13.1.14

Luciano Canfora: i nemici del carcerato Gramsci (di Giorgio Fabre)

L'anarchico Ezio Taddei
dal suo giornale americano
lanciò accuse infamanti
contro Antonio Gramsci carcerato.
Nel dopoguerra aderì al Pci
ed entrò nel giro togliattiano 
Prima o poi bisognerà ragionare per bene sui libri che pubblica Luciano Canfora. Sono tutti libri, come quest’ultimo Gramsci in carcere e il fascismo (Salerno editrice, pp. 304, € 14,00), scritti in modo fluido e preciso. Solo che Canfora tratta, passando da uno all’altro in tempi rapidissimi, i temi storici più diversi (storia e filologia, Grecia, Roma, Bisanzio, Settecento, Ottocento, comunismo, fascismo). Il risultato è che la sua produzione costituisce ormai un fenomeno che ha inciso sulla percezione del pubblico – e non solo dei suoi lettori – su che cosa sia storia. Con quei rapidi cambi, obbliga a pensare in termini di storia globale e dinamica, non limitata al singolo periodo storico, ma allargata ai confronti diacronici: per di più sempre in termini di problemi complessi e assicurando la precisione dei fatti e magari la conoscenza di quelli sconosciuti.
Gramsci in carcere è un libro appunto molto preciso e nuovo, curatissimo nei dettagli e anche dal punto di vista editoriale. Metà è testo, metà documenti. Grosso modo percorre il tema della tradizione degli scritti gramsciani, in particolare le lettere e i Quaderni. Ma per sviluppare la questione principale, si allarga poi all’analisi della storia del comunismo italiano, comprese le sue grandi mistificazioni. È quella che, in due parole, Canfora chiama la «storia sacra» o meglio, che fu
sacra, ma che via via viene e deve essere riscritta.
In questa storia, ha un ruolo rilevante Ruggero Grieco, il firmatario della «famigerata lettera» a Gramsci, ma anche, come segretario del Pci, promotore di quell’«appello ai fratelli in camicia nera» del 1936, che viene generalmente considerato un gravissimo errore del partito. I due capitoli su di lui sono a tinte piuttosto fosche. Canfora non arriva a dire che fosse una spia della polizia fascista, perché non ci sono prove definitive, ma chi legge quei due capitoli è portato a pensare che lo potesse benissimo essere. Del resto, basta conoscere un po’ di vicende e di documenti del Pci, per sapere che tutto lascia sospettare che al tempo del fascismo una spia ad altissimo livello dovesse essere stata davvero infiltrata, anche dopo l’«affaire Silone». E comunque rimane agli atti il giudizio che diede di lui Gramsci in carcere, un uomo «irresponsabilmente stupido» o che compiva atti «scellerati».
Altro personaggio notevole di questo libro è Ezio Taddei, un anarchico che, uscito di galera durante il fascismo, scrisse una serie di articoli infamanti contro Gramsci, tra cui uno ripreso con enfasi da Mussolini. Taddei ebbe una certa fama in Italia nel dopoguerra, perché, cancellando completamente
il suo passato anticomunista, fu assorbito nelle file del Pci e divenne un suo esponente intellettuale di punta, un rappresentante della categoria degli scrittori del popolo.
Fatto sta che il suo libro di maggior successo fu pubblicato da Einaudi un anno prima che l’editore iniziasse a pubblicare i libri del leader sardo. La tradizione del testo gramsciano è passata anche attraverso questi personaggi discutibili. Il centro del discorso però resta Togliatti, che alla fin fine risulta il vero valorizzatore di quegli scritti. Forse contro Gramsci stesso, che, pieno di sospetti, mal digeriva che i suoi testi finissero in mano ai compagni italiani. Togliatti andava avanti senza guardare in faccia nessuno: si vedano le righe dove viene ricordata l’agghiacciante scena dell’inaugurazione della Fondazione Gramsci nel 1950, a cui parteciparono sia Togliatti sia Taddei.


“alias della domenica”, 17 giugno 2012

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