In un articolo pubblicato nel
1957, sulle pagine del «Radiocorriere», Natalia Ginzburg tracciava un
indimenticabile profilo del Pavese scrittore-editore, profilo che andrebbe
tenuto ben presente.
Pur senza nominarlo, chiamandolo semplicemente «un amico»,
la Ginzburg ricordava come quell’«amico misurava la città col suo lungo passo,
testardo e solitario; si rintanava nei caffè più appartati e fumosi, si liberava
svelto del cappotto e del cappello, ma teneva buttata attorno al collo la sua
brutta sciarpetta chiara; si attorcigliava intorno alle dita le lunghe ciocche
dei suoi capelli castani, e poi si spettinava all'improvviso con mossa
fulminea. Riempiva fogli e fogli della sua calligrafia larga e rapida,
cancellando con furia» e in quei fogli, non meno che nei suo romanzi o nei suoi
versi, celebrava il fascino discreto della sua città e del suo testardo
«mestiere».
da Marco Dotti, Arcipelago Pavese, “il manifesto, 19
giugno 2008
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