Liala esiste davvero, dunque! Non
è un fantasma proiettato dalla fantasia degli scrittori. E' questa donnina il
grande oggetto di invidia e spregio di migliaia di persone che, presa la penna
in mano, han sperato nel successo e nel guadagno! Che meraviglia! L'unica
persona, in Italia, capace di vendere un milione di libri l'anno, di
ristampare, da cinquantanni, best-sellers ineguagliabili, è questa dolce
signora di 84 anni, padrona di sé, cordiale, serena.
Signora, mi spieghi come ha potuto, una donna della sua generazione,
prendere in mano il proprio destino, lavorare con tanta pazienza artigianale...
Liala alza una bianca manina: «Ma
io non ho mai lavorato! E' stato che un giorno un amico di mio marito, dopo che
era morto il mio pilota, capì che qualcosa mi ribolliva dentro. E mi disse:
scriva un romanzo, si sfoghi, la presento io a Arnoldo Mondadori!».
Basta una frase, e la signora
Liana Cambiasi ci piomba in un romanzo di Liala. La mia faccia dev'essere
basita, perché la vecchia signora sorride e dice: «Ma lei non può capire, se
non conosce la storia»
Ed eccomi qui, come un milione di
sartine prima di me, a sentire Liala che racconta: la mamma vedova a
ventunanno, l'infanzia nella villa di Como, i nonni Negretti Odescalchi. le
«belle spiagge», la licenza liceale, il viaggio a Brindisi e l'incontro con
l'ufficiale di marina Cambiasi: «bello, elegante, salottiero, vissuto come
voleva lui, con una grande fortuna». Il matrimonio, le terre, gli amici, gli
sport. «Due anni felici, e poi son diventata un bel mobiletto da tenere lì: mi
ha dimenticata». L'incontro col pilota, il vero amore, le pratiche per il
divorzio: «Precipitò qui a Varese, si allenava per la coppa Schneider. Mio
marito mi fu molto vicino, tanto che nacque un'altra bimba, ma qualcosa mi ribolliva
dentro...»
Quando cominciò a scrivere Signorsì, il suo primo romanzo, a chi la
raccontava, questa storia? Che pubblico aveva in mente?
«La raccontavo a me stessa. E'
sempre stato così. Io scrivo solo per me. Ancora oggi mi stupisco del successo
che ho avuto: ci son tante ingenuità nei miei romanzi! E un giorno mia figlia
mi ha sorpresa a dire: ma cosa ci troveranno, in questa Liala!».
Lei dunque non si è mai sentita scrittrice, ha continuato a
considerarsi una borghese che scrive romanzi.
«No, borghese no» dice Liala. «Mi
consideravo una donna che non aveva niente da fare. Ho sempre avuto del buon
personale, due buone bambinaie. E tanto, tanto tempo per scrivere. Esco
raramente. E anche quand'ero più giovane, a parte la Scala, non avevo vita mondana».
Nel catalogo Sonzogno ci sono 68 titoli di suoi romanzi. Sessantotto
storie che Liala ha raccontato a Liana Cambiasi per confortarla della morte di
un pilota, dunque,
Forse è così, ma non sempre è
conforto. Sto finendo quello che sarà il mio ultimo romanzo, Frantumi di arcobaleno: e ci sono dei
personaggi che mi fanno veramente soffrire. Personaggi che hanno un tormento
che non capiscono, e non possono uscirne».
Tante storie, e un'esperienza di vita abbastanza limitata, però. Come
arriva a costruire ogni volta nuovi personaggi, dove prende i nomi straordinari
dei suoi protagonisti?
«Oh, i nomi! Molti li ho rubati
ai cavalli della scuderia Tesio, che li avevano bellissimi. E poi Primavera,
mia figlia, ha avuto l'elenco degli allievi della Jeanne d'Arc, la scuola dove
i diplomatici stranieri mandano i figli. Anche lì, nomi splendenti! Piacciono,
i nomi dei miei personaggi. M'ha telefonato l'altro giorno una signora di
Milano chiedendomi in quale romanzo compariva Velella: era nata una bimba, volevano
chiamarla così».
E lei dove l'aveva preso, Velella?
«Le velelle son piccole meduse
che venivan, nel Tigullio, la notte, dopo le mareggiate. Piccole meduse viola,
a forma di barchetta. Vede, anche per questi nomi, dicono che i miei son
romanzi rosa, ma non è vero. Io racconto il mondo che conosco, quello della mia
infanzia, della mia giovinezza»
Che effetto le fa, sapere che di certi scrittori si dice : «è come
Liala», intendo un giudizio negativo?
«Nessun effetto, perché in genere
dice così chi non mi legge. Anch'io leggo poco. Da ragazza leggevo la Deledda,
la Serao, La Capanna dello zio Tom
tutto quel che ora adatto a una signorinetta. Ma poco leggo anche oggi. Non
conosco il libro della signora Fallaci, che mi è stata paragonata: so solo che
i greci dicono che l'ha falsificata, la storia del suo Panagulis. Né so cosa
scriva la signora Tornabuoni che è stata cattiva con me: ha detto che il mio
pilota è sciocco, è impotente. Gliene augurerei almeno due o tre, di impotenti
così, alla signora Tornabuoni!»
La soave signora Cambiasi fa
portare il carrello del té, col plumcake fatto in casa. Parla dei vicini di
casa. Han figli che lei dice «giovinetti», «signorinette». Son persone che lei
dice «di un'educazione commovente». Quando mi dice: «Che bella voce di contralto
ha lei! Che bella civetteria, quelle calze rosee!» capisco che è ora di fuggire.
Potrebbe venirmi voglia di prendere uno pseudonimo: Velella mi piace
moltissimo.
"la Repubblica", 7 febbraio 1981
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