.
Una cosa certa — a ripensarci
oggi a distanza di anni con distacco — è che io ho avuto verso la cultura un
amore, un'ammirazione sfrenata. Avevo interessi, ascoltavo, leggevo. E a scuola
questa mia voglia di imparare non fu colta per niente. Dico alle scuole medie.
Alle elementari sì. Qui, anzi, fu colta anche troppo. In quarta elementare mi
capitò una maestra di prima nomina, molto entusiasta — si chiamava Leda Lucci
—, anche molto carina, rossa di capelli, giovanissima. Mi considerava un
piccolo genio...
Postilla
Il testo è costruito con le
risposte di un’intervista pubblicata su “folio”, una rivista della Nuova Italia
che promuoveva lo studio della narrativa d’ogni tipo nella scuola, nel febbraio
1990.
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