Dagli
armadi della storia a volte riemergono scheletri. Uno di questi, il
«Codice nero», redatto nella Francia di Luigi XIV per disciplinare
il mercato degli schiavi, ha riaperto il dibattito mai concluso sugli
orrori del colonialismo. Ripubblicato a Parigi negli anni 80 del
Novecento, creò scalpore (molti francesi, per esempio, non sapevano
che quel codice restò in vigore fino al 1848). Sul tema intervenne
Robert Badinter, giurista, già ministro nel governo socialista, che
analizzava le strutture profonde che sostennero (in Francia come
altrove) la più mostruosa forma di dominio dell'uomo sull'uomo.
(S.L.L.)
Appartiene alla storia
delle mostruosità giuridiche. Come i trattati degli inquisitoli o
i testi dei processi alle streghe. Ma è più recente. Risale a poco
più di tre secoli fa, e restò in vigore fino al 1848. È il Codice
nero, scrupolosa e minuziosa collezione di leggi che,
nella Francia del Re Sole, sancì con tutti i crismi del giure la
condizione degli schiavi negri nelle colonie d'America.
Proclamato in nome e per
conto di Luigi XIV, quel codice consacrava la massima ingiustizia
come giustizia, instaurava - con la solennità di una apposita
legislazione - un sistema aberrante. Quello per cui, appunto, si nega
agli uomini la qualità, l'essenza stessa di esseri umani.
Dimenticato da tempo,
rimosso, il Codice nero torna alla luce. Grazie agli studi di
quello stesso ricercatore francese, Louis Sala Molins, che anni fa
ripropose e analizzò il Trattato degli Inquisitori. In questo
testo come già nell'altro (il Codice nero con il commento di
Molins è pubblicato dalle edizioni Puf di Parigi), insomma, lo
storico è andato a frugare tra le pagine oscure del passato per
intentare un processo alla storia.
Certo la schiavitù non è
un fenomeno limitato alle sole Antille e al solo continente americano
o circoscritto nell'arco di tre secoli. Essa è di tutti i tempi e di
tutti i continenti. La storia di questo crimine contro l'umanità si
confonde con la storia stessa dell'umanità. Di questo crimine però
Louis Sala Molins intende denunciare ciò che gli sembra moralmente
più insopportabile: la sua esistenza in una civiltà che ha come
fondamento la dignità sovrana di ogni uomo, creatura di Dio e
titolare di diritti naturali inalienabili.
Di questa contraddizione
insostenibile Louis Sala Molins cerca di definire le origini
bibliche, antiche e classiche. Il mito della maledizione di Canaan da
parte di Noè fonda biblicamente la schiavitù dei neri. In seguito,
nella polis, Aristotele pone il principio per cui «ci sono persone
libere di natura e altre che non lo sono». Per il teologo, poi, se
ogni uomo è creatura di Dio, lo schiavo è invece di questo mondo.
Basta leggere Bossuet: «Lo Spirito Santo ordina agli schiavi, per
bocca di San Paolo, di mantenersi nel loro stato e non chiede ai loro
padroni di affrancarli».
Maledizione profetica,
indifferenza filosofica, consacrazione apostolica: così si forgia
quello che Louis Sala Molins chiama lo schema bianco-biblico, che sta
spiritualmente alla base del crìmine della schiavitù e della tratta
dei neri.
Al potere temporale non
restava allora che definire le regole. Nella monarchia assoluta, dove
ogni potere deriva dal re, anche il non diritto dello schiavo deve
dipendere dall'autorità del sovrano: da questi presupposti nasce il
Codice nero. La difficoltà non era da poco: si trattava di
definire in termini giuridici la condizione di esseri umani ai quali
viene negata dal legislatore la condizione di uomini. Il Codice
nero proclama: «Dichiariamo gli schiavi esseri mobili». Il loro
regime sarà quello definito dalle consuetudini di Parigi per i beni
mobili. Gli schiavi rientrano dunque nella comunità di beni tra
coniugi. Se lavorano in una piantagione, gli schiavi dovranno seguire
la sorte dell'azienda in caso di confisca e verranno venduti insieme
ad essa.
Il «Codice nero»
fa parte del Grand Siècle. I suoi architetti giuridici costruirono
dunque la loro opera secondo i principi che ispiravano l'ordine
generale del regno.
Innanzitutto il re è
monarca cristianissimo e figlio primogenito della Chiesa. Il Codice
nero viene promulgato alla vigilia della revoca dell'editto di
Nantes. È il momento della normalizzazione delle anime.
Per evitare qualsiasi
rischio di contaminazione spirituale il re comincia col predisporre
un provvedimento significativo: con l'articolo primo il Codice nero
bandisce dalle Antille tutti gli ebrei. Poi ordina che tutti gli
schiavi vengano battezzati ed educati nella religione cattolica, e
per questo fa proibizione ai protestanti di catechizzare i propri
schiavi nella loro religione. Potranno sposarsi soltanto gli schiavi
battezzati.
Cristiano nella Città di
Dio, sulla terra lo schiavo rimane destinato alla schiavitù. La sua
condizione, così come la stessa sovranità, è permanente ed
ereditaria. Nato schiavo, vivrà schiavo, morirà schiavo, genererà
schiavi, si sposerà schiavo col permesso del suo padrone. Lo schiavo
non può essere niente né avere niente. Non può conquistare la sua
libertà, se non attraverso l'improbabile matrimonio con un uomo
libero oppure per bontà del suo padrone. La volontà del padrone è
sovrana. Lo schiavo è sua proprietà. Libero il padrone di
rinunciarvi, cioè di affrancarlo.
Ora, il re ama l'ordine,
compreso quello nelle «Isole d'America». Lo schiavo può avere la
tentazione di ribellarsi. Gli viene dunque proibito di «portare armi
e bastoni, di riunirsi con altri schiavi, neanche col pretesto di
nozze», di andare a vendere legumi al mercato, senza esplicito
permesso del padrone. La pena per i trasgressori è la frusta e la
marchiatura a fuoco. Se lo schiavo si ribella, se alza le mani sul
padrone, sulla padrona o sui loro figli, è la morte. Se ruba cavalli
o bestiame, sono supplizi, mutilazioni o morte. Se ruba canna da
zucchero sono vergate e il fiore di giglio impresso a fuoco. Se fugge
per un mese, gli verranno tagliate le orecchie. Se è recidivo, gli
verrà mozzato un piede. Se ci riprova, è la morte.
Ma il re è, per sua
natura, buono. Non desidera sofferenze oltre il necessario, per il
buon ordine del regno. Così il Codice nero, con una
precisione tutta colbertiana, stabilisce che il padrone deve fornire
allo schiavo due libbre e mezzo di manioca alla settimana insieme a
tre focacce pesanti ognuna due libbre e mezzo, e due libbre di bue
salato oppure tre di pesce. Nonché due vestiti di tela all'anno.
Ai padroni è fatto
obbligo di sostentare gli schiavi infermi, ammalati, anziani. Se li
abbandona, verranno assegnati all'ospedale e il padrone verrà
condannato a pagare sei soldi al giorno per il loro mantenimento. Al
padrone è lecito far incatenare e battere con le verghe o con la
corda i propri schiavi. Non può però infliggere torture né fare
alcun tipo di mutilazione.
Pie raccomandazioni,
penseranno gli scettici. Nient'affatto, risponde il giurista del re.
Il Codice nero non considera forse ogni tipo di precauzione?
Leggiamo l'articolo 26: «Gli schiavi che non verranno vestiti e
sostentati dai loro padroni secondo quanto abbiamo ordinato potranno
avvisare il nostro Procuratore generale e affidare le proprie
lagnanze nelle sue mani». E l'articolo 43: «Intimiamo ai nostri
ufficiali di perseguire criminalmente i padroni che abbiano ucciso
uno schiavo sotto la loro potestà». Cent'anni dopo, Condorcet
avrebbe scritto: «Da oltre un secolo non c'è stato un solo esempio
di un supplizio inflitto a un colono per aver assassinato un suo
schiavo».
Infatti, ancora più
crudeli delle disposizioni del Codice nero si rivelano le
pratiche della schiavitù che si pretenderebbe di regolamentare. Le
sue disposizioni, quando cercano di proteggere lo schiavo, sono messe
in mora dal potere dei padroni. Il potere dei coloni sarà più forte
di quello del re. Il Codice nero appare così come un
illusorio tentativo da parte del potere reale di tenere sotto
controllo le pratiche schiavistiche.
Ringraziamo Louis Sala
Molins di aver recuperato dall'oblio questo prezioso testo e di
denunciare ad alta voce il silenzio in cui era sepolto. Per vari
secoli l'Occidente cristiano ha perpetrato, con la tratta e la
schiavitù dei neri, un crimine essenzialmente razzista. Che questo
crimine sia stato non soltanto tollerato ma anche codificato dal
potere, per il maggior profitto dei proprietari delle piantagioni e
dei mercanti, in un secolo in cui brillava così vivacemente l'astro
della cultura classica, ebbene tutto ciò appare giustamente a Louis
Sala Molins come uno scandalo. Per lui però ancor più intollerabile
è l'indifferenza del XVIII secolo nei confronti del Codice nero,
proprio mentre si andavano affermando la filosofia dei lumi e
l'ideologia dei diritti dell'uomo.
Indubbiamente la condanna
della schiavitù da parte di Montesquieu nel XV capitolo dello
Spirito delle leggi non ha tutta la forza e tutto il rigore
che oggi vi vorremmo trovare. Quanto a Rousseau, se voleva liberare
gli uomini, non ha però denunciato il Codice nero. E gli
uomini del 1789 hanno ceduto di fronte alla lobby colonialista,
rappresentata dai ricchi piantatori delle Antille, come se la storia
della decolonizzazione avesse cominciato a balbettare già sotto la
Costituente!
EUROPEO/18 LUGLIO 1987
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