Immaginiamo che poco meno di
duemilacinquecento anni fa il sapiente greco di Efeso (colonia
dell'Asia minore) abbia cominciato così il suo libro di aforismi :
«Questo "lògos" che esiste sempre gli uomini non lo
intendono, né prima di udirlo, né una volta che l'hanno udito.
Sebbene tutto avvenga in conformità a questo "lògos", è
come se non ne avessero esperienza, essi ohe pure fanno esperienza di
parole e di opere, quali io mi accingo a spiegare distinguendo ogni
cosa secondo la sua natura e mostrando come è».
Che cosa significa, nella fattispecie,
«lògos»? E il «sempre» va legato all'espressione che precede o a
quella che segue? La seconda domanda se la poneva anche Aristotele,
per concludere che non era affatto chiaro. Per Aristotele, che
leggeva il libro circa un secolo e mezzo dopo, la questione era
indecidibile; ma molti dotti moderni hanno deciso che quel «sempre»
va legato a «esiste». E se il sapiente avesse voluto far fluttuare
apposta quel «sempre» tra ciò che lo precede e ciò che lo segue
nella frase?
Peccato che Aristotele si preoccupasse,
citando l'antico libro, soltanto della punteggiatura, anzi della
mancanza di punteggiatura; tutto il resto, presumibilmente, gli era
chiaro o supponeva che lo fosse. Anche il senso di «lògos»,
appunto. I dotti moderni hanno deciso che al tempo di Eraclìto, tale
il nome di quel sapiente, «lògos» non significava «ragione»,
«legge razionale» o simili, ma semplicemente «discorso» o
espressione (parlata o scritta) e addirittura «capitolo».
Nel tempio di Artemide
Non c'è traduzione da Eraclìto che
non sia un'interpretazione. Che cosa voleva dire il sapiente
affermando che bisognava dare ascolto non a lui, ma al «lògos»? E
dobbiamo intendere: «Questo "lògos" che esiste sempre»;
oppure: «che è quello che è»?
Già la tradizione più antica l'ha
chiamato «l'oscuro», «l'enigmatico Eraclìto». Del suo libro ci
sono giunti soltanto frammenti, o meglio citazioni. Era un periodo,
tra la fine del VI secolo e il principio del V a.C., in cui i libri
erano ancora rari e circolavano tra pochi. I greci, grandissimi
chiacchieroni e ascoltatori di favole, erano per lo più analfabeti.
Si aggiunga che questo Eraclìto era un tipo «disdegnoso e superbo»,
assai poco benevolo verso i suoi concittadini, i quali lo
ricambiavano, a quanto sembra, ora ignorandolo e ora dicendogli:
visto che sai tutto sul cosmo e la giustizia, facci tu le leggi.
E lui si ritirava nel tempio di
Artemide, bellissimo monumento di Efeso, e lì, deposto il suo libro
(perché si capisse che bisognava leggerlo con sacro rispetto), si
metteva a giocare ai dadi con i bambini. E a chi si meravigliava
faceva notare che era più sensato giocare con gli imberbi che
occuparsi di politica con gli inetti. «Gli Efesii, dai giovani in
su, dovrebbero tutti impiccarsi e lasciare la città nelle mani dei
fanciulli, essi che hanno cacciato via Ermodoro, il migliore di tutti
loro, dicendosi: nessuno sia il migliore tra noi, e se qualcuno lo è
che vada altrove e con altri».
Severo e un bel po' sarcastico,
Eraclìto non concedeva niente né alla folla, né agli aristocratici
conservatori e goderecci, ospiti stranieri andati a visitarlo s'erano
fermati sulla soglia nel vedere che stava riscaldandosi al calore del
forno; al che egli li invitò a entrare senza timore: «Venite,
venite, anche qui sono gli dei». Domestico e sovrano sogghigno del
grand'uomo che affermava di aver investigato se stesso e distinto
ciascuna cosa dell'universo intendendone la natura.
Le frammentarie citazioni del suo libro
perduto, e le scarse testimonianze indirette, spesso leggendarie,
esercitano un fascino potente. Chiunque l'abbia letto una volta non
dimentica certi brani taglienti : «Arduo competere con la brama, che
ciò che vuole lo compra a prezzo d'anima»; oppure: «...la stessa
cosa sono Ade e Dioniso...» (coincidenza degli opposti: tenebra di
morte ed esplosione di vita; anche invisibilità ed esibizione,
austerità e oscenità, come notava Albino Galvano nel suo saggio su
Artemis Efesia).
Di questo sapiente sono rimasti i «si
dice», «ha detto», «per dirla con». Diogene Laerzio riferisce un
aneddoto spiritoso. Euripide, che aveva dato a Socrate il libro di
Eraclìto, gli domandò che cosa gliene sembrasse. E Socrate avrebbe
risposto: «Quello che son riuscito a capire è di gran valore e,
credo, anche quello che non ho capito. Solo che per leggerlo ci vuole
un tuffatore di Delo». Ossia uno che si tuffa con disinvolta perizia
a inaudite profondità.
L'ironia di Socrate non esclude, mi
pare, l'ammirazione. E noi, possiamo noi tuffarci nei frammenti, qui,
dalle colonne di un giornale? Ne dubito. Proveremo appena a
sfiorarli, a toccarne alcuni con la punta del pensiero. Perché
Eraclìto è tornato improvvisamente a parlare e a far parlare di sé.
A breve distanza l'una dall'altra sono
comparse due edizioni. Una è quella a cui stava lavorando Giorgio
Coili : La sapienza greca, III volume, Eraclìto» (Adelphi) ;
l'altra è quella preparata da Carlo Diano: Eraclìto, I frammenti
e le testimonianze (Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori Editore).
I due studiosi, oggi scomparsi, avevano ultimato la traduzione e la
sistemazione dei frammenti «entrambe le odi zioni hanno il testo
eracliteo a fronte). Colli non ha avuto il tempo di stendere il
commento (restano gli appunti pubblicati in appendice a cura di Dario
Del Corno, a cui fanno seguito passi tratti da altre opere
dell'autore dove è fatta menzione di Eraclìto). Diano aveva
ampiamente annoiato i primi quattordici frammenti, il commento di
tutti gli altri è stato compiuto da Giuseppe Serra.
Rimpiangiamo, vanamente, che nelle due
edizioni manchino le previste pagine introduttive. Ne sarebbero
balzate due immagini del sapiente alquanto diverse, ma tutto sommato
contigue, intendo dire non incompatibili. Per Colli il vecchio
Eraclìto è, se possibile, ancora più enigmatico di quanto abbiano
mai creduto i filosofi e dossografi venuti dopo di lui. Eraclìto è
colui che manifesta il «pathos del nascosto». Il discorso umano,
accettabile come simbolo, è inadeguato a cogliere la realtà. Di qui
l'antitetismo delle frasi eraclitee. Ma il nascosto, che non vediamo
né tocchiamo, lo portiamo dentro di noi. Questo è il «léos».
Ma non è neppure giusto dire che il
«lògos» è un che di intcriore, un che di cui si possa o non si
possa discorrere. Colli lo traduce con la parola «espressione», che
vuoi dire conoscenza non rappresentativa «di qualcosa di ignoto».
Il «lògos» è l'espressione inesprimibile e sostanziale del
«fondo», è la voce della Sibilla. Colli ci da dunque un Eraclìto
interamente orfico: «i confini dell'anima, nel tuo andare, non
potrai trovarli, pur percorrendo ogni strada : così profonda e
l'espressione che le appartiene».
Una terza immagine
Per Diano il «lògos» di Eraclilo è
il «discorso» in quanto struttura. E tale struttura è omologa alla
struttura del tutto : la coincidenza degli opposti governa il dire e
il fare. Gli uomini fanno continuamente esperienza degli opposti che
si toccano e si accendono l'uno per l'altro, ma non sanno
riconoscerne l'incessante unità: «L'uomo accende a se stesso una
luce nella notte, quando essa è spenta nei suoi occhi: il vivo è a
contatto col morto quando dorme, desto è a contatto col dormiente».
Il discorso, con la sua tensione antinomica, ci fa conoscere le cose
come stanno, quello «che è».
C'è caso, però, che tali
interpretazioni subiscano l'incantesimo della leggenda
disinteressandosi al rapporto di Eraclito con la sua città. Il suo
libro, secondo l'opinione del grammatico Diodoro riportata dal solito
Diogene Laerzio, trattava della vita politica; gli argomenti
riguardanti la natura vi si trovavano a titolo di analogia e
parabola.
Ecco una terza immagine del sapiente di
Efeso, tutta diversa dalle precedenti; con ingegnose indagini e
congetture l'ha ricostruita Antonio Capizzi in un saggio, Eraclito
e la sua leggenda (Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri), che ci
fornisce un'altra traduzione (senza testo a fronte) e un ennesimo
riordinamento dei frammenti. L'ipotesi di Capizzi è rudemente
antimetafisica. Di più: egli avanza un'interpretazione «non
filosofica» del «lògos».
Capizzi ritiene che Eraclito cessa di
essere «oscuro» se si segue l'indizio tracciato da Diodoro. Il
«lògos» sarebbe, concretamente, un «discorso scritto» non da
Eraclìto, ma dal suo amico Ermodoro! Quello che gli Efesii avevano
cacciato dalla città. Dunque il libro di Eraclìto non sarebbe che
un commento al testo politico, alla legge codificata da Ermodoro
(tanto più importante perché essa era democratica e contempcrava
gli opposti partiti). Allora il principio del libro verrebbe a dire:
«Questo testo che esiste sempre (ossia: che è sempre in vigore, che
non è stato annullato dalla cacciata di Ermodoro) vi sono uomini che
non lo intendono...».
Come in un romanzo poliziesco — chi è
il «lògos»? — un gran bel colpo di scena dopo quasi
duemilacinquecento anni di speculazioni sbagliate! Credevate che il
lògos fosse questo o quello, e invece era un altro. Io non so dire
se la suggestiva indagine storica condotta da Capizzi consenta
l'ardita congettura. Ho parecchi dubbi. Ma uno soprattutto: che
Eraclìto era troppo sapiente per dire in una volta una cosa sola.
Col che non nego che Capizzi abbia la sua parte di ragione. Ai tempi
di Eraclito, e questo ci affascina principalmente, il «discorso»
politico e quello religioso, la poesia e il costume e il pensiero
contendevano e sconfinavano nello stesso cosmo. Ma soltanto il
sapiente poteva dire, e cito la traduzione di Colli: «Contatti sono
le totalità e le non totalità, il convergente e il divergente, il
consonante e il dissonante: e fuori da tutte le cose ne sorge una
sola, e fuori da una cosa sola sorgono tutte».
Non rivolgiamoci la bolsa domanda: che cosa ha veramente detto Eraclìto? Oltretutto, la risposta avrebbe un interesse assai limitato. Più significativo è il fatto che ogni studioso o lettore, a seconda delle sue inclinazioni ideologiche e seguendo il suo dèmone (il sapiente l'ha previsto: «Demone a ciascuno è il suo modo di essere» ), fa dire al sapiente ciò che più gli sta a cuore. Qual è il discorso comune a noi tutti? La coincidenza degli opposti, la Costituzione..., Pòlemos (la guerra)...
Non rivolgiamoci la bolsa domanda: che cosa ha veramente detto Eraclìto? Oltretutto, la risposta avrebbe un interesse assai limitato. Più significativo è il fatto che ogni studioso o lettore, a seconda delle sue inclinazioni ideologiche e seguendo il suo dèmone (il sapiente l'ha previsto: «Demone a ciascuno è il suo modo di essere» ), fa dire al sapiente ciò che più gli sta a cuore. Qual è il discorso comune a noi tutti? La coincidenza degli opposti, la Costituzione..., Pòlemos (la guerra)...
"la Repubblica", ritaglio senza data, ma 1980
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