Il 7 luglio 1530, una
settimana dopo il ritorno in Francia dei due figli maggiori (che
erano stati tenuti per quattro anni in ostaggio a Madrid per
permettere a lui di tornare in libertà), Francesco I, vedovo di
Claudia di Francia, ratificò una fragile pace con la Spagna sposando
in seconde nozze Eleonora d'Austria, sorella dell'imperatore Carlo V.
Il torneo che coronò i festeggiamenti in onore della nuova regina
vide per la prima volta scendere in lizza i due giovani principi.
Secondo l'uso essi avevano la facoltà di designare la dama a cui
intendevano rendere omaggio. Il delfino, mosso dal desiderio di fare
cosa gradita al padre, scelse di battersi per la duchessa d'Étampes,
amante ufficiale del re, mentre il duca d'Orléans abbassò la lancia
ai piedi di Diane de Poitiers, moglie di Louis de Brézé, Gran
Siniscalco di Normandia, che a una bellezza impareggiabile univa una
virtù senza macchia. Il secondogenito del sovrano aveva appena
undici anni, Diane trenta, eppure, sotto il velo del rituale
cavalleresco, si celava una autentica dichiarazione d'amore: della
dama del torneo, infatti, egli avrebbe portato i colori per tutta la
vita.
Il sentimento di
adorazione che Enrico provava per la grande Siniscalca risaliva, in
realtà, al giorno in cui, a soli sette anni, era partito per la
Spagna insieme al fratello. Mentre l'attenzione generale della corte
si concentrava sul delfino, Diane era stata colpita dall'angoscia
dipinta sul volto del piccolo Enrico e lo aveva stretto a sé,
sfiorandogli la fronte con un bacio. Bacio fatale, il cui ricordo
avrebbe accompagnato il bambino nei quattro dolorosi anni di
prigionia, cristallizzando per sempre le sue fantasie erotiche.
A differenza del suo
introverso e romantico cavaliere, Diane amava soprattutto se stessa;
era ambiziosa, avida, lungimirante, e aveva la freddezza,
l'alterigia, l'inclinazione alla castità della dea di cui portava il
nome. La sua bellezza, ha scritto Marguerite Yourcenar, «era così
assoluta, così inalterabile, da occultare la personalità stessa di
colei che ne era dotata». Nata in un casato illustre, andata sposa
giovanissima a un uomo, di quarantanni più vecchio di lei, che
svolgeva l'importantissimo compito di rappresentare il re in
Normandia, era stata una moglie e una madre esemplare, paga di
occupare un ruolo di primo piano a corte e di appartenere a una delle
famiglie più nobili e influenti del paese. Ma non si può escludere
che a incoraggiare il suo rigoroso riserbo avesse contribuito il
ricordo della fine toccata alla suocera, uccisa dal marito geloso.
Nel 1531, a trentun anni,
ancora relativamente giovane per i criteri dell'epoca, e con una
bellezza intatta, Diane rimase vedova e, ben decisa a non risposarsi,
cominciò a costruire con grande sapienza il suo personaggio.
Prendendo a modello Artemisia, la celebre moglie di Mausolo re di
Alicarnasso che figurava in tutti i cataloghi delle donne illustri,
ella adottò i colori del lutto - il bianco e il nero -, aggiunse al
suo stemma la torcia rovesciata, simbolo delle vedove, e celebrò la
memoria del marito, dedicandogli nella cappella del castello di Anet
uno splendido mausoleo. Ammantata di dignità e al riparo dalle
insinuazioni, la Grande Siniscalca trovò nella sua nuova condizione
una libertà d'azione di solito negata alle donne.
Probabilmente su
richiesta dello stesso Francesco I, che contava sul suo insegnamento
per ingentilire il figlio e iniziarlo all'uso di mondo, Diane
accondiscese a lasciarsi adorare pubblicamente da Enrico, secondo gli
schemi del platonismo cortese allora in voga, acquisendo su di lui un
ascendente assoluto. Nonostante la solida posizione di cui da sempre
godeva a corte, la Grande Siniscalca non sottovalutava i vantaggi che
le potevano derivare dall'appoggio incondizionato di un principe di
sangue reale. In seguito fu la prima a caldeggiare l'unione del
giovane principe con la discendente dei Medici, anche perché questa
portava nuovo lustro alla sua famiglia, dal momento che il nonno
materno di Caterina - Jean de la Tour d'Auvergne - era il fratello
della nonna paterna di Diane. Ma allorché, nel 1536 (tre anni dopo
quel matrimonio), la morte inaspettata del delfino fece di Enrico
l'erede al trono, la vedova inaccessibile scese dal piedistallo e si
concesse al suo ammiratore, pur continuando a mascherare la loro
relazione carnale dietro l'apparenza dell'amor cortese.
La decisione di prendere
a trentasei anni un amante di diciassette non era priva di incognite:
significava rischiare la sua fulgida reputazione, esporsi al
ridicolo, alla satira, alla calunnia e andare incontro prima o poi a
un abbandono umiliante. Ma aveva forse un'altra scelta? Continuare a
negarsi a un uomo giovane e con un temperamento focoso non equivaleva
ad abbandonare la partita? E la posta in gioco non era troppo alta
per non tentare la sorte?
Il loro primo incontro
amoroso ebbe luogo al castello di Ecouen, con la complicità del
connestabile Anne de Montmorency, amico di entrambi. Pieni di
trepidazione e di grazia, di sensualità e di pudore, i versi scritti
da Diane in quell'occasione ci trasmettono, nonostante la
convenzionalità del linguaggio e delle immagini, la sorpresa di una
donna innamorata, travolta suo malgrado dalla passione. [...]
Vera o falsa che sia, è
questa l'immagine che Diane avrebbe continuato a tener viva nel cuore
dell'amante, riaccendendo in lui, giorno dopo giorno, l'emozione di
una conquista che aveva creduto impossibile. Nei versi attribuiti a
Enrico, il ricordo di quel mattino memorabile appare, invece, come
«una vera e propria iniziazione, un rito di passaggio dalla
condizione di adolescente a quella virile, e al tempo stesso come
un'investitura a cavaliere della dea Diana». […]
Se Enrico giurava a Diane
eterna obbedienza, Diane dal canto suo ingaggiava una spettacolare
gara contro il tempo per mantenere intatto il suo ascendente. Bagni
ghiacciati, esercizi fisici all'aria aperta, dieta spartana, messa al
bando di ceroni e belletti nocivi per la pelle erano le strategie di
assoluta avanguardia a cui la Grande Siniscalca fece ricorso per
preservare, nonostante lo scorrere degli anni, la sua scultorea
bellezza. Brantôme, che la conobbe quasi settantenne, ricordava «la
sua bellezza, la sua grazia, la sua maestà» e, convinto che sarebbe
rimasta tale anche a cent'anni, lamentava «che la terra inghiotta
tali bei corpi». L'avvenenza non era tuttavia la sua unica arma,
poiché si accompagnava in lei a un'arte squisita della seduzione e a
un sapiente erotismo. Lo sapeva bene Caterina che, credendo nella
magia e volendo scoprire di quale genere di sortilegio ella si fosse
servita per irretire il marito, era riuscita a spiare, attraverso una
fessura della parete, un loro incontro galante. Così, racconta
sempre Brantôme, ella vide «una donna bellissima, bianca, delicata
e freschissima, tra in camicia e nuda, la quale faceva al suo amante
mille carezze, moine e cosucce gradevoli» e vide «altresì lui
renderle le carezze e tutto il resto, in modo che scendevano ambedue
dal letto e si coricavano e si abbracciavano sul soffice tappeto
posato ai piedi della lettiera». Davanti a una visione lauto diversa
dalle sue esperienze coniugali, Caterina scoppiò in singhiozzi e si
rassegnò all'evidenza: il sortilegio di cui era stata testimone non
aveva rimedio e l'ascendente di Diane era destinato a durare.
Da Amanti e regine. Il
potere delle donne, Adelphi,
2005
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