La barzelletta è un vero
e proprio racconto. L’arguzia invece non ha struttura narrativa, è
un’asserzione il cui effetto dipende dall’efficacia della
sorpresa, secondo un gioco che consiste nel far deragliare a un certo
punto gli elementi verbali o concettuali, farli arrivare a un punto
di divaricazione nettamente bipartito, per cui appena vengono
associate due matrici abitualmente incompatibili, scatta
l’intelligenza della trovata spiritosa.
Cesare Segre raccontava
del grande linguista russo Roman Jakobson, perennemente in viaggio
tra Europa e America, il quale per giocosità verbale e senso
polemico contro i formulari che ogni volta gli toccava compilare al
ritorno negli Stati Uniti, alla domanda sullo «stato civile»
attestava il suo essere «poligamo diacronico e monogamo sincronico».
Ma talvolta il
divertimento nasce dall’inconsapevolezza. Mi scuso in anticipo con
chi si dovesse eventualmente riconoscere nella citazione (assicuro
che per par condicio rimanderò in una prossima occasione a
siti vari che raccolgono gli strafalcioni dei professori), ma non
posso nascondere l’ilarità di quando a un esame, alla domanda chi
fosse nel verso di Gozzano quel «Loreto impagliato» messo lì nel
salotto tra le cose di pessimo gusto, lo sventurato rispose che
doveva essere «il santuario di Loreto»; o quando al «che cosa sono
le comunicazioni di massa» lo sciagurato rispose... «il treno».
In altra occasione toccò
a Manzoni, le cose non andavano nel verso giusto, e allora ci stavamo
accontentando di un «mi dica quello che sa sui Promessi Sposi», ma
all’esordio «Manzoni sciacquò i panni in Arno», non mi trattenni
dallo sbottare «E che è, la bella lavanderina?».
Me ne scuso, alla
distanza, ma addio davvero a ogni ludismo verbale, o motto di
spirito! Dell’ignoranza non si dovrebbe ridere, ma come si fa
quando uno studente (è capitata anche questa, a una collega romana)
ti comincia a parlare dell’«elsi-uone» di D’Annunzio (che
sarebbe poi l’Alcyone), o quando un buon giovane dei nostri
esordì parlando del «lessico sopraelevato» di Petrarca (e che! lo
elaborava in soppalco?).
Petrarca, chissà perché,
attiva negli studenti la più scatenata fantasia combinatoria: c’è
stato un giovane che a domanda rispose che la lingua del Nostro è
«piena di euforismi» (espressione tecnica assolutamente corretta),
e alla richiesta di spiegare che cosa fossero aggiunse che li usava
«perché era contento di essere tanto innamorato di Laura, e quindi
la sua lingua diventava euforica».
Ce n’è stato un altro
che venuto a discorrere a proposito di un testo, non ricordo quale,
dove compariva la forma «in Ispagna» prese a dire che trattavasi
«della famosa i prostatica».
Ancora sulla lingua
italiana e le sue varietà un altro (non sto inventando) prese a
parlare con disinvoltura della «varietà diamesica» (benissimo),
della «diastratica» (bene), e concluse che la più importante però
era l’«afasica».
Non so invece se sia vera
quella risposta che da un po’ gira per l’Italia, sull’esaminando
che alla richiesta di qualche indicazione bibliografica su Manzoni
rispose che non esisteva nulla! Aveva letto sul manuale che «la
bibliografia è sterminata». Distrutta, forse tra le fiamme di
biblioteche andate a fuoco.
“Tuttolibri – la
Stampa”, 24 marzo 2012
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