7.4.15

Le occasioni di Umberto Eco (Roberto Gilodi)

Questi scritti occasionali di Umberto Eco (Costruire il nemico, Bompiani, pp. 334, € 18,50) raccolgono interventi e testi pubblicati negli ultimi dieci anni. Le occasioni sono le più diverse e così pure gli argomenti: la costruzione immaginaria del nemico; la contrapposizione di assoluto e relativo; i diversi significati del fuoco dall’arte al misticismo all’alchimia; la misteriosa archeologia bibliografica di Piero Camporesi; la nascita del Gruppo 63; le astronomie immaginarie; le riflessioni in margine alla vicenda di WikiLeaks, eccetera.
Scritti minori? Eco ha, fra i suoi numerosi meriti, quello di avere dimostrato i limiti delle assiologie tradizionali, soprattutto quelle critico-letterarie. Ci ha dimostrato che il «minore» può essere, da certi punti di vista «il maggiore», e viceversa. I testi qui raccolti, a prescindere dal tema, rivelano una qualità specifica, per altro ben nota, del loro autore: la curiositas teorica, che Hans Blumenberg ascrive alla Modernità delle origini e che in Eco si manifesta come esercizio di irriverenza intellettuale. Da questa prospettiva l’occasione è un fattore costitutivo della sua ricerca, strettamente legato alla disponibilità a lasciarsi sorprendere, a provare il sentimento della meraviglia, lo stupore della scoperta – sia essa intellettuale, archivistica o storica.
Fra le pagine più belle c’è il ricordo di Camporesi, amico e collega bolognese, infaticabile ricercatore di elaborazioni mitopoietiche della cultura materiale: cibo, corpo, sensi, sangue, escrementi. Camporesi, scopritore di testi ignorati dalla cultura ufficiale, è per Eco soprattutto un «gourmet d’elenchi» da cui si sprigiona «la spudorata ghiottoneria con cui descrive deliziato la mensa miserabile e miseranda di santi penitenti». La conferenza tenuta a Bologna per il quarantennale del Gruppo 63 è una rievocazione per nulla nostalgica (la nostalgia non sembra appartenere a Eco) che si concentra al contrario sulle origini del movimento – in principio era «il Verri» di Anceschi – e sulle motivazioni profonde dei suoi animatori: «le persone convenute a Palermo erano accomunate sia da una volontà di sperimentazione che da un’esigenza di dialogo rissoso, senza pietà e senza infingimenti». Eco non lo dice, per undestatement o forse perché l’occasione non lo consentiva, ma è difficile non vedere la distanza siderale di quelle battaglie con l’apatico silenzio della critica attuale.
Infine, vera perla l’inedito su Hugo, che dà veste unitaria a precedenti interventi scritti e orali. Hugo pratica l’eccesso, è animato da un furore dionisiaco, la sua scrittura raggiunge il sublime perché amplifica i contorni del reale, la rappresentazione del brutto: «Il deforme non è soltanto una forma di male che si oppone al bello e al bene, è esso stesso strategia di una atroce e non voluta modestia...». Se la bruttezza è il connotato primario della Modernità, come sapevano Hegel, Goethe e i romantici, e come profetizzarono le tre streghe del Macbeth, darne rappresentazione letteraria non era abdicare alle ragioni dell’arte ma, al contrario, scoprire nel brutto il bello. Un rovesciamento dialettico, sfuggito a Gide e a Cocteau, manon all’acribia filosofica di Eco.


ALIAS IL MANIFESTO - 22 OTTOBRE 2011  

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