Masaccio - La Crocifissione di San Pietro nel Polittico di Pisa |
Non sono ancora spenti
gli incendi accesi dalle bombe di Israele, e nel Libano un presidente
cristiano, la cui elezione aveva subito messo in
agitazione i cittadini musulmani, viene assassinato. In Iran,
Khomeini infierisce contro i dissidenti e annuncia una crociata
islamica contro l'Occidente. Londra è funestata dagli attentati dei
cattolici irlandesi, Parigi da quelli contro gli ebrei. In Polonia,
il culto della Madonna diventa sempre più il simbolo dell'istanza di
indipendenza nazionale e di autonomia sindacale. Dal ciclo di
Auschwitz non si è ancora dissipato il fumo dei forni, e a Roma c'è
chi, per esprimere il proprio dissenso verso uno Stato straniero, va
a insultare il tempio delle sua religione, dove sono incisi i nomi
dei morti di quei forni.
Oracoli bruciati
Ma, si sa, dietro i
conflitti religiosi, e eresie, le riforme, dietro Arnaldo da Brescia,
Savonarola e Lutero c'è sempre un vasto retroterra di malcontento
economico-sociale, e di rivendicazioni nazionali. Anche nell' antica
Roma, filoni mistici e correnti di pensiero offrivano sfogo allo
sgomento e al dissenso di strati emarginati; la contestazione si
esprimeva nel rifiuto degli irritabili numi tutelari, nell'anelito a
un Dio unico per tutti i popoli e nell'attesa di un Salvatore vindice
degli oppressi. Spesso gli oracoli che ne annunciavano l'avvento
furono bruciati, spesso i filosofi e i sacerdoti di religioni
straniere furono espulsi; infatti i culti diversi da quello
ufficiale, le dottrine che minavano i valori ortodossi erano, come
scrive Mc Mullen, «enemies of the Roman Order», nemici dell'ordine
imposto da Roma; e come tali sospetti.
Nel complesso, però, a
Roma gli dèi delle comunità immigrate, purché restassero nel loro
ambito, erano tollerati. La sala dei culti orientali, nei Musei
capitolini, contiene statue di Cibele, Iside, Giove Dolicheno; nel
sottosuolo dell'Urbe, i Mitrei rintracciati da Vermaresen sono circa
un centinaio. Perché, dunque, i cristiani furono perseguitati?
Questo interrogativo è
stato al centro dell'ultimo convegno internazionale dell'Accademia
Storico-Giuridica Costantiniana che ha sede a Spello e fa capo
all'Istituto di Storia del Diritto dell'Università di Perugia (nelle
sue tornate annuali gli studiosi d'ogni paese che vi partecipano
prendono in esame problemi di diritto romano del IV e V secolo).
In realtà, come ha
osservato nella prolusione Gabrio Lombardo, i dati giuridici delle
persecuzioni scarseggiano. Del resto, al contrario di quel che si
crede comunemente, le condanne non derivarono da una politica
coerente, da una legislazione regolare; furono piuttosto misure
d'ordine sporadiche, prese in luoghi e tempi diversi da governatori
docili a denunce o a manifestazioni del popolo, che voleva un capro
espiatorio in occasione d'una siccità, d'un incendio o d'un
terremoto: sciagure inflitte agli uomini dagli dèi offesi. Mentre la
discontinuità della politica imperiale sta a indicare l'incertezza
nell'identificare il fenomeno della nuova setta, l'ostilità delle
masse rappresenta la difesa della propria identità culturale,
dell'appartenenza rassicurante a un gruppo omogeneo.
Il rinnovamento promosso
dal Vangelo non era una rivoluzione di classe, non poneva
rivendicazioni nazionali o economiche; postulava invece la libertà
dell'individuo nella sfera del sacro: una dimensione ignota ai
romani, avvezzi a identificare gli dèi con lo Stato. Altri elementi
d'opposizione, già operanti, si immettevano nel cristianesimo: il
corruccio dei moralisti, le attese dei mistici, il diniego dei
filosofi ai valori di Roma: virtus, amor patrio, gloria,
onori, potenza; mète ingannevoli per chi si librava nel ciclo
cristallino della metafisica. I cristiani apparivano atei, per la
semplicità delle loro cerimonie; si astenevano da spettacoli osceni
e cruenti, dalle feste nazionali, dai mestieri attinenti alla
religione dei pagani e ai loro piaceri. Avversi alla violenza, erano
implicitamente obbiettori di coscienza. Le testimonianze della loro
astensione dalle armi sono rade e tarde: il De Corona
diTertulliano è del 211, i due legionari renitenti citati da
Cipriano furono suppliziati nel 250 — reati gravi in un'epoca in
cui i disertori erano mandati al rogo. Via via che aumentava il
numero dei convertiti, più allarmante si faceva il loro diniego
globale dei valori fondamentali di Roma; diventava più inquieta la
vigilanza, più spietata la repressione.
La versione tradizionale
delle persecuzioni è prevalentemente posteriore ai fatti,
probabilmente amplificata per motivi di propaganda; i martiri servono
sempre alla causa. Si è cosi creato un patrimonio figurativo
oleografico, riprodotto migliaia di volte dall'arte cristiana,
didattica e ripetitiva, dagli affreschi delle Catacombe ai santini di
Sacrestia, dai Misteri Medioevali a films come Fabiola o
QuoVadis. Dai primi Acta Martyrum sono scaturite
leggende che in qualche caso si sono adagiate nell'alveo di miti
classici lentamente dimenticati, con perfetta coincidenza di luoghi e
date festive e analogia di vicende e di nomi (le leggende
agiografiche e «i santi successori degli dèi» sono stati studiati
dallo storico francese Déléhaye). Alcuni tratti dei racconti,
inoltre, ricalcano le Vite degli oppositori stoici che, come racconta
Tacito, si tagliarono le vene sotto Nerone e Domiziano: vi si
incontra lo stesso atteggiamento fermo e sereno di frante a sbirri e
proconsoli, invariabilmente goffi e brutali.
Ossatura invisibile
Direttive precise del
governo appaiono abbastanza tardi. Anzi, secondo Tertulliano — che
scriveva in Africa 200 anni dopo — Tiberio avrebbe proposto al
Senato di accogliere nell'Olimpo romano il nuovo Dio di Israele: una
notizia, a mio avviso, insostenibile. I padri coscritti si sarebbero
opposti, dichiarandosi non sufficientemente informati sulla
resurrezione; e questo rifiuto, secondo alcuni studiosi, fu un
regolare senatus consultus,
che pose automaticamente il cristianesimo nella categoria delle
religioni illecite. Tale precedente giuridico avrebbe consentito anni
dopo a Claudio di espellere dall'Urbe i cristiani perché fautori di
disordini, e nel 64 a Nerone di imputar loro l'incendio di Roma ed
emettere quel decreto detto Institutum Neronianum, di cui non
c'è traccia, nel quale avrebbero trovato giustificazione legale le
successive persecuzioni.
Se fosse così, alla
legge di Nerone si sarebbe appellato Plinio, governatore della
Bitinta, anziché scrivere a Traiano per chiedergli come doveva
comportarsi verso quegli inoffensivi contestatori che si chiamavano
cristiani, rei soltanto di sottrarsi ad atti di culto rivolti alla
statua dell'imperatore. E se Plinio non avesse conosciuto quel
provvedimento, poteva rammentarglielo Traiano o emanarne un altro,
anziché rispondere, come fece, con molta moderazione. Evidentemente
non ne sapeva nulla neanche Adriano, il quale, pochi anni dopo, in
una situazione analoga, ordinò che fossero puniti soltanto coloro
che, a seguito di denuncia firmata e regolare processo, risultassero
autori di reati contemplati dal codice. Se, nel secolo successivo, i
sovrani infierirono contro la nuova setta, fu per la sua enorme
diffusione in anni particolarmente difficili; le svalutazioni
monetarie, le rivolte militari, le incursioni barbariche,
l'imposizione fiscale intollerabile pesavano sulla popolazione: tutta
colpa — dicevano — di quei lugubri negatori degli dèi; nelle
loro riunioni si compivano atti osceni e sacrifici umani.
A metà del III secolo,
con Decio, con Valeriano, l'intervento dello Stato fu inesorabile.
Era prevista la condanna a morte per chi si rifiutava di bruciare
incenso davanti all'immagine imperiale, sacrificare e consumare la
carne dell'animale ucciso. Di questa imposizione — trasgredire alla
quale era reato di lesa maestà, equiparato già sotto Augusto ad
alto tradimento — ci sono pervenuti i documenti: 43 formulari — i
famosi libelli — conservati in papiri egiziani, che si
dovevano firmare a prova del rito compiuto e venivano poi rilasciati
a guisa di certificati che il cittadino era in regola con la legge.
Questa specie di censimento religioso non aveva il minimo contenuto
dottrinario, ma dimostra gli sforzi delle autorità per raggiungere
con la forza una coesione etico-politica e religiosa in uno Stato in
disgregazione. Se ne furono vittime i cristiani e non gli adepti di
altri culti, ciò dipese dal fatto che il credo cristiano vietava
quell'atto di totale dedizione allo Stato.
Da allora la persecuzione
diventò ufficiale, imperversò sotto Diocleziano, ebbe sussulti di
recrudescenza. Ma per pochi anni: la Chiesa ormai aveva definito la
dottrina, le norme etiche, la liturgia, le gerarchie; aveva costruito
un'ossatura invisibile ma salda all'interno d'uno Stato in
disfacimento. Ben presto gli sarebbe subentrata.
Soltanto dalla seconda
metà del III secolo, dunque, la repressione fu il mezzo adottato
dallo Stato per soffocare un movimento che ormai aveva raggiunto una
vastità allarmante: se noi ci ritirassimo, scrive Tertulliano, le
piazze e i mercati sarebbero deserti. Vi pose termine Costantino con
la sua conversione; o meglio, con la sua perspicace valutazione
dell'entità numerica e culturale del fenomeno.
Sarebbero poi cominciate
le persecuzioni contro i pagani.
“la Repubblica” -
Ritaglio senza data ma 1982
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