14.1.14

"La speranza viene e va". Barbara Spinelli intervista Marguerite Yourcenar (1986)

Parigi - Prima di incontrare Marguerite Yourcenar, la scrittrice nata a Bruxelles ottantatré anni or sono, mi sono domandata quale potesse essere la chiave, per avvicinare la grande e sfuggente Vecchia, e scoprire al tempo stesso il filo che magicamente traversa le sue opere. L'autrice di Memorie di Adriano non ha piacere quando si confonde il creatore con le sue creature, e quando su questa fusione si edificano totalizzanti interpretazioni. «A ben vedere non ho che un interesse limitato per me stessa — ha detto una volta — ho l'impressione di essere uno strumento attraverso il quale sono passate delle correnti, delle vibrazioni. Di non essere che un cristallo traversato».
Ma visto che adesso esce in Italia il grande volume delle sue opere a inaugurare i nuovi Classici Bompiani, ho voluto provare. Ci deve pur essere un gioco di specchi, viaggio di andata e ritorno tra l'imperatore Adriano che si arrampica sull'Etna per vedere l'alba e l'alchimista-fìlosofo Zenone che nella Opera in nero sceglie il momento della propria morte. E tra questi ultimi è il pittore vagabondo Wang-Po, che nelle Novelle orientali è condannato a morte per aver dipinto paesaggi troppo ingannevoli e infine si salva entrando nel suo quadro più perfetto.
L'incontro-intervista comincia con una domanda rischiosa: «A me sembra — azzardo — che i suoi più grandi personaggi (Adriano, Zenone), siano innanzitutto dei viaggiatori. Che la chiave sia insomma nel Viaggio. O sbaglio?».
Marguerite Yourcenar mi sorride, ha la bellezza che danno le rughe quando si affastellano e il portamento quando è fuori del tempo. Nel salottino del Ritz dove mi riceve, a Place Vendòme, non si sente forse a suo agio, lei che da decenni vive in un'isoletta del Maine, il Mount Desert Island. Però il salottino già mi appare impregnato della sua aura, dimora di passaggio ma familiare a chi ha molto peregrinato, in Europa e Oriente. 
Sorride dunque, e con dolcezza mi consiglia un vagabondaggio meno inquieto: «Non c'è bisogno di chiavi — sussurra — le porte sono tutte aperte e basta riconoscerle. Però è vero che viaggiare è un'esperienza umana fondamentale. Che la grandezza di Adriano o Zenone è racchiusa nel loro essere ubiqui, e meticci. Ogni viaggio è un atto di conoscenza. Anche il viaggio in una stanza, o in una prigione».

- In un certo senso è anche cerimonia di iniziazione, alla sapienza di se stessi.
«Di iniziazione? Non credo alle iniziazioni. Gli esseri arrivano piano piano a capire ma non esiste un rituale valevole per tutti. L'iniziazione è un'autodisciplina, e per riuscire occorre subire in misura crescente, sperimentare, apprendere, riflettere sempre di più. E' un consiglio che si può già dare a un bambino di dieci anni».

- Tuttavia lei attribuisce un grande spazio alla dimensione religiosa di questo atto di conoscenza.
«Dipende cosa intende per religione, e quale religione. Se per religione intende l'interesse dell'uomo per ciò che lo oltrepassa, che non conosce, l'importanza che le attribuisco è immensa. Se invece mi parla di una religione in particolare, cui attaccarsi, allora no. L'importanza è nulla. Per quanto mi riguarda direi che io ho più religioni al tempo stesso, come ho più patrie. E' la ragione in fondo per cui non mi sento di appartenere a nessuna di esse. Tutte contengono alcune verità umane profonde, anche se alcune ne contengono più di altre».

- Quali, in particolare?
«Ci sono religioni noiose, e religioni più belle. Prenda l'esperienza mistica, verso cui tendono tutte. Quando non hanno questa tensione, le religioni non sono molto più che un fenomeno sociale, e hanno appunto qualcosa di noioso».

- Non crede che la poesia abbia qualcosa in comune con l'esperienza religiosa? Le poesie greche che ha tradotto, per esempio?
«Certo che il legame c'è. La poesia è una presa di contatto, un appuntamento. Ma non solo la poesia. In tutte le esperienze umane esiste questo legame. La gente non lo sa, e per questo è infelice. Perfino mangiare è un'esperienza religiosa, è partecipare. Fare l'amore è un'esperienza religiosa, e camminare sull'erba o sull'asfalto. Non dimentichi che la parola religione vuol dire "rilegare", partecipare. Si rilega un libro, e ci si "collega" con la terra, o con gli animali».

- So che lei ama molto gli animali. Tutti gli animali. Ce n'è uno che lei ama più degli altri, che è più mitico di altri?
«L'animale selvatico che mi commuove di più è probabilmente l'elefante. Perché gli elefanti sono intelligenti, hanno la memoria, e un senso pratico ammirevole. Perché difendono meravigliosamente i loro piccoli, e sono belli. Hanno la morbidezza della terra, cui assomigliano anche di colore. Le confesso che a suo tempo volevo comprarmi un elefante. Poi mi sono resa conto della difficoltà. Tutti sarebbero venuti a guardare l'elefante nel mio giardino e non poteva funzionare. Allora ho ripiegato sul cane».

- C'è anche, nell'elefante, la capacità di presentire la propria morte e prepararvisi, in solitudine.
«E' vero che questo è il fascino segreto degli elefanti. Ma devo dirle che ho conosciuto un certo numero di cani che hanno questo stesso presentimento, e questo modo di condursi».

- Ritorniamo al viaggio. Al suo viaggio verso le origini della nostra civiltà. Quel che mi colpisce di più è la spiaggia cui infine approda Yourcenar la pellegrina. Una spiaggia dove l'Occidente greco si incontra con l'Oriente, la religione cristiana con il buddismo e lo scintoismo.
«Si incontrano anche con civiltà che conosciamo appena. Quella ittita ad esempio comincia ad essere scoperta. E la scandinava è forse molto più antica di quello che pensiamo. Ricordi infine che il cammino percorso per capire le nostre origini è assai breve. Non si va oltre i 15 mila anni. Il che è assai poco, nel tempo».

- Resta l'originalità del suo sguardo, sulla cultura europea. L'idea, ad esempio, che Schopenhauer è il primo filosofo che ha pensato il mondo alla maniera dei buddisti. Che Adriano è grandioso perché appartiene e all'Occidente e all'Oriente.
«Non conosco Schopenhauer più di altri filosofi, ma è vero che attraverso Schopenhauer le prime intuizioni sul pensiero orientale sono giunte in Occidente, alla metà del XIX Secolo. Sul pensiero di Budda in prima linea, perché fra tutte le religioni il buddismo assomiglia di più a una filosofia. E' una delle rare religioni che guarda il mondo in faccia, senza truccarlo. In fondo è una forma di protestantesimo: è il protestantesimo dell'induismo. Budda, che era un principe indù, ha lottato contro i riti e le interpretazioni troppo mitiche dell'induismo, e ha riportato l'uomo alla conoscenza di sé, del mondo quale è. "Fratelli, siate una lampada che rischiari voi stessi", diceva. Detto questo i riti son divenuti essenziali, anche nel buddismo. Solo che all'epoca dì Budda stavano soffocando il pensiero indù. Un po' come è avvenuto con il cattolicesimo, quando è nata la riforma protestante».

- E poi c'è il viaggio nella storia. Quella di Adriano, tra le altre.
«Devo dire che Adriano è uno dei rari imperatori romani che mi appaiono intelligenti. Anche Cesare lo era, ma come uomo di Stato. Non era un'intelligenza filosofica. Invece Adriano era un uomo in qualche modo distaccato dalle convenzioni del suo tempo. E al tempo stesso la sua ambizione politica era gigantesca: aveva l'ambizione di governare il mondo. In effetti la sua vocazione vagabonda ha contato molto. Il suo essere greco, e innamorato dei miti orfici orientali. E nativo della Spagna. Quando arrivò a Roma, ci si prendeva gioco del suo accento iberico. Insomma, fu un uomo di molteplici culture. Anche Marco Aurelio è un filosofo ma non un cosmopolita. Era influenzato esclusivamente dalla Grecia, come lo erano tutti a Roma, d'altronde. Forse per questo il suo pensiero è più tetro, meno distaccato di quello di Adriano. Cambiando epoca, anche Zenone è un filosofo dove molte culture si intersecano. Un uomo in bilico tra Medioevo e Rinascimento. Questi momenti di passaggio, nella storia, mi affascinano».

- La morte ricorre spesso nei suoi libri. La preparazione alla morte.
«Se non ci si irrigidisce contro la vita, la morte viene da sé. La si accetta come una parte della vita. La morte non è un traguardo. Ci accompagna, fin dall'infanzia. C'è anche la possibilità di decidere il momento della propria morte, e per questo Mishima mi attira. E' la nobiltà dello scacco, come scrive l'orientalista Ivan Morris. Nella cultura giapponese orientale questa accettazione nobile della morte è più forte che in Europa. Ma la gloria dello scacco è universale. E' la sconfitta di Napoleone che ha fatto di lui una figura mitica. Non le sue vittorie militari».

- Si parla della morte della poesia, del romanzo. Cosa ne pensa?
«Sono stati i poeti a uccidere la poesia. Perché hanno smesso di scrivere poesia, e si sono messi a scrivere un'incomprensibile prosa. E anche i romanzi spesso sono brutti oggi. Secondo me siamo in piena crisi di Civiltà. Intanto c'è la tendenza nello scrittore, pericolosissima, a parlare di se stesso, a fare introspezioni di bassa lega. E poi il mondo non è più quello di Balzac, con chiare gerarchie sociali e personaggi evidenti come l'avaro Goriot. Oggi la società è più uniforme, noiosa. Mancano i tipi. E manca, negli scrittori, il senso che il loro mestiere è umile. Che occorre correggere, riscrivere, tradurre con rigore, gettare carta inutile. Con la stessa puntigliosità degli artigiani».

- Signora Yourcenar, vorrei chiederle quali sono le quattro regole di Budda che l'hanno accompagnata nella vita, e che sin qui non ha voluto svelare.
« Ve le dirò. Prima regola: per quanto difficile sia la perfezione, cercherò di raggiungerla. Seconda: per quanto numerose siano le cattive passioni, cercherò di trionfare su di esse. Terza: per quanto faticoso sia lo studio, continuerò a studiare. Quarta: per quanto innumerevoli siano i milioni dì esseri erranti nell'immensità dei tre mondi (il mondo dello spirito, della carne, della materia), lavorerò per salvarli. In altre parole, Budda insegna il paradosso. Soprattutto il buddismo poetico, meno primitivo: nel buddismo Hianaya, Budda lascia il mondo, una volta riempita la sua missione. In quello più complesso, cioè nel buddismo mahayana, Budda resta fino a quando ci sarà una sola persona da salvare. La speranza dunque viene e va. Abbiamo tanto tempo di fronte a noi. Milioni di anni».


Tuttolibri – La Stampa, 10 maggio 1986

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