Nel sito curato da Laura Omero
trovo questa pagina stilisticamente perfetta. Non mi sento di fare altro
commento. Il tema “duro” scelto e lo svolgimento rigoroso producono in me
emozioni e fremiti per cui non trovo parole, suscitano ricordi molto dolorosi.
(S.L.L.)
Il morbo di Parkinson rappresentato in un testo di neupsichiatria inglese (1886) |
La malattia di Parkinson si
manifesta (di solito) intorno ai sessant'anni, anche se, disgraziatamente,
colpisce persone sempre più giovani. Si presenta con sintomi vaghi: astenia,
tremore, impaccio, lentezza nei movimenti. Frequentemente un sessantenne si
scopre in crisi, tanto più se quella vecchiaia che improvvisamente si erge sul
suo cammino si accompagna alla sintomatologia sopra descritta.
Va dal medico, prende vitamine,
partecipa a una gita organizzata, redige bilanci… Ma i disturbi aumentano. Il
medico di base gli prescrive prima gli esami di routine, poi, visite
specialistiche: fisiatra, ortopedico, reumatologo. Passano i mesi… un anno,
due. Alla malinconia si associa l'ansia; in famiglia si parla ormai apertamente
di «paturnie». Da menopausa. Il medico, con piglio professionale, usa il termine depressione. Poi, se Dio vuole
(si fa per dire), arriva la diagnosi corretta: malattia di Parkinson.
Degenerativa, progressiva. E' tanto strano, è anomalo che la tristezza si
colori di disperazione e l'ansia diventi panico? Il medico di base, leggendo la
diagnosi del neurologo, aggiornerà la cartella personale... Da quel momento
però la depressione, indipendentemente dal nostro sentire, sarà data per
scontata e «curata» con psicofarmaci.
Non c'è pillola che possa far
accettare una patologia come il Parkinson; ogni malato imboccherà una strada
personale elaborando con lentezza e fatica la perdita della salute e
dell'autonomia; a volte con l'aiuto dei familiari, a volte con quello della
fede, alternando bestemmie a pianti,
negazione a ironia, speranza nella ricerca a delusione.
Personalmente vorrei restare
«lucida», e, soprattutto, desidererei poterne parlare con il mio medico: senza
imbarazzi, con sincerità. Anche perché gli effetti collaterali che si
accompagnano alla «calma chimica» sono pesantissimi. Peggiorano, infatti, la
patologia parkinsoniana e - volete ridere? - provocano attacchi di panico,
perdita di memoria, deficit d'attenzione, confusione mentale, allucinazioni… E
allora, come diceva qualcuno: lasciamo fare alla vita (pardon: al Parkinson)
questa ultima fatica.
Le case farmaceutiche che hanno
trasformato in malattia la vivacità infantile, il disinteresse (spesso
comprensibile) scolastico, la svagatezza dei sognatori, per incrementare
profitti miliardari, hanno tutta la convenienza a ingabbiare anche il dolore
dell'anima, di cui la vita è colma, nelle maglie strette della patologia. E'
normale che patologie neurologiche devastanti siano vissute con tristezza,
rabbia, malinconia. Il dolore del'anima non è una patologia da curare
rincoglionendosi con pillole colorate. E' un'emozione: da trattare con rispetto
e umana, umanissima pietas...
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