15.1.14

"Una donna che non ha niente da fare". Intervista a Liala (Silvia Giacomoni)

Liala è deliziosa, nel suo abitino color pruno, le granate al collo, il sorriso accogliente, gli occhi ben truccati e intelligenti. Liala è squisita, mentre siede sulla poltrona color acqua, fa un complimento, incrocia le gambe magre, si mette a tua disposizione.
Liala esiste davvero, dunque! Non è un fantasma proiettato dalla fantasia degli scrittori. E' questa donnina il grande oggetto di invidia e spregio di migliaia di persone che, presa la penna in mano, han sperato nel successo e nel guadagno! Che meraviglia! L'unica persona, in Italia, capace di vendere un milione di libri l'anno, di ristampare, da cinquantanni, best-sellers ineguagliabili, è questa dolce signora di 84 anni, padrona di sé, cordiale, serena.

Signora, mi spieghi come ha potuto, una donna della sua generazione, prendere in mano il proprio destino, lavorare con tanta pazienza artigianale...
Liala alza una bianca manina: «Ma io non ho mai lavorato! E' stato che un giorno un amico di mio marito, dopo che era morto il mio pilota, capì che qualcosa mi ribolliva dentro. E mi disse: scriva un romanzo, si sfoghi, la presento io a Arnoldo Mondadori!».
Basta una frase, e la signora Liana Cambiasi ci piomba in un romanzo di Liala. La mia faccia dev'essere basita, perché la vecchia signora sorride e dice: «Ma lei non può capire, se non conosce la storia»
Ed eccomi qui, come un milione di sartine prima di me, a sentire Liala che racconta: la mamma vedova a ventunanno, l'infanzia nella villa di Como, i nonni Negretti Odescalchi. le «belle spiagge», la licenza liceale, il viaggio a Brindisi e l'incontro con l'ufficiale di marina Cambiasi: «bello, elegante, salottiero, vissuto come voleva lui, con una grande fortuna». Il matrimonio, le terre, gli amici, gli sport. «Due anni felici, e poi son diventata un bel mobiletto da tenere lì: mi ha dimenticata». L'incontro col pilota, il vero amore, le pratiche per il divorzio: «Precipitò qui a Varese, si allenava per la coppa Schneider. Mio marito mi fu molto vicino, tanto che nacque un'altra bimba, ma qualcosa mi ribolliva dentro...»
Quando cominciò a scrivere  Signorsì, il suo primo romanzo, a chi la raccontava, questa storia? Che pubblico aveva in mente?
«La raccontavo a me stessa. E' sempre stato così. Io scrivo solo per me. Ancora oggi mi stupisco del successo che ho avuto: ci son tante ingenuità nei miei romanzi! E un giorno mia figlia mi ha sorpresa a dire: ma cosa ci troveranno, in questa Liala!».
Lei dunque non si è mai sentita scrittrice, ha continuato a considerarsi una borghese che scrive romanzi.
«No, borghese no» dice Liala. «Mi consideravo una donna che non aveva niente da fare. Ho sempre avuto del buon personale, due buone bambinaie. E tanto, tanto tempo per scrivere. Esco raramente. E anche quand'ero più giovane, a parte la Scala, non avevo vita mondana».
Nel catalogo Sonzogno ci sono 68 titoli di suoi romanzi. Sessantotto storie che Liala ha raccontato a Liana Cambiasi per confortarla della morte di un pilota, dunque,
Forse è così, ma non sempre è conforto. Sto finendo quello che sarà il mio ultimo romanzo, Frantumi di arcobaleno: e ci sono dei personaggi che mi fanno veramente soffrire. Personaggi che hanno un tormento che non capiscono, e non possono uscirne».
Tante storie, e un'esperienza di vita abbastanza limitata, però. Come arriva a costruire ogni volta nuovi personaggi, dove prende i nomi straordinari dei suoi protagonisti?
«Oh, i nomi! Molti li ho rubati ai cavalli della scuderia Tesio, che li avevano bellissimi. E poi Primavera, mia figlia, ha avuto l'elenco degli allievi della Jeanne d'Arc, la scuola dove i diplomatici stranieri mandano i figli. Anche lì, nomi splendenti! Piacciono, i nomi dei miei personaggi. M'ha telefonato l'altro giorno una signora di Milano chiedendomi in quale romanzo compariva Velella: era nata una bimba, volevano chiamarla così».
E lei dove l'aveva preso, Velella?
«Le velelle son piccole meduse che venivan, nel Tigullio, la notte, dopo le mareggiate. Piccole meduse viola, a forma di barchetta. Vede, anche per questi nomi, dicono che i miei son romanzi rosa, ma non è vero. Io racconto il mondo che conosco, quello della mia infanzia, della mia giovinezza»
Che effetto le fa, sapere che di certi scrittori si dice : «è come Liala», intendo un giudizio negativo?
«Nessun effetto, perché in genere dice così chi non mi legge. Anch'io leggo poco. Da ragazza leggevo la Deledda, la Serao, La Capanna dello zio Tom tutto quel che ora adatto a una signorinetta. Ma poco leggo anche oggi. Non conosco il libro della signora Fallaci, che mi è stata paragonata: so solo che i greci dicono che l'ha falsificata, la storia del suo Panagulis. Né so cosa scriva la signora Tornabuoni che è stata cattiva con me: ha detto che il mio pilota è sciocco, è impotente. Gliene augurerei almeno due o tre, di impotenti così, alla signora Tornabuoni!»


La soave signora Cambiasi fa portare il carrello del té, col plumcake fatto in casa. Parla dei vicini di casa. Han figli che lei dice «giovinetti», «signorinette». Son persone che lei dice «di un'educazione commovente». Quando mi dice: «Che bella voce di contralto ha lei! Che bella civetteria, quelle calze rosee!» capisco che è ora di fuggire. Potrebbe venirmi voglia di prendere uno pseudonimo: Velella mi piace moltissimo.

"la Repubblica", 7 febbraio 1981

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