Al pubblico italiano la
figura di Brunetto Latini è in genere nota per il canto XV
dell'Inferno, dove Dante, descrivendo l'incontro nel cerchio
dei sodomiti con il grande intellettuale della Firenze del Duecento,
mette in bocca a se stesso personaggio della Commedia la
splendida interrogazione: "Siete voi qui, ser Brunetto?".
Drammatico stupore, reverenza, cui segue da parte di Brunetto analoga
tensione, che si manifesta in una amara profezia politica di colui
che fu esule a colui che lo sarà.
Ma il desiderio dantesco
di rendere grazie e dare prestigio al maestro è così sicuro,
diretto e intenso da fargli ricordare "la cara e buona imagine
paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m'insegnavate come
l'uom s'etterna". Se oggi è del tutto improbabile pensare, come
pensava De Sanctis, che senza l'episodio dantesco noi non sapremmo
nulla di Brunetti Latini, va tuttavia detto che spesso Dante fu
stimolo e guida per operare riconoscimenti e ritocchi nelle
prospettive storiche. Ben significativo d'altronde il giudizio su
Brunetto del cronista trecentesco Giovanni Villani: "egli fu
cominciatore e maestro in digrossare i fiorentini, e farli scorti in
bene parlare e in sapere giudicare, e reggere la nostra repubblica
secondo la politica".
Un intellettuale anche
socialmente e politicamente attivo, dunque, e un grande operatore
culturale, che da un lato diede un respiro operatore culturale, che
da un lato diede un respiro europeo alla cultura fiorentina e dall'
altro estese mirabilmente l'area del pubblico in quanto usò nei suoi
scritti i volgari francese e italiano, leggibili non solo dai
"chierici" esperti di latino, ma dai laici quali i
mercanti, i finanzieri, i signori, quel pubblico che Dante da par suo
descrisse nel I trattato del Convivio come destinatario prescelto
della propria divulgazione scientifica. Ben venuta quindi oggi la
stampa nella Bur de Il Tesoretto di Brunetto Latini con
introduzione e note di Marcello Ciccuto; per così dire benvenuta la
divulgazione attraverso una collana economica di un'opera che fu
proprio concepita come enciclopedia scientifico-etica in versi
settenari a rima baciata, divulgativa di un certo sapere di allora.
L'edizione è assai utile perché Ciccuto ha fatto seguire alla sua
precisa introduzione con cenni biografici una antologia di giudizi
critici dei più validi studiosi sull'argomento, una premessa
filologica al testo, una vasta bibliografia e infine un testo
commentato.
A voler interpretare il
ruolo di Brunetto nella cultura del suo tempo divengono illuminanti
alcuni dati biografici: inviato dal Comune di Firenze come
ambasciatore in Spagna presso Alfonso X di Castiglia, mentre era
sulla via del ritorno apprese la notizia della sconfitta dei guelfi
fiorentini a Montaperti (1260) sicché decise di fermarsi in Francia:
è lui stesso a raccontarlo proprio nel Tesoretto, ai versi 123-162.
Il destino di un uomo, si sa, a volte va a ficcarsi nelle pieghe più
impensate della Storia: ed ecco che fu proprio il forzato esilio a
far sì che Brunetto si avvicinasse agli ambienti della cultura
francese e, muovendosi fra Arras, Parigi e Bar-sur-Aube, sommasse una
nuova esperienza a quella certo già feconda della corte di Alfonso
il Savio. In Francia, libero da impegni politici e protetto da un
ricco amico, ebbe la possibilità di ideare un'operazione altamente
divulgativa in chiave pragmatistica: volgarizzando nella Retorica
il De inventione di Cicerone e commentandolo egli cercò di
insegnare alla borghesia toscana l'arte del discorso pubblico
all'interno della vita politica comunale, basandosi sul fatto che il
saper parlare con intelligenza e arte è strumento di governo. C'è
una suggestiva pagina della Retorica dove Brunetto afferma
come l'oratore "che vuole smuovere parole e vittoriose... E se
la condizione richieda che debbia parlamentare a cavallo, sì dee
elli avere cavallo di grande rigoglio sì che quando il segnore parla
il suo cavallo gridi e razzi la terra col piede e levi la polvere e
soffi per le nari e faccia tutta romire la piazza...".
Gli stessi intenti di
pubblica didattica si incontrano nel Tesoretto: "E 'l
detto sia soave, / e guarda non sia grave / in dir ne' reggimenti, /
ché non può a le genti / far più gravosa noia: / ... / e chi non
ha misura, / se fa 'l ben sì l' oscura". E altrove avverte che
"non retorna mai / la parola ch'è detta, / sì come la saetta /
che va e non ritorna". E anche qui una grande attenzione alle
mosse del cavallo nelle vie della città (vv. 1803-1818).
Il soggiorno in Francia
non solo acuì l'attenzione verso le regole di "cortesia e
gentilezza", di cui è disseminato il Tesoretto, ma verso
l'avanguardia parigina, come ben rilevò Francesco Mazzoni: "è
insomma al Latini, in quanto conoscitore e divulgatore della recente
cultura transalpina, apertissimo verso l'enciclopedismo didattico di
ascendenza francese, e volgarizzazione professionale, che noi
dobbiamo, io ritengo, la diffusione della Rose (cioè il Roman
de la Rose) nella Firenze d' allora". E Dante, attentissimo in
ogni campo al nuovo, avrà davanti a sé il Roman de la Rose
nel comporre il Fiore così come il Tesoretto nel
comporre il Detto d'Amore. Il Tesoretto ha lo stesso
impianto laico del Tresor di Brunetto, prima enciclopedia in
volgare, scritta in francese, e si rivolge specificatamente alla
parte più viva e attiva della democrazia comunale fiorentina. Perciò
l'autore, nel descrivere un viaggio visionario a contatto con la
Natura, la Filosofia e le varie personificazioni della tradizione,
fra cui Amore, passa veloce sulla creazione del mondo (terra,
pianeti, stelle, marin fiumi, animali ecc.) per soffermarsi nei
territori dell'umano: le virtù cardinali, le aristoteliche, i vizi
corrispondenti, le norme di comportamento (buone compagnie, nobiltà
d'animo e non di sangue, lealtà verso il Comune ecc.) e le regole
della retorica o arte del parlar bene. L'opera, giunta a noi
interrotta al v. 2944, si chiude per noi sulla Penetenza: lo
scrittore, arrivato a Montpellier, va dai frati e carico di un senso
di insoddisfazione di sé e della vita si confessa; a noi
naturalmente più interessano le cause di questa insoddisfazione che
l'atto del confessarsi, sicché estraiamo dal Tesoretto una frase o
due e le proponiamo come oggetto di riflessione al lettore: "Non
sai tu che lo mondo, / si poria dir non-mondo, / considerando quanto
/ ci ha no-mondezza e pianto? / Che truovi tu che vaglia? / ... / Dì,
che vai tu cercando? / Già non sal' ora e quando / ven quella che ti
porta, / quella che non comporta / oficio o dignitate: / ... /
Adunque, omo, che fai?".
“la Repubblica”,19
giugno 1985
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