"Prese costui della bella persona..." Ary Scheffer, Paolo e Francesca appaiono a Dante e Virgilio (1855) |
Per raccontare in breve una
serata ricca di cultura, di musica, di socialità a Licata, mio fratello Cesare qualche giorno fa ha usato l'espressione "belle persone", volendo con ciò significare una
compagnia senza grettezza, disonestà e malevolenza, amante delle arti e delle scienze. In certi giri un po'
esclusivi i cui margini m'è accaduto di frequentare, in Africa o nelle Lipari, lo
stilema “bella persona” era riservato a individui pieni di soldi o di successo,
ma certamente mio fratello non lo usava in questa accezione.
E' un'espressione che anche a me
capita di adoperare nel senso voluto da Cesare. Credo che ogni essere umano, quando si presenti senza finzioni ed inganni, quale che ne sia la condizione
sociale, la cultura, la salute, l'immagine esteriore, l'abbigliamento, abbia doti che lo rendono unico e, pertanto, interessante; a suo modo bello.
Ma quell'espressione in voga nasconde varie trappole.
"Bella persona" è stilema dantesco, da un passo del canto di Paolo e Francesca che giace nella memoria scolastica di tantissimi: "Amor che al cor gentil ratto s'apprende / prese costui della bella persona / che mi fu tolta...".
La bella persona è qui l'immagine esteriore della peccatrice di Rimini, che nella potenza seduttiva del proprio corpo e nella "gentilezza" del cognato cerca giustificazioni alla colpa che eternamente la danna: la lussuria. "Persona", oltre tutto, è vocabolo che, a Dante come a noi, arriva carico di più antiche significazioni. In Latino era collegato alle rappresentazioni teatrali: valeva "personaggio" (le dramatis personae) e valeva "maschera" perché era la maschera a distinguere i ruoli maschili o femminili, di giovani o di vecchi, di schiavi o di liberi nelle rappresentazioni di piccole compagnie ove gli attori, in alcune epoche tutti maschi, erano obbligati a interpretare più parti in commedia (o in tragedia).
Ma quell'espressione in voga nasconde varie trappole.
"Bella persona" è stilema dantesco, da un passo del canto di Paolo e Francesca che giace nella memoria scolastica di tantissimi: "Amor che al cor gentil ratto s'apprende / prese costui della bella persona / che mi fu tolta...".
La bella persona è qui l'immagine esteriore della peccatrice di Rimini, che nella potenza seduttiva del proprio corpo e nella "gentilezza" del cognato cerca giustificazioni alla colpa che eternamente la danna: la lussuria. "Persona", oltre tutto, è vocabolo che, a Dante come a noi, arriva carico di più antiche significazioni. In Latino era collegato alle rappresentazioni teatrali: valeva "personaggio" (le dramatis personae) e valeva "maschera" perché era la maschera a distinguere i ruoli maschili o femminili, di giovani o di vecchi, di schiavi o di liberi nelle rappresentazioni di piccole compagnie ove gli attori, in alcune epoche tutti maschi, erano obbligati a interpretare più parti in commedia (o in tragedia).
Insomma molto, nell'espressione "bella persona", tende a valorizzare
una finzione, un'esteriorità che non necessariamente corrisponde
all'interiorità e, pertanto, il suo uso, ancor oggi, rischia di tradire le intenzioni del
parlante o dello scrivente. In realtà, quando io uso lo
stilema "bella persona", in genere voglio dire "bella perché
buona" e non intendo affatto riferirmi a un aspetto esteriore sovrapposto
e distinto dalla sostanza, da ciò che sta sotto. E tuttavia l’estetismo ed edonismo di
massa, tipico della condizione postmoderna, ha affermato il principio che ciò
che è "bello" (perché piace, perché smuove qualcosa) non necessita di giustificazioni e non
ha affatto bisogno di essere anche "buono". La pretesa di
"bontà" appare anzi ai teorici del postmodernismo un residuo del
passato, nostalgia di una totalità perduta, oltre tutto improbabile.
Non sono assolutamente d'accordo e a tutto ciò vorrei continuare ad
oppormi. Tenterò pertanto, d'ora in poi, di evitare l'espressione "belle persone" per intendere
donne e uomini buoni, integri, leali, amanti della onesta
conversazione civile e culturale. Cercherò piuttosto di comunicare in un'altra forma un giudizio di apprezzamento, per non
contribuire, neanche in minima parte, a una perniciosa estetizzazione della
vita intera.
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