L'anarchico Ezio Taddei dal suo giornale americano lanciò accuse infamanti contro Antonio Gramsci carcerato. Nel dopoguerra aderì al Pci ed entrò nel giro togliattiano |
Prima o poi bisognerà ragionare
per bene sui libri che pubblica Luciano Canfora. Sono tutti libri, come
quest’ultimo Gramsci in carcere e il
fascismo (Salerno editrice, pp. 304, € 14,00), scritti in modo fluido e
preciso. Solo che Canfora tratta, passando da uno all’altro in tempi
rapidissimi, i temi storici più diversi (storia e filologia, Grecia, Roma,
Bisanzio, Settecento, Ottocento, comunismo, fascismo). Il risultato è che la
sua produzione costituisce ormai un fenomeno che ha inciso sulla percezione del
pubblico – e non solo dei suoi lettori – su che cosa sia storia. Con quei rapidi
cambi, obbliga a pensare in termini di storia globale e dinamica, non limitata
al singolo periodo storico, ma allargata ai confronti diacronici: per di più
sempre in termini di problemi complessi e assicurando la precisione dei fatti e
magari la conoscenza di quelli sconosciuti.
Gramsci in carcere è un libro appunto molto preciso e nuovo, curatissimo
nei dettagli e anche dal punto di vista editoriale. Metà è testo, metà
documenti. Grosso modo percorre il tema della tradizione degli scritti
gramsciani, in particolare le lettere e i Quaderni.
Ma per sviluppare la questione principale, si allarga poi all’analisi della
storia del comunismo italiano, comprese le sue grandi mistificazioni. È quella che,
in due parole, Canfora chiama la «storia sacra» o meglio, che fu
sacra, ma che via via viene e
deve essere riscritta.
In questa storia, ha un ruolo rilevante
Ruggero Grieco, il firmatario della «famigerata lettera» a Gramsci, ma anche,
come segretario del Pci, promotore di quell’«appello ai fratelli in camicia
nera» del 1936, che viene generalmente considerato un gravissimo errore del
partito. I due capitoli su di lui sono a tinte piuttosto fosche. Canfora non
arriva a dire che fosse una spia della polizia fascista, perché non ci sono
prove definitive, ma chi legge quei due capitoli è portato a pensare che lo potesse
benissimo essere. Del resto, basta conoscere un po’ di vicende e di documenti
del Pci, per sapere che tutto lascia sospettare che al tempo del fascismo una
spia ad altissimo livello dovesse essere stata davvero infiltrata, anche dopo
l’«affaire Silone». E comunque rimane
agli atti il giudizio che diede di lui Gramsci in carcere, un uomo «irresponsabilmente
stupido» o che compiva atti «scellerati».
Altro personaggio notevole di questo
libro è Ezio Taddei, un anarchico che, uscito di galera durante il fascismo,
scrisse una serie di articoli infamanti contro Gramsci, tra cui uno ripreso con
enfasi da Mussolini. Taddei ebbe una certa fama in Italia nel dopoguerra, perché,
cancellando completamente
il suo passato anticomunista, fu assorbito
nelle file del Pci e divenne un suo esponente intellettuale di punta, un
rappresentante della categoria degli scrittori del popolo.
Fatto sta che il suo libro di
maggior successo fu pubblicato da Einaudi un anno prima che l’editore iniziasse
a pubblicare i libri del leader sardo. La tradizione del testo gramsciano è
passata anche attraverso questi personaggi discutibili. Il centro del discorso
però resta Togliatti, che alla fin fine risulta il vero valorizzatore di quegli
scritti. Forse contro Gramsci stesso, che, pieno di sospetti, mal digeriva che
i suoi testi finissero in mano ai compagni italiani. Togliatti andava avanti
senza guardare in faccia nessuno: si vedano le righe dove viene ricordata
l’agghiacciante scena dell’inaugurazione della Fondazione Gramsci nel 1950, a
cui parteciparono sia Togliatti sia Taddei.
“alias della domenica”, 17 giugno
2012
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