11.4.15

“Dì, che vai tu cercando?”. Ser Brunetto e il Tesoretto (Maria Corti)

Al pubblico italiano la figura di Brunetto Latini è in genere nota per il canto XV dell'Inferno, dove Dante, descrivendo l'incontro nel cerchio dei sodomiti con il grande intellettuale della Firenze del Duecento, mette in bocca a se stesso personaggio della Commedia la splendida interrogazione: "Siete voi qui, ser Brunetto?". Drammatico stupore, reverenza, cui segue da parte di Brunetto analoga tensione, che si manifesta in una amara profezia politica di colui che fu esule a colui che lo sarà.
Ma il desiderio dantesco di rendere grazie e dare prestigio al maestro è così sicuro, diretto e intenso da fargli ricordare "la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m'insegnavate come l'uom s'etterna". Se oggi è del tutto improbabile pensare, come pensava De Sanctis, che senza l'episodio dantesco noi non sapremmo nulla di Brunetti Latini, va tuttavia detto che spesso Dante fu stimolo e guida per operare riconoscimenti e ritocchi nelle prospettive storiche. Ben significativo d'altronde il giudizio su Brunetto del cronista trecentesco Giovanni Villani: "egli fu cominciatore e maestro in digrossare i fiorentini, e farli scorti in bene parlare e in sapere giudicare, e reggere la nostra repubblica secondo la politica".
Un intellettuale anche socialmente e politicamente attivo, dunque, e un grande operatore culturale, che da un lato diede un respiro operatore culturale, che da un lato diede un respiro europeo alla cultura fiorentina e dall' altro estese mirabilmente l'area del pubblico in quanto usò nei suoi scritti i volgari francese e italiano, leggibili non solo dai "chierici" esperti di latino, ma dai laici quali i mercanti, i finanzieri, i signori, quel pubblico che Dante da par suo descrisse nel I trattato del Convivio come destinatario prescelto della propria divulgazione scientifica. Ben venuta quindi oggi la stampa nella Bur de Il Tesoretto di Brunetto Latini con introduzione e note di Marcello Ciccuto; per così dire benvenuta la divulgazione attraverso una collana economica di un'opera che fu proprio concepita come enciclopedia scientifico-etica in versi settenari a rima baciata, divulgativa di un certo sapere di allora. L'edizione è assai utile perché Ciccuto ha fatto seguire alla sua precisa introduzione con cenni biografici una antologia di giudizi critici dei più validi studiosi sull'argomento, una premessa filologica al testo, una vasta bibliografia e infine un testo commentato.
A voler interpretare il ruolo di Brunetto nella cultura del suo tempo divengono illuminanti alcuni dati biografici: inviato dal Comune di Firenze come ambasciatore in Spagna presso Alfonso X di Castiglia, mentre era sulla via del ritorno apprese la notizia della sconfitta dei guelfi fiorentini a Montaperti (1260) sicché decise di fermarsi in Francia: è lui stesso a raccontarlo proprio nel Tesoretto, ai versi 123-162. Il destino di un uomo, si sa, a volte va a ficcarsi nelle pieghe più impensate della Storia: ed ecco che fu proprio il forzato esilio a far sì che Brunetto si avvicinasse agli ambienti della cultura francese e, muovendosi fra Arras, Parigi e Bar-sur-Aube, sommasse una nuova esperienza a quella certo già feconda della corte di Alfonso il Savio. In Francia, libero da impegni politici e protetto da un ricco amico, ebbe la possibilità di ideare un'operazione altamente divulgativa in chiave pragmatistica: volgarizzando nella Retorica il De inventione di Cicerone e commentandolo egli cercò di insegnare alla borghesia toscana l'arte del discorso pubblico all'interno della vita politica comunale, basandosi sul fatto che il saper parlare con intelligenza e arte è strumento di governo. C'è una suggestiva pagina della Retorica dove Brunetto afferma come l'oratore "che vuole smuovere parole e vittoriose... E se la condizione richieda che debbia parlamentare a cavallo, sì dee elli avere cavallo di grande rigoglio sì che quando il segnore parla il suo cavallo gridi e razzi la terra col piede e levi la polvere e soffi per le nari e faccia tutta romire la piazza...".
Gli stessi intenti di pubblica didattica si incontrano nel Tesoretto: "E 'l detto sia soave, / e guarda non sia grave / in dir ne' reggimenti, / ché non può a le genti / far più gravosa noia: / ... / e chi non ha misura, / se fa 'l ben sì l' oscura". E altrove avverte che "non retorna mai / la parola ch'è detta, / sì come la saetta / che va e non ritorna". E anche qui una grande attenzione alle mosse del cavallo nelle vie della città (vv. 1803-1818).
Il soggiorno in Francia non solo acuì l'attenzione verso le regole di "cortesia e gentilezza", di cui è disseminato il Tesoretto, ma verso l'avanguardia parigina, come ben rilevò Francesco Mazzoni: "è insomma al Latini, in quanto conoscitore e divulgatore della recente cultura transalpina, apertissimo verso l'enciclopedismo didattico di ascendenza francese, e volgarizzazione professionale, che noi dobbiamo, io ritengo, la diffusione della Rose (cioè il Roman de la Rose) nella Firenze d' allora". E Dante, attentissimo in ogni campo al nuovo, avrà davanti a sé il Roman de la Rose nel comporre il Fiore così come il Tesoretto nel comporre il Detto d'Amore. Il Tesoretto ha lo stesso impianto laico del Tresor di Brunetto, prima enciclopedia in volgare, scritta in francese, e si rivolge specificatamente alla parte più viva e attiva della democrazia comunale fiorentina. Perciò l'autore, nel descrivere un viaggio visionario a contatto con la Natura, la Filosofia e le varie personificazioni della tradizione, fra cui Amore, passa veloce sulla creazione del mondo (terra, pianeti, stelle, marin fiumi, animali ecc.) per soffermarsi nei territori dell'umano: le virtù cardinali, le aristoteliche, i vizi corrispondenti, le norme di comportamento (buone compagnie, nobiltà d'animo e non di sangue, lealtà verso il Comune ecc.) e le regole della retorica o arte del parlar bene. L'opera, giunta a noi interrotta al v. 2944, si chiude per noi sulla Penetenza: lo scrittore, arrivato a Montpellier, va dai frati e carico di un senso di insoddisfazione di sé e della vita si confessa; a noi naturalmente più interessano le cause di questa insoddisfazione che l'atto del confessarsi, sicché estraiamo dal Tesoretto una frase o due e le proponiamo come oggetto di riflessione al lettore: "Non sai tu che lo mondo, / si poria dir non-mondo, / considerando quanto / ci ha no-mondezza e pianto? / Che truovi tu che vaglia? / ... / Dì, che vai tu cercando? / Già non sal' ora e quando / ven quella che ti porta, / quella che non comporta / oficio o dignitate: / ... / Adunque, omo, che fai?".


“la Repubblica”,19 giugno 1985  

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