Dopo
la sentenza della Corte Europea su Contrada è di moda
maramaldeggiare contro Gian Carlo Caselli. Ragione di più per
“postare” questo testo trovato nel mensile on line “I Siciliani
giovani”, su cui sono d'accordo e che trovo assai chiaro nel
dettato. (S.L.L.)
1948 - Si firma e si promulga la Costituzione della Repubblica |
Sono vicine al traguardo
riforme costituzionali che segneranno per decenni il nostro futuro e
la qualità della democrazia italiana. Secondo Gustavo Zagrebelsky
siamo “quasi al punto zero della democrazia”. E tuttavia –
ammonisce Michele Ainis – la riforma “cade nel silenzio degli
astanti” come se non ci riguardasse più di tanto. Proviamo allora
a ragionarci un poco su.
Punto di partenza è che
la Costituzione repubblicana vigente disegna una democrazia
pluralista, basata sul primato dei diritti eguali per tutti e sulla
separazione dei poteri, senza supremazia dell’uno sugli altri, ma
con reciproci bilanciamenti e controlli. A questa concezione di
democrazia se ne vorrebbe sostituire un’altra: basata sul primato
della politica (meglio, della maggioranza politica del momento) e non
più sul primato dei diritti.
Ora, è vero che in
democrazia la sovranità appartiene al popolo (per cui chi ha più
consensi, chi ha la maggioranza, ha il diritto-dovere di operare le
scelte politiche che vuole), ma è altrettanto vero che ogni potere
democratico incontra – non può non incontrare – dei limiti
prestabiliti. Tali limiti presidiano una sfera non decidibile, quella
della dignità e dei diritti di tutti: sottratta al potere della
maggioranza e tutelata da custodi (una stampa libera e una
magistratura indipendente) estranei al processo elettorale ma non
alla democrazia.
Questa necessità di
limiti (che la nostra Costituzione stabilisce fin dal suo primo
articolo) è fondamentale in democrazia. Altrimenti, come già
insegnava quasi due secoli fa Alexis de Toqueville, può sempre
essere in agguato la tirannide della maggioranza.
Chi vince prende
tutto?
La vera democrazia
garantisce spazi anche alle minoranze, spazi effettivi. Perché se
questi spazi non sono effettivi, se la maggioranza che ha avuto più
consenso si prende tutto, allora l’alternanza, che è la
quintessenza, il dna della democrazia, viene ridotta a simulacro e la
democrazia cambia qualità. La posta in gioco in sostanza è questa:
è meglio il tipo di democrazia voluto dalla Costituzione, oppure
quello che si sta cercando di sostituirgli? Quale dei due conviene di
più ai cittadini?
E ancora: se prevedere un
abnorme premio di maggioranza e liste di “nominati”, con
inevitabili decisive ricadute sull’elezione del Capo dello Stato, e
sulla composizione del CSM e della Consulta, equivale ad un
fortissimo potenziamento dell’ esecutivo, come non chiedersi fino a
che punto esso sia compatibile con una autentica democrazia?
Viene in mente
Calamandrei, quando ammoniva che la Costituzione non è una macchina
che va avanti da sola.Perché si muova bisogna ogni giorno metterci
dentro il combustibile, cioè impegno e responsabilità.
“Che m’importa
della politica…”
Per questo, dice
Calamandrei, una delle peggiori offese che si possano fare alla
Costituzione è l’indifferenza alla politica, quella che spesso ci
porta a dire che “La politica è una brutta cosa, che cosa mi
importa della politica…”.
Calamandrei a questo
discorso oppone un apologo, quello dei due migranti, due contadini,
che attraversano l’oceano su un piroscafo traballante: uno dorme
nella stiva, l’altro sta sul ponte; c’è una grande burrasca,
onde altissime; il piroscafo oscilla e il contadino impaurito domanda
a un marinaio se c’è pericolo; il marinaio gli risponde che se
continua così in mezz’ora il bastimento affonda; allora il
contadino corre nella stiva, sveglia il compagno e gli grida “Beppe!
Beppe! Se continua questo mare, il bastimento affonda!”; ma quello
gli risponde “Che me ne importa, non è mica mio il bastimento!”.
“Mica è mio il
bastimento!”
Questo, conclude
Calamandrei, è l’indifferentismo alla politica. Ma attenzione: “la
libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando
comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli
uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io
auguro a voi giovani di non sentire mai”. Questo l’augurio di
Calamandrei. Un augurio che vale ancora oggi.
“I Siciliani giovani”,
marzo 2015
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