23.1.14

L'esperienza della Resistenza (Lanfranco Binni)

Di un libro importante, Storie della Resistenza (Sellerio, 2013), ho qui copiato mesi fa qualche frammento (precisamente dal Dizionario del partigiano).
http://salvatoreloleggio.blogspot.it/2013/10/dal-dizionario-del-partigiano-anonimo.html 
Sul volume “posto” ora la recensione pubblicata da Lanfranco Binni sul “Ponte”. (S.L.L.)


Il comandante Barbato, liberatore di Torino (Pompeo Colajanni) 
Storie della Resistenza, a cura di Domenico Gallo e Italo Poma (Sellerio, 2013), ci riavvicina, quasi in presa diretta, all’esperienza fondamentale della lotta per la democrazia in Italia nel Novecento. Attraverso un montaggio di testi (testimonianze, racconti, ricordi) che segue il criterio di restituire la complessità della guerriglia partigiana dopo e contro decenni di rimozione e deformazione “storica” dei contenuti rivoluzionari del movimento di liberazione (dall’occupazione tedesca, dal fascismo e dall’Italia liberal-monarchica che lo aveva generato), riemergono le voci dei protagonisti di quella stagione drammatica ed eroica della nostra storia, componendo un quadro mobilissimo e a più dimensioni.
Tornando ai giorni della lotta armata di liberazione, preparata da lunghi anni di cospirazione antifascista in Italia e in Francia, dall’esperienza dei combattenti delle Brigate Internazionali in Spagna, i curatori del volume raccolgono in forme di antologia, in sezioni tematiche («Che cosa fu la Resistenza», «I maestri», «La scelta», «Organizzazione politica e militare», «Le azioni», «Prigionieri, esecuzioni e spie», «Donne protagoniste», «Ebrei nella Resistenza», «Poeti, scrittori, intellettuali») le tante storie dei «ribelli» delle più diverse estrazioni sociali nella loro individuale esperienza di scoperta della libertà, dell’autonomia e della dignità dopo un ventennio di esasperata e violenta educazione al servilismo e alla complicità con il regime.
Ecco allora la centralità di un’altra educazione nelle formazioni partigiane, ispirata agli insegnamenti di tanti maestri di antifascismo, da Gobetti a Gramsci, dai Rosselli a Capitini: battere con ogni mezzo i tedeschi e i fascisti è la condizione necessaria per ricostruire dalle fondamenta e in altra direzione (liberalsocialista, socialista, comunista) un paese devastato e profondamente corrotto. Ecco allora la necessità della violenza, di un contropotere organizzato e sostenuto da reti di solidarietà nella popolazione civile, capace di gestire territori liberati, di amministrare la giustizia partigiana. Ecco la scoperta di nuove relazioni tra intellettuali, operai e contadini, tra uomini e donne: le bande partigiane diventano gli straordinari laboratori, in condizioni di difficoltà estrema, di una nuova Italia da costruire con determinazione e speranza. Sarà una stagione breve, e l’altra Italia, quella della continuità dello Stato e della servitù volontaria nei confronti del potere, nel 1948 ristabilirà il suo ordine. A essere «epurati» non saranno i fascisti ma i partigiani; molti di loro, soprattutto di estrazione popolare, scompariranno nel nulla o saranno perseguitati dalla giustizia borghese, accusati di crimini e nefandezze. E su tutti si abbatterà la riscrittura della Storia a opera dei normalizzatori liberalproprietari e dei tatticisti di ogni partito. La vita quotidiana farà il resto.
Prima che la Resistenza diventasse un genere letterario, “letteratura della Resistenza”, con Fenoglio e Calvino, altri avevano scritto per urgenza di verità, protagonisti e testimoni del proprio presente. I loro testi furono pubblicati nelle riviste del 1944-1945: a Napoli «Aretusa» di Francesco Flora, a Roma «Mercurio» di Alba de Céspedes, «Il Ponte» di Calamandrei a Firenze, «Il Politecnico» di Vittorini a Milano. Altri testi furono pubblicati nei giornali clandestini dell’Italia ancora occupata.
È a questo giacimento originario e in gran parte dimenticato che attingono i curatori di Storie della Resistenza, ritrovando, per fare un esempio significativo, un racconto del gappista Franco Calamandrei pubblicato su «Mercurio» nel novembre-dicembre 1944, Il compagno Francesco: operaio, combattente in Spagna, confinato a Ventotene, gappista a Roma, «Francesco era il più onesto di noi, il compagno migliore. In Roma liberata c’è stato per lui un posto di cuoco in una cucina militare francese. Lì ha sudato l’estate, e la notte faceva il guardiano nella sede di una nostra sezione. Ora ha avuto il biglietto per la Sardegna, e mi ha salutato. Portava lo stesso vestito che il Soccorso Rosso gli dette quando arrivò dal confino. In più aveva soltanto un pacco di giornali e di opuscoli da distribuire nel paese».
Oppure ritrovando scrittori di altissima qualità come Antonio Meluschi, bolognese, autodidatta, in carcere con Gramsci e comandante partigiano nelle Valli di Comacchio, autore di uno straordinario romanzo, La morte non costa niente, pubblicato nel 1946 e mai più ristampato, da cui è tratto il racconto La vita non aveva più alcun valore: «La paura annullò individui che sembravano respirare col lievito stesso della violenza, e che scomparvero nella passiva tristezza di tutto un popolo: rari gli eroismi, compiuti sempre dagli stessi, e questa è la verità storica di quella stagione in cui si pensava alla massa, alla collettività come forza rivoluzionaria. […] Mancava il denaro per sostenere i primi gruppi partigiani, che erano scalzi, stracciati, per acquistare armi, medicinali, viveri: fucili, pistole, mitragliatrici rubate ai tedeschi, ai fascisti, si dovevano comperare al mercato nero; la speculazione, l’interesse, come in ogni guerra, circondarono la lotta per la liberazione, e gli uomini mostrarono ancora una volta l’inciviltà, l’egoismo: vendevano a prezzi alti, esosi, a chi si batteva per difendere la loro libertà, col solo tornaconto dei sacrifici, delle privazioni, della morte […]»; e, a proposito di un atteggiamento diffuso nei confronti dei partigiani nel corso del 1944: «Nacque una depressa forma di pedagogismo politico, militare, che, confinando con la viltà, consigliava l’inazione, aspettare la maturazione storica dei fatti, e si riprovavano i colpi dei gappisti, ritenuti dei pazzi, degli esaltati, dei criminali, i combattimenti dei partigiani, considerati banditi, gente staccata dalla società come un dente guasto».
Ma proprio per questo, per innescare un processo storico diverso, è evidente in quasi tutti i testi, di autori dimenticati o rimossi (come Maurizio Milan, Giovan Battista Lazagna, Lia Sellerio) e di autori noti (da Carlo Levi a Giorgio Caproni, da Nuto Revelli a Romano Bilenchi, da Marcello Venturi a Maria Luigia Guaita), la consapevolezza di una grande opportunità di profondo cambiamento della società italiana, dell’apertura di una fase nuova, e necessaria, in cui ha senso rischiare la vita per ritrovarla. E ogni storia individuale ha il suo punto di vista, la sua connotazione culturale, ma insieme il sapore di un processo collettivo.
Testimonianza della grande varietà delle voci che parlano in questo volume è il ricordo che il liberalsocialista nonviolento Aldo Capitini, sperimentatore e teorico della democrazia diretta nella prospettiva della «omnicrazia», dedica al comandante partigiano Antonio Giuriolo, vicentino, liberalsocialista e nonviolento, ucciso nel 1944 sulla montagna pistoiese mentre stava soccorrendo un compagno ferito, senza aver mai sparato un colpo con il suo fucile: «Questo raro atteggiamento era segno che, di contro alla violenza del fascismo, c’era, sì, chi contrapponeva una violenza che doveva servire semplicemente a liberare, e non ad opprimere, ma ci fu anche chi intravvide un ulteriore contesto, quello di una società che rifiuta di distruggere gli avversari, e si costruisce mediante il consenso e il dissenso, utilizzando anche le molteplici forme della non cooperazione e della disobbedienza civile, senza violenza. Ma l’idea che fosse possibile liberarsi dal fascismo in questa forma, persistente ed eroica, dicendogli “no”, stabilendo le più larghe solidarietà popolari, era assolutamente immatura, e soltanto ora, per la conoscenza ed esperienza delle grandi campagne nonviolente, si fa strada nel mondo». Questo scriveva Capitini nel 1966, in Antifascismo tra i giovani. Vitale complessità dell’antifascismo e della Resistenza.
Tra i testi raccolti non si può non citare, come documento di grande valore politico e letterario, il Dizionario del partigiano trovato nel marzo del 1945 sul cadavere di un partigiano rimasto sconosciuto, sull’Appennino ligure-emiliano, e pubblicato da Angelo Del Boca nel 1963: una cinquantina di voci scritte a matita su piccoli fogli d’agenda. Da Alba («Quando spunta, può essere troppo tardi») a Volante («Non si sa chi abbia dato questo nome a un piccolo gruppo di uomini che, agendo di sorpresa, attacca gli automezzi sulle grandi vie di comunicazione, fa saltare depositi e binari e, se occorre per uno scambio di prigionieri, preleva anche un generale tedesco dal suo stesso ufficio. Non è improbabile che a coniare questo termine sia stato uno che ha partecipato alla guerra di Spagna. È impressionante il bagaglio di esperienze, di nomi, di immagini, di tradizioni che ci viene da quella sfortunata guerra per la libertà»), le parole-chiave della vita del partigiano, delle tattiche di guerriglia, delle diverse posizioni politiche dei combattenti, ma anche dei pensieri non detti; dalla voce Morte: «Non se ne parla mai, ma è sempre con noi. Ciascuno si è immaginato la propria, lavorandovi intorno fin dal giorno in cui ha scelto questa parte della barricata. È indispensabile possedere una morte, così come è indispensabile possedere un fucile, un paio di buone scarpe e qualche idea chiara in testa […]». Non c’è spazio né tempo per la retorica, e i giudizi sono sintesi di esperienza e di analisi della realtà: «Prete. Quello che sta con noi è l’umile e povero parroco di campagna. Gli alti prelati, in città, benedicono i gagliardetti delle “Brigate Nere”».

Ogni sezione tematica di Storie della Resistenza è preceduta da sintetiche premesse di contestualizzazione dei testi, in cui i curatori si confrontano con la storiografia della Resistenza invitando comunque a stabilire un rapporto diretto con i testi antologizzati, e questo è un altro pregio di metodo di questo volume: «Ma saranno i testi a parlare al lettore meglio di qualsiasi analisi o spiegazione: calandoci in questi vecchi libri, nei giornali raccolti nei fondi delle biblioteche, nelle pagine di riviste introvabili, ci siamo accorti quanto ogni retorica che ha cercato di aggredire e annullare questo momento della nostra storia, oppure che l’ha interpretata senza alcuna sfumatura critica, venga inevitabilmente superata dall’onestà intellettuale di chi, a differenza di altri, ha trovato il coraggio e una voce per raccontare».

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