Qualche mese fa il caro Paolo
Ottaviani, poeta di intensità e versatilità notevoli, magistrale frequentatore
di lingue e dialetti, ardito sperimentatore di forme metriche, mi fece omaggio
in una sua affettuosa mail di una deliziosa poesia dai modi danteschi e di un
altrettanto godibile raccontino che la spiega in nota, probabilmente scritti
dopo il terremoto di Norcia, città da cui orgogliosamente deriva. Posto oggi
qui i versi e l’annotazione, ringraziando Paolo che sento particolarmente
vicino per i comuni malanni e colpi d’occhio. (S.L.L.)
1979. Un'immagine del terremoto in Valnerina |
Quando Imoletta¹ si svegliò su un
ramo
trascinata dai venti con la tenda
che dopo il terremoto il buon
Abramo
aveva issato con tanta stupenda,
generosa imperizia sopra i resti
del cascinale e una rude benda
copriva le ferite di quei mesti
giorni, chiamò a gran voce il
figlio, il figlio
David che accorse - toglimi da
questi
sterpi e non temer se a te, un
po’, m’appiglio! -
¹Imoletta era una minuta
contadina che viveva da sola in una fatiscente casupola con annesso un piccolo
cascinale. Quando la violenza del terremoto rase tutto al suolo nessuno si
ricordò di lei, tranne un vicino che le donò una vecchia tenda militare: il
figlio la ritrovò sopra una quercia, scaraventata lassù dalla furia dei venti
in una notte di tempesta, impigliata tra i rami e i lacci della tenda. Quella
fu l’unica volta che Imoletta chiese aiuto.
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