Una Graziella degli anni Ottanta |
“Sistema la camera d’aria, smonta
la dinamo, sostituisci il paracatena. Occhio alle guaine dei cambi”. A Casal Morena, a Roma Sud, nei
pressi del Gra («vieni con me, amore, sul Grande raccordo anulare... e nelle
soste faremo l’amore», cantava Venditti), adesso non si fa l’amore ma vi sono
sterminati condomini al posto delle distese d’erba e delle montagnole della
metà degli Anni Ottanta. Prima di affrontarle su due ruote, Ascanio Celestini,
che tutt’ora risiede in quella pasoliniana periferia romana («giro per la
Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone», declamava il
poeta), praticava la difficile arte della manutenzione della bicicletta.
Lavorava con olio di gomito per tenere al meglio la Graziella Carnielli dalla
silhouette slanciata, con il collo o tubo sterzo allungato come quello di una
giraffa, che pazientemente aveva dipinto in rosso e blu. Era stato il regalo
del padre al gran guitto e regista, oggi più inventivo e combattivo, che usa la
sua recitazione come una raffica per bombardare ingiustizie, disuguaglianze e
sistema carcerario.
Ora il rito si ripete. In questi
giorni di caldo torrido, prima di partire per il campeggio, con suo figlio di
cinque anni, papà Ascanio risistema la vecchia signora un po’ arrugginita.
«Quando è arrivata in casa la Graziella - spiega Celestini - di mountain bike
ancora non ve ne erano in circolazione. Papà era un podista e io andavo dietro,
pedalando. Nei pratoni dietro casa o all’Appio Claudio c’erano pure le greggi.
Una volta siamo stati inseguiti dai cani pastore. Mio padre per difendersi ha
sollevato la bici e gliel’ha tirata dietro. Per il legame con papà, la
Graziella mi è entrata, diciamo così, nel cuore. Sono un cultore degli
spostamenti su piste ciclabili: di recente sono sbarcato a Milano, ho affittato
una casetta ai Navigli e a teatro ci sono andato così tutte le sere».
All’«Altra festa» a Testaccio o
monte dei Cocci, altro luogo caro a Pasolini, nume ispiratore delle performances
di Celestini, tra olezzi di grigliate miste, bandiere della Pace, dibattiti su
«Marx e la pedagogia», il creatore del teatro di narrazione - con la
mefistofelica barbetta rifilata - è atteso da tutta una folla accorsa ad
ascoltare alcuni brani dei suoi nuovissimi Discorsi
alla nazione. Questo spettacolo, composto da stralci di concioni di
aspiranti tiranni contemporanei, lo porterà in giro per lo Stivale in autunno,
quando uscirà anche il suo ultimo libro, Pro
patria.
Il teatro di Ascanio e il suo recente
racconto, in cui un detenuto rinchiuso in galera da decenni dialoga con
Mazzini, devono molto alla bici. «La mia attrazione per i pedali si alimenta di
tante ragioni. Intanto una bicicletta non invecchia mai, in un mondo in cui
tutto è velocemente obsoleto. Nella cura per tenerla sempre giovane e
splendente, consolido il legame con mio figlio: “passami le chiavi, il caccia
gomme, sostituiamo la trombetta”; insieme facciamo un lavoro di artigianato
sofisticato, che non è quello delle automobili, ma che vi si avvicina. Poi ce
ne andiamo a spasso, io sulla grande e lui sulla piccola bici, e camminando
metto a fuoco tanti dettagli dell’ultima impresa a cui mi sto dedicando».
Forcella, mozzo e cerchione sono
le sue muse? «Concentrandomi su un freno da stringere, un copertone da
sostituire o solo facendo esercizio fisico, mi vengono le migliori idee. Brecht
racconta che, quando prendeva lezioni di guida, il suo insegnante gli suggeriva
di fumare il sigaro. Era un espediente per far sì che non fosse interamente
concentrato sul volante. Anche io per stendere una pagina devo avere
un’attenzione parziale».
Il culto per le due ruote per
Celestini, autore che lotta contro le distorsioni del nostro tempo, a partire
dai manicomi («un condominio di santi», li chiama), è un modo per prendere le
distanze e pedalare, in senso letterale, controcorrente. «La bici - racconta
l’attore - ha ritmi lenti. In sua compagnia mi sono imbarcato in quella che ai
miei occhi di ragazzo sedicenne era un’epica avventura, un giro del Lazio con
un amico. Per la notte trovammo ospitalità in un convento, dormendo per terra
su un sacco a pelo».
Pure nel gusto della Storia con
la maiuscola che caratterizza le opere di Ascanio, dall’eccidio delle Fosse
Ardeatine al bombardamento di San Lorenzo al rastrellamento del Quadraro, la
bicicletta occupa un posto di rilievo. «Mario Fiorentini, antifascista e
matematico, andò a fare un attentato in bicicletta. Lanciò un pacco esplosivo
con due chili di tritolo. Si salvò perché gli spararono in contemporanea
fascisti e tedeschi, lui era in mezzo e loro rischiavano di farsi fuori l’un
l’altro. Dopo il suo attacco a colpi di bombe venne emanato un ordine che
proibiva di andare in giro in bicicletta. Che fare? Ci si ingegnò e venne
aggiunta una terza ruota, per dribblare il divieto. La terza ruota, a motore,
appare pure nel film Il federale ,
quando al graduato della milizia, Arcovazzi, viene assegnata la missione di
prelevare il professor Bonafé, filosofo oppositore del regime e di condurlo a
Roma».
La bici è simbolo di un mondo
povero post bellico, ancora con qualche lucciola, senza tubi di scappamento e
senza cementificazione? «Mio nonno faceva la maschera al cinema Iris, vicino
alla breccia di Porta Pia. Dal Quadraro, dove abitava, accompagnato dal mio
papà ancora piccolo, si recava al lavoro a piedi, macinando chilometri. La
bicicletta era la conquista di tempi più moderni. Quando ho cominciare ad
andare al liceo sono passato al motorino. Il mio primo mezzo di locomozione era
un Si della Piaggio, praticamente una bicicletta. Quando sbenzinavi, come si
dice a Roma per indicare il serbatoio a secco, proseguivi a forza di garretti.
Macinando terreno cominciavo a fantasticare, mi venivano in mente i miei primi
personaggi, riflettevo sul teatro. Avevo sempre presente quella bellissima
frase di Albert Einstein al figlio Eduard: “La vita è come andare in
bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti”». La vita artistica di
Celestini si teneva in equilibrio sul sellino.
“La Stampa”, 7 agosto 2012
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