A frenare gli entusiasmi
dei propagandisti che collegano l'EXPO milanese con le “magnifiche
sorti e progressive” dell'Italia alimentare, poteva bastare questa
denuncia della Coldiretti pubblicata nel gennaio scorso da “la
Stampa” senza firma a cura della redazione economica. La riduzione
del patrimonio zootecnico è allarmante e gli impegni governativi in
materia sono molto generici. Ma i cantori del buon cibo italiano non la smettono mai di intonare peana. (S.L.L.)
La Fattoria Italia è a
rischio. Nel nostro paese, dal 2008 e cioè dall’inizio della
crisi, sono scomparsi oltre 2 milioni di mucche, maiali, pecore e
capre. È la Coldiretti a lanciare l’allarme in occasione della
festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali e patrono di
tutti gli allevatori. In occasione di questa festività migliaia di
allevatori provenienti da tutta Italia si sono dati appuntamento in
piazza San Pietro per partecipare alla Messa celebrata dal Cardinale
Angelo Comastri e visitare la fattoria a cielo aperto allestita
davanti al colonnato del Bernini dall’Associazione italiana
allevatori.
«Stalle, pollai e ovili
si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso -
sottolinea la Coldiretti - solo tra gli animali più grandi circa un
milione di pecore, agnelli e capre, 800mila maiali e 250mila bovini e
bufale».
«Un crollo - continua la
Coldiretti - che rischia di compromettere anche la straordinaria
biodiversità degli allevamenti italiani dove sono minacciate di
estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 razze di
pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di
avicoli e 7 di asini, sulla base dei Piani di Sviluppo Rurale
dell’ultima programmazione». La Coldiretti nota che dell’asino
romagnolo, noto per il suo temperamento vivace, sono rimasti solo 570
esemplari, impegnati nella produzione di latte a uso pediatrico e per
l’onoterapia. Della capra Girgentana dalle lunghe corna a forma di
cavaturacciolo, si contano circa 400 capi per la produzione di latte
destinato alla Tuma ammucchiata (formaggio nascosto) stagionata in
fessure di muro, che in passato venivano murate per nasconderle ai
briganti. Ma ci sono anche - continua la Coldiretti - la gallina di
Polverara, ritratta con il caratteristico ciuffo fin dal 1400 in
quadri e opere conservati anche nei Musei vaticani, la Mora romagnola
una curiosa razza di maiale dal mantello nerastro, con tinte
dell’addome più chiare, i bovini di razza Garfagnina con mantello
brinato e pelle di colore ardesia che annovera una popolazione di
appena 145 capi o quelli di razza Pontremolese che sono rimasti
appena in 46. A rischio non c’è però solo la biodiversità, ma
anche il presidio del territorio dove la manutenzione è garantita
proprio dall’attività di allevamento con il lavoro silenzioso di
pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali.
L’allevamento italiano
è soprattutto un importante comparto economico che vale 17,3
miliardi di euro e rappresenta il 35% dell’intera agricoltura
nazionale, con un impatto rilevante anche dal punto di vista
occupazionale con circa 800mila persone al lavoro. La scomparsa della
Fattoria Italia fa aumentare la dipendenza dall’estero che ha già
raggiunto livelli preoccupanti: l’Italia importa il 42% del latte
che consuma, il 40 della carne di maiale e bovina, il 30% di quella
ovicaprina e il 10% della carne coniglio. E proprio per il latte è
allarme rosso nelle stalle in Italia nel 2015 con i prezzi pagati
agli allevatori che sono stati tagliati di circa il 20% senza alcun
beneficio economico per i consumatori. Il prezzo riconosciuto agli
allevatori - denuncia la Coldiretti - non copre neanche i costi di
produzione e spinge verso la chiusura migliaia di allevamenti che a
breve dovranno confrontarsi anche con la fine del regime delle quote
che terminerà il 31 marzo 2015, dopo oltre trenta anni.
Secondo la Coldiretti
«occorre intervenire a livello comunitario e nazionale per preparare
con strumenti adeguati un atterraggio morbido all’uscita del
sistema delle quote». Lo sostiene il presidente della Coldiretti
Roberto Moncalvo nel sottolineare che sotto accusa è anche «la
mancanza di trasparenza nell’informazione ai consumatori che
favorisce la concorrenza sleale di latte e carne a basso prezzo
importati dall’estero. «Gli inganni del finto Made in Italy sugli
scaffali riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani, ma
provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche tre cartoni di
latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza
indicazione in etichetta, e la metà delle mozzarelle che sono fatte
con latte o addirittura cagliate straniere», ha denunciato il
presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo. Attualmente, infatti,
in Italia non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza
del latte a lunga conservazione in vendita e neanche l’origine del
latte di mucca, pecora o capra impiegato nei formaggi. La mancanza di
trasparenza in etichetta sulla reale origine colpisce anche la carne
di coniglio, pecora, capra o maiale in vendita come fresca o anche
trasformata. Le importazioni di carne dall’estero per realizzare
falsi salumi italiani di bassa qualità fanno concorrenza sleale ai
prelibati prodotti della norcineria nazionale, dal culatello di
Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello
di Parma.
In Italia sono state
importate 57 milioni di cosce di maiali dall’estero destinate ad
essere stagionate o cotte per essere servite come prosciutto
italiano, a fronte di una produzione nazionale di 24,5 milioni mentre
su un consumo di 2,05 milioni di tonnellate di latte a lunga
conservazione solo mezzo milione è di provenienza italiana mentre il
resto è stato semplicemente confezionato in Italia o addirittura è
arrivato già confezionato, con un impatto negativo sul lavoro e
sull’economia del Paese. Ma ad essere importati - conclude la
Coldiretti - sono anche semilavorati come le cagliate, polvere di
latte, caseine e caseinati che vengono utilizzati per produrre,
all’insaputa del consumatore, formaggi di fatto senza latte.
«Come governo siamo in
campo a sostegno della filiera zootecnica per trovare un nuovo
modello sostenibile di produzione, recuperando così margini di
efficienza e riducendo la dipendenza dall’estero - è il commento
del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali,
Maurizio Martina -. Per questo abbiamo deciso, in sinergia con le
Regioni, di stanziare per il comparto oltre 200 milioni di euro
all’anno di fondi europei nella nuova programmazione 2014/2020».
“La Stampa” sez.
Economia 17/01/2015
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