Il suo uditorio fu di oltre un
miliardo di persone e, durante ventiquattro anni di carriera come oratore
politico (dal febbraio 1920 all'estate '44), Adolf Hitler pronunciò almeno
dieci milioni di parole. «Una eloquenza volgare ma efficace sulle masse»,
scrisse Thomas Mann in un saggio antinazista sulla «Das Neue Tagebuch», «con
cui fruga nelle ferite del popolo, lo tocca con la profezia della sua offesa
grandezza, lo assorda con le sue promesse e fa della sofferenza nazionale il
veicolo della propria potenza».
Hitler, come oratore, ebbe
probabilmente parecchie manchevolezze, ma tutto scompariva - dicono i testimoni
dell'epoca, anche quelli a lui contrari - dinanzi alla straordinaria
impressione di forza, all'immediatezza delle passioni, all'intensità dell'odio
e alla furia minacciosa che il solo suono della sua voce, indipendentemente da
quanto dicesse, sapeva suscitare in chi ascoltava. Uno dei segreti che fecero
di Hitler «il mago della parola» (la definizione è di Hans Frank, il
governatore della Polonia condannato a morte a Norimberga) era l'istintiva
abilità nel cogliere le passioni nascoste, i segreti, le aspirazioni, le ansie.
«Le sue parole», ha lasciato scritto Otto Strasser, uno dei nemici mortali del
Fuhrer dopo essergli stato accanto nella conquista del potere, «vanno come
frecce al bersaglio; egli tocca nel vivo la ferita di ciascuno sprigionando
l'inconscio della massa, esprimendone le più intime aspirazioni, dicendole ciò
che più vuole sentirsi dire».
I discorsi venivano preparati da
Hitler con estrema cura e, prima di dettarne l'abbozzo alle segretarie, egli
esitava per giorni. (Meditò due settimane sull'allocuzione che intendeva
rivolgere nel novembre '39 ai quadri del partito nella Burger-braukeller di
Monaco in occasione dell'anniversario del fallito putsch: doveva infatti
spiegare a una base piuttosto delusa il perché delle esitazioni che lo trattenevano
dall'attaccare la Francia). Infine lavorava d'impeto, provando dizione e
atteggiamenti dinanzi a uno specchio (esiste in proposito una celebre sequenza
di fotografie), declamandone lunghi passi a voce altissima e stridente. Alla
Cancelleria usava gli occhiali ma in pubblico non li portava; perciò il testo,
che doveva essere senza correzioni, veniva dattiloscritto con una macchina
speciale fornita di caratteri alti dodici millimetri.
Questi discorsi, di solito,
duravano due ore ma quello del 15 settembre 1935 a Norimberga, quando vennero
approvate le leggi contro gli ebrei, occupò quattro ore e ventidue minuti e registrò
oltre cento casi di malore fra gli ascoltatori («Ormai», scrisse Ciano nel Diario, «i discorsi del Fuhrer si
calcolano a numero di svenimenti»). Da queste maratone oratorie Hitler usciva
quasi distrutto, privo di forze, con due-tre chili in meno. Henriette von
Schirach ha raccontato: «Una volta lo vidi dopo un discorso, spossato, pallido,
esausto e chiuso in un completo mutismo mentre, avvolto nel mantello
dell'uniforme, attendeva un altro vestito e biancheria fresca».
La voce di Hitler aveva un timbro
aspro; le sillabe finali risultavano allungate a dismisura; le parole, specie
quelle composte, le scandiva di proposito, quasi a sottolinearne il significato
(faceva così anche Mussolini). Mentre duecento vibrazioni al minuto sono già
una frequenza che indica uno stato di collera accesa, in una frase tipica del
Fuhrer la frequenza raggiungeva il limite di 228: «La voce ululante, gutturale
e sorda soffocava ogni altro rumore», dirà Ernst von Salomon, testimone
insospettabile, in Io resto prussiano
descrivendo come udì alla radio una allocuzione di Hitler. «La voce si alzava
con una oscura e minacciosa violenza, vibrava insistente, rintronava come il
ruggito di un leone irritato...».
Tutta la carriera di Hitler fu
scandita da discorsi in cui egli, al di là dei concetti, degli umori, delle
idee, delle invettive, delle improvvisazioni retoriche, applicava tecniche che
lui stesso rivelerà nelle Conversazioni a
tavola raccolte da Martin Bormann: «Per ottenere rapidamente larghi
consensi nella massa questi sono gli infallibili mezzi da usare (...). Nei
comizi ripetere più volte le stesse frasi, trattare gli oppositori con la
villania più ostentata in modo che la stampa avversaria, che altrimenti
ignorerebbe le nostre assemblee, sia costretta a parlare di noi».
Non sempre, tuttavia, i discorsi
di Hitler puntavano sulla coreografia o sull'irruenza. Sensibilità e intuito
gli consentivano ogni volta di trovare la parola adatta al pubblico che lo
ascoltava. Possedeva al sommo grado la capacità di comprendere la psicologia
nazionale e, come dice Shirer, di «mentire con l'espressione più sincera».
Con la voce riuscì a conquistare
anche l'architetto Albert Speer (colui che diventerà nel 1942 ministro per gli
armamenti e l'industria) che lo udì parlare, nel '31, agli studenti
dell'università di Berlino: «Mi sentivo trascinato dall'entusiasmo stesso da
cui era continuamente sorretto il suo discorso», scriverà successivamente nelle
Memorie del Terzo Reich. «Un
entusiasmo così intenso che mi pareva di poterlo toccare e che demoliva ogni
riserva, ogni scetticismo».
La maggior parte dei suoi
discorsi Hitler li pronunciò prima della guerra (ai congressi annuali del
partito il Fuhrer parlava addirittura da quindici a venti volte); scoppiato il
secondo conflitto mondiale le sue apparizioni in pubblico andarono diminuendo e
nel '39 tenne soltanto otto discorsi (e sette l'anno seguente). Un vero record
in negativo, per un uomo che fino allora non aveva certo risparmiato la sua
ugola d'oro.
L'ultima volta che la Germania
udì la sua voce fu la sera del 20 luglio '44 quando parlò alla radio dopo
essere scampato all'attentato di Stauffenberg: la sua voce, alterata, era quasi
irriconoscibile ma aveva ancora l'antica facoltà magica, come il pifferaio di
Hamelin, di trascinare gli ascoltatori.
Tratto dal Dossier Nazismo (1933-1983) prodotto dal settimanale “L’Europeo”.
Si tratta di un box nella prima delle quattro dispense (supplemento al n.48, 26
novembre 1983), senza firma e pertanto da attribuire al curatore Giuseppe
Mayda.
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