Camera dei deputati. Gaetano Mosca. Bronzo di Tohg Wertheim |
All’inizio del Novecento, in Italia si discusse vivacemente
in merito al suffragio universale per i cittadini di sesso maschile.
Nel 1908, il governo di Giolitti promosse un consistente
allargamento del diritto di voto, che quasi triplicò gli aventi diritto. Nel
1912, infine, il diritto di voto venne concesso a tutti i cittadini maschi.
Molti politici e intellettuali si schierarono contro questa scelta, sostenendo
che permettere agli italiani illetterati di votare avrebbe portato al caos.
Anche la questione del diritto alle donne fu parzialmente affrontata, ma
respinta da tutti. L’ampliamento del diritto di voto, e i dibattiti che lo
accompagnarono, ebbero un forte impatto sulla politica e società italiana
all’inizio del secolo scorso.
«Con la vittoria dell’ostruzionismo dopo le elezioni
generali del 1900 il liberalismo fu sopraffatto dalla democrazia: sopraffatto a
tal segno che questa assorbì quello e le si sostituì, mentre sono termini
sostanzialmente antitetici». Così scriveva Antonio Salandra nel volume di
«ricordi e pensieri» edito da Mondadori nel 1928, La neutralità italiana.
Salandra continuava additando Giolitti come «maggior rappresentante» della tendenza
democratica, «colpevole» di credere e sostenere «essere i democratici i veri
liberali».
Non a caso Salandra indicava nell’anno 1900 lo spartiacque,
l’anno di svolta che aveva aperto le porte alla deriva in senso democratico,
giacché quello fu il momento, nella storia dell’Italia da poco unita, in cui la
«destra storica» fu, e per un lungo tratto, travolta a seguito della
repressione feroce dei moti di Milano del 1898 e dell’indignazione popolare
contro Bava Beccaris, Di Rudinì e consorti. Dopo Zanardelli, pacificatore, fu
l’ora di Giolitti e si avviò un’era - quella «giolittiana» appunto - in cui non
solo non si rispose più con le fucilate agli scioperanti, ma si cominciò a
porre seriamente la questione di allargare significativamente il suffragio in direzione
quasi «universale», come poi accadde - escluse rimanendo pur sempre le donne -
nel 1912, ad opera appunto di Giolitti.
Nel 1892 aveva ancora diritto al voto solo il 9,4% della
popolazione e solo il 56% di tale 9% andò effettivamente a votare. Nel 1912
Giolitti, superando resistenze e perplessità (anche di autorevoli suoi
consiglieri come Croce), allargò di molto il suffragio, pur lasciando fuori
coloro che, «maggiorenni sotto i 30 anni», non avessero prestato il servizio
militare o non corrispondessero a determinate condizioni di censo
(Siotto-Pintor, voce Elezione
dell’Enciclopedia italiana, vol. XIII, del 1932). E il corpo elettorale salì da
3 milioni e 300.000 a 8.700.000 di cui circa due milioni e mezzo di analfabeti.
Giolitti intuì che il suffragio allargato si poteva
concedere perché non era più un pericolo. In questa svolta epocale della nostra
storia si colloca la riflessione di Gaetano Mosca (1858-1941), docente di
Diritto costituzionale, sottosegretario alle colonie con Salandra (1914-1916),
senatore del Regno dal 6 ottobre 1919, ammiratore del Di Rudinì. L’elogio che
egli ne tesse in uno scritto importante apparso nel «Corriere della Sera» l’8
agosto 1908 è raccolto nel bel volume, da poco in libreria, Gaetano Mosca e il «Corriere della Sera»,
curato egregiamente da Alberto Martinelli per la Fondazione Corriere della
Sera.
La ricchezza del volume impone di trascegliere qui solo
alcuni temi. Quello cruciale dell’allargamento del suffragio campeggia. E Mosca
si impegna, con argomenti assiduamente proposti, nel corso degli anni, al
grande quotidiano milanese, contro il voto alle donne e contro il suffragio
universale.
Nel primo caso i suoi argomenti sono talvolta comici, come
quando mostra aperture verso le professoresse (cui è difficile opporre
l’argomento dell’inconsapevolezza e dell’eventuale analfabetismo) o quando
evoca l’influenza dei «parroci» sul voto allargato. E in questo caso l’allarme
riguarda l’influenza degli uomini di Chiesa non solo sulle donne, ma anche
sugli analfabeti. Contro il suffragio universale (che a un certo punto osserva
non essere neanche più tanto desiderato dagli stessi socialisti) i suoi
argomenti sono quelli «classici» delle aristocrazie di tutti i tempi. È
sarcastico verso Salvemini, che chiama con ironia «il geniale storico
pugliese», il quale vorrebbe dare il voto ai contadini analfabeti della
Basilicata, della Puglia o della Calabria. L’argomento più pungente che adduce
è però quello dell’effettivo assenteismo: anche chi avrebbe diritto al voto non
va a votare, non va a richiedere il certificato elettorale. (Si è visto che nel
1892 aveva votato poco più della metà degli aventi diritto).
È tema ritornante, anche in tempi di suffragio universale, e
in particolare nel tempo presente, che potremmo definire l’età della
«stanchezza del suffragio universale». Una tale massiccia rinuncia a esercitare
il diritto di voto è, per Mosca, la prova dell’assurdità di voler imporre a
masse ancora più grandi l’esercizio del voto.
Egli non poteva immaginare che, oltre un secolo dopo
l’introduzione in Italia di quel suffragio semi-universale che tanto lo
allarmava, si sarebbero sviluppate ingegnerie elettorali più o meno
sofisticate, più o meno arbitrarie, miranti a creare de facto , con leggi di
tipo maggioritario, una differenza e un diverso valore civile tra voto «utile»
e voto «inutile». Allarmante distinzione contro cui sapientemente si espresse
Michele Ainis su questo giornale il 6 febbraio 2013. Le escogitazioni
«maggioritarie» miranti a dare il governo in mano ad una minor pars del corpo
elettorale possono apparirci oggi come la forma attuale dell’antico sogno
«elitistico» di dare il potere effettivo soltanto a una minoranza qualificata.
Come ben scrive Martinelli in prefazione, Mosca, con
Albertini, guardava al declino dello Stato liberale «col disincantato
pessimismo del conservatore». Essi «condividevano una analoga fedeltà
all’eredità e al mito della Destra storica». Le aperture riformiste di Giolitti
li allarmavano: e ritennero di fare un gran passo quando approvarono (1901) il
riconoscimento giuridico dei sindacati.
Le questioni che Mosca affronta, e che ritornano
costantemente pur nel cambiamento, spesso apparente, dei contesti storici,
possono ridursi a una sola grande difficoltà: la rappresentanza della «volontà
generale». Non è perciò forse privo di significato che un esponente importante
della sinistra italiana del Novecento, Palmiro Togliatti, per un verso
raccomandasse (teste Italo De Feo) la lettura di Gaetano Mosca e per l’altro
elogiasse Giolitti, nel celebre saggio a lui intitolato. La questione dei modi
di attuazione e di funzionamento del suffragio universale è tuttora aperta.
Corriere della Sera - 23 gennaio 2013
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