17.1.14

Hitler oratore (Giuseppe Mayda)

Il suo uditorio fu di oltre un miliardo di persone e, durante ventiquattro anni di carriera come oratore politico (dal febbraio 1920 all'estate '44), Adolf Hitler pronunciò almeno dieci milioni di parole. «Una eloquenza volgare ma efficace sulle masse», scrisse Thomas Mann in un saggio antinazista sulla «Das Neue Tagebuch», «con cui fruga nelle ferite del popolo, lo tocca con la profezia della sua offesa grandezza, lo assorda con le sue promesse e fa della sofferenza nazionale il veicolo della propria potenza».
Hitler, come oratore, ebbe probabilmente parecchie manchevolezze, ma tutto scompariva - dicono i testimoni dell'epoca, anche quelli a lui contrari - dinanzi alla straordinaria impressione di forza, all'immediatezza delle passioni, all'intensità dell'odio e alla furia minacciosa che il solo suono della sua voce, indipendentemente da quanto dicesse, sapeva suscitare in chi ascoltava. Uno dei segreti che fecero di Hitler «il mago della parola» (la definizione è di Hans Frank, il governatore della Polonia condannato a morte a Norimberga) era l'istintiva abilità nel cogliere le passioni nascoste, i segreti, le aspirazioni, le ansie. «Le sue parole», ha lasciato scritto Otto Strasser, uno dei nemici mortali del Fuhrer dopo essergli stato accanto nella conquista del potere, «vanno come frecce al bersaglio; egli tocca nel vivo la ferita di ciascuno sprigionando l'inconscio della massa, esprimendone le più intime aspirazioni, dicendole ciò che più vuole sentirsi dire».
I discorsi venivano preparati da Hitler con estrema cura e, prima di dettarne l'abbozzo alle segretarie, egli esitava per giorni. (Meditò due settimane sull'allocuzione che intendeva rivolgere nel novembre '39 ai quadri del partito nella Burger-braukeller di Monaco in occasione dell'anniversario del fallito putsch: doveva infatti spiegare a una base piuttosto delusa il perché delle esitazioni che lo trattenevano dall'attaccare la Francia). Infine lavorava d'impeto, provando dizione e atteggiamenti dinanzi a uno specchio (esiste in proposito una celebre sequenza di fotografie), declamandone lunghi passi a voce altissima e stridente. Alla Cancelleria usava gli occhiali ma in pubblico non li portava; perciò il testo, che doveva essere senza correzioni, veniva dattiloscritto con una macchina speciale fornita di caratteri alti dodici millimetri.
Questi discorsi, di solito, duravano due ore ma quello del 15 settembre 1935 a Norimberga, quando vennero approvate le leggi contro gli ebrei, occupò quattro ore e ventidue minuti e registrò oltre cento casi di malore fra gli ascoltatori («Ormai», scrisse Ciano nel Diario, «i discorsi del Fuhrer si calcolano a numero di svenimenti»). Da queste maratone oratorie Hitler usciva quasi distrutto, privo di forze, con due-tre chili in meno. Henriette von Schirach ha raccontato: «Una volta lo vidi dopo un discorso, spossato, pallido, esausto e chiuso in un completo mutismo mentre, avvolto nel mantello dell'uniforme, attendeva un altro vestito e biancheria fresca».
La voce di Hitler aveva un timbro aspro; le sillabe finali risultavano allungate a dismisura; le parole, specie quelle composte, le scandiva di proposito, quasi a sottolinearne il significato (faceva così anche Mussolini). Mentre duecento vibrazioni al minuto sono già una frequenza che indica uno stato di collera accesa, in una frase tipica del Fuhrer la frequenza raggiungeva il limite di 228: «La voce ululante, gutturale e sorda soffocava ogni altro rumore», dirà Ernst von Salomon, testimone insospettabile, in Io resto prussiano descrivendo come udì alla radio una allocuzione di Hitler. «La voce si alzava con una oscura e minacciosa violenza, vibrava insistente, rintronava come il ruggito di un leone irritato...».
Tutta la carriera di Hitler fu scandita da discorsi in cui egli, al di là dei concetti, degli umori, delle idee, delle invettive, delle improvvisazioni retoriche, applicava tecniche che lui stesso rivelerà nelle Conversazioni a tavola raccolte da Martin Bormann: «Per ottenere rapidamente larghi consensi nella massa questi sono gli infallibili mezzi da usare (...). Nei comizi ripetere più volte le stesse frasi, trattare gli oppositori con la villania più ostentata in modo che la stampa avversaria, che altrimenti ignorerebbe le nostre assemblee, sia costretta a parlare di noi».
Non sempre, tuttavia, i discorsi di Hitler puntavano sulla coreografia o sull'irruenza. Sensibilità e intuito gli consentivano ogni volta di trovare la parola adatta al pubblico che lo ascoltava. Possedeva al sommo grado la capacità di comprendere la psicologia nazionale e, come dice Shirer, di «mentire con l'espressione più sincera».
Con la voce riuscì a conquistare anche l'architetto Albert Speer (colui che diventerà nel 1942 ministro per gli armamenti e l'industria) che lo udì parlare, nel '31, agli studenti dell'università di Berlino: «Mi sentivo trascinato dall'entusiasmo stesso da cui era continuamente sorretto il suo discorso», scriverà successivamente nelle Memorie del Terzo Reich. «Un entusiasmo così intenso che mi pareva di poterlo toccare e che demoliva ogni riserva, ogni scetticismo».
La maggior parte dei suoi discorsi Hitler li pronunciò prima della guerra (ai congressi annuali del partito il Fuhrer parlava addirittura da quindici a venti volte); scoppiato il secondo conflitto mondiale le sue apparizioni in pubblico andarono diminuendo e nel '39 tenne soltanto otto discorsi (e sette l'anno seguente). Un vero record in negativo, per un uomo che fino allora non aveva certo risparmiato la sua ugola d'oro.
L'ultima volta che la Germania udì la sua voce fu la sera del 20 luglio '44 quando parlò alla radio dopo essere scampato all'attentato di Stauffenberg: la sua voce, alterata, era quasi irriconoscibile ma aveva ancora l'antica facoltà magica, come il pifferaio di Hamelin, di trascinare gli ascoltatori.


Tratto dal Dossier Nazismo (1933-1983) prodotto dal settimanale “L’Europeo”. Si tratta di un box nella prima delle quattro dispense (supplemento al n.48, 26 novembre 1983), senza firma e pertanto da attribuire al curatore Giuseppe Mayda. 

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