David - Ritratto dei coniugi Lavoisier |
Nel
1794, il presidente del tribunale rivoluzionario che condannò a
morte Antoine Lavoisier proclamò che «la Repubblica non aveva
bisogno di scienziati». Non si trattava di una posizione isolata, ma
dello specchio di una diffidenza generale, di sospetto diffuso verso
gli uomini di scienza. L'anno precedente, l'8 agosto del 1793,
durante la fase ascendente del Terrore, la Convenzione aveva abolito
le accademie scientifiche come incompatibili con la Repubblica.
Nonostatne la presenza
nella Rivoluzione francese di molti illustri scienziati, i rapporti
dei Giacobini con la scienza furono improntati a forte ostilità.
Richiamandosi alla filosofia di Jean Jacques Rousseau, essi
consideravano i membri delle istituzioni scientifiche fondate dai re
di Francia solo dei cortigiani privilegiati. La scienza, ai loro
occhi, era una nuova forma di aristocrazia e l'eccellenza del genio
scientifico una sorta di crimine contro gli ideali dell'eguaglianza;
il tecnicismo scientifico era un velo ingiustificato interposto fra
il popolo e la verità. L'immagine giacobina della scienza
identificava quest'ultima con una subcultura aristocratica che
continuava ingiustamente ad esistere in una società democratica e
egualitaria.
Il rapporto
intensamente conflittuale fra giacobinismo e spirito scientifico
è stato uno dei punti di maggior interesse del discorso introduttivo
di Paolo Rossi, presidente del Centro fiorentino di storia e
filosofia della scienza, al convegno su La Rivoluzione francese e
la scienza svoltosi a Firenze, presso l'Istituto Francese, il 22
e 23 maggio. All'incontro di studio hanno partecipato Charles
Gillispie (Princeton), Roger Hahn (Berkeley), Jacques Roger (Parigi),
Robert Fox (Oxford) e gli italiani Pietro Corsi, Paolo Brenni,
Ferdi-nando Abbri, Umberto Bottazzini, Paolo Galluzzi.
Come un succedersi di
cerchi concentrici, le relazioni hanno seguito un'orbita particolare:
il legame tortuoso fra i lumi o la rivoluzione, fra il patrimonio
scientifico acquisito prima dell'incendio del 1789 e il riordino
delle strutture istii tuzionali in età repubblicana e nella
successiva fase napoleonica. E' noto che i lumi avevano favorito la
crescita del sapere scientifico: Coulomb nei suoi fondamentali
esperimenti sull'elettricità e Lavoisier, nei suoi attacchi
all'antica teoria del flogisto e nell'enunciato di una nuova teoria
del calore, avevano ricevuto uno stimolo preciso da una società
ansiosa di rinnovamento. Si erano dilatati, come mai prima nel
passato, i confini della fruizione sociale della scienza.
Artigiani, insegnanti,
professionisti, borghesi di buone letture, erano diventati
espressione concreta di un'attenzione per il sapere da parte di nuovi
soggetti sociali, come Galileo aveva preconizzato nel Salviati e nel
Sagredo del Dialogo. Accanto al loro lavoro di ricerca gli
scienziati avevano il pugnace gruppo dei philosophes. Come
hanno ricordato Corsi, Bottazzini e Galluzzi esisteva un continuo
travaso fra scoperte scientifiche e adeguamento del sapere
filosofico. D'Alembert, in particolare, si assume il compito di dar
vita a una storiografia della scienza i cui quadri fossero aggiornati
ai tempi.
Durante il secolo dei
Lumi prende vita, così, una sorta di revival del progetto baconiano,
la cui sola novità è che la teoria memoria-ragione-immagìnazione,
vedeva la posposizione della ragione all'immaginazione. D'Alembert (e
prima di lui Condorcet) ha un'idea propedeutica e propagandistica
della scienza. Considera che il filosofo debba predisporre la società
all'accoglimento critico delle scoperte e pensa che per questo scopo
il pubblico debba familiarizzare con il percorso storico delle
scienze. Anche gli errori, nella visione di D'Alambert, sono
necessari. L'opposizione della chiesa è considerata una sorta di
catastrofe naturale, inevitabile, dato il carattere della chiesa come
organizzatrice dell'oscurantismo collettivo.
In questo ambito
D'Alembert e i philosophes
inseriscono la vicenda di Galileo: martire della scienza, più che
scienziato innovatore. Gli «eroi» di D'Alembert erano invece
Copernico, Keplero, Newton e, defilato ma presente, Locke. Lagrange,
nella Mécanique analityque (1788), suggeriva che il compito
dello storico della scienza deve essere anche quello di mettere in
risalto lo scarto fra gli avanzamenti del sapere e le nuove
possibilità offerte alla ricerca. Solo Delambre, nella sua Storia
della Astronomia, mette in discussione il modello di D'Alembert.
Non a caso la sua opera non vuole essere uno schizzo, o
un'interpretazione, ma un repertorio storico. E non a caso inizia il
suo racconto storico dai Greci e, come Keplero, considera
l'astrologia non la nemica, ma la madre dell'astronomia. Copernico e
Keplero sono i pilastri della sua trattazione, mentre Descartes è
trattato con freddezza.
Il modello ermeneutico
di D'Alembert rimase comunque egemone, ed esercitò una netta
influenza sui testi storico-scientifici coevi. Ma, come si ricordava
all'inizio, il convegno ha messo in luce anche il modo in cui la
Rivoluzione ordinò, materialmente, il mondo della ricerca
scientifica. Citando D'Alembert, Robespierre osservava che, pur
avendo combattuto memorabili battaglie contro il clero, aveva pur
sempre rinsaldato il potere del re, e le benemerenze acquistate
durante l'Ancien Regime non potevano essere considerate valide nelle
mutate condizioni. Si capisce bene pertanto come solo dopo il
Termidoro e la caduta di Robespierre fu istituita una serie di grandi
strutture scientifiche ed educative.
L'Institut de France, che
ne era il culmine, fu fondato nel 1795, come 1' École Normale e
l'École polytechnique. Ciò che cambiò radicalmente, e al convegno
lo ha messo in luce Roger Hahn, fu la situazione degli scienziati. La
ricerca si configurò, nelle nuove strutture educative e
scientifiche, come una professione e un impiego a tempi pieno e
retribuito, al quale si accede dopo un periodo di formazione.
All'Ecolé polytechnique si entrava per concorso. Il curriculum aveva
al centro l'insegnamento della matematica, seguito da quelli di
fisica e di chimica. Agli scopi più strettamente professionali
provvedevano, al termine del ciclo di studi, e dopo un finale, le
écoles de application o di servizio pubblico dedicate ai
ponti e alle strade, alle miniere, alla geografia, al genio militare,
all'artiglieria, all'ingegneria navale. In questo senso mutò la
domanda culturale rivolta alle Accademie.
Robert Fox, che ha
studiato l'attività scientifica svolta dalle Accademie negli ultimi
cinque anni dell'Ancien Regime e nei primi cinque successivi alla
rivoluzione, ha osservato un progressivo mutare di indirizzi, un
irrobustimento della spinta alla specializzazione del sapere. Fa
eccezione solo la mirabile Accademia Linneiana di Bordeaux, isola di
attento studio, impermeabile agli avvenimenti storici. Con Napoleone
gli scienziati furono utilizzati per scopi politici e militari.
Il patrocinio offerto da
Napoleone alla scienza fu oltremodo generoso. Mentre il regime
napoleonico evolveva verso forme di autocrazia, la relativa
indipendenza personale dell'uomo di scienza venne progressivamente
ridotta. Quando, nel 1803, Napoleone impose una ristrutturazione
all'Institut de France, se ne servì come di una copertura per ciò
che veramente lo interessava: l'eliminazione della classe di scienze
morali e politiche ove si annidavano gli ideologues, che erano
i suoi critici più aspri e irriducibili.
“il manifesto”,
ritaglio senza data, ma maggio 1989
Nessun commento:
Posta un commento