5.6.10

Pedofilia clericale (di Ezio Tarantino)

La testimonianza qui postata è la prima parte di un'ampia ricognizione sul tema dal titolo "De delictis gravioribus" . La si trova nel sito "La poesia e lo spirito".

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Io li ho visti all’opera.

Buoni, onesti, pastori disinteressati, generosi e fedeli.

Ma, al dunque, deboli, chiusi nel loro fortino assediato dagli indiani. Inadatti, terrorizzati, umiliati, arroganti.

All’epoca dei fatti (circa quindici anni fa) ero membro del Consiglio pastorale, l’organo consultivo all’interno del quale le varie componenti laiche e religiose discutono delle questioni riguardanti la comunità parrocchiale.

Eppure io non mi accorsi di nulla. Le voci circolavano, ma io lo seppi dopo. Io scoprii tutto, o quasi, a cose fatte.

Don X era scappato nella notte, di lunedì, senza che la domenica, a Messa dicesse una sola parola, neppure usando un codice trasversale perché qualcuno potesse intuire. Niente.

Su di lui cadde istantaneamente la mannaia (autoconservativa) dell’oblio. Di lui non si parlò più, in pubblico, men che meno nel Consiglio pastorale. Per il bene della comunità, naturalmente. Ad oggi, a dirla tutta, non so neppure bene quali fossero le accuse che alcuni parrocchiani gli rivolsero, e per le quali minacciarono (se non ricordo male) di rivolgersi ai carabinieri (motivo della fuga notturna).

Quello che si raccontò a mezza voce fu abbastanza, ma non abbastanza. L’omertà affumicò come la cenere del vulcano l’intera comunità. Il suo peccato svanì con lui quella notte, e di lui non ci restò che una lettera affissa nel portone della chiesa, nella quale ci prometteva di portarci tutti con lui, nelle preghiere.

Non ci faremo processare, dissero i vertici dell’Ordine religioso cui apparteneva. Come Moro, in parlamento. E tantomeno non permetteremo che si processi don X in contumacia, disse il Padre superiore al Consiglio pastorale. Così chi non sapeva continuò a non sapere; chi gli voleva bene rimase nel guado del dubbio, del sospetto. Chi sapeva si chiuse nel dolore privato. La comunità giovanile della parrocchia si sciolse, scomparvero come soffiati via, cancellati con un tratto di penna avvelenata (giovani dalla fede immatura, legata non alla forza della Verità, ma al carisma di un uomo? Certo. Il problema stava proprio qui).

Ovvio che non era di questo che si trattava. Si trattava di responsabilizzare l’intera comunità, farla crescere attorno al proprio dramma (che evidentemente ci fu, a prescindere da quello che veramente accadde), che invece si preferì seppellire, come un tabù. Quello che chiedevamo era esattamente quello di cui parla oggi Enzo Bianchi: “Andrebbe inoltre riscoperta una dimensione propria del messaggio biblico riguardo alle confessioni dei peccati fatte pubblicamente dai responsabili del popolo dei credenti, confessioni in cui appare la coscienza che tutti sono responsabili gli uni degli altri. “Responsabili” non significa “colpevoli”: i figli non sono colpevoli del peccato dei padri, nessuna pena può essere loro comminata per quanto non hanno commesso, e tuttavia ne devono “rispondere”, devono assumerne le conseguenze, per potersi dire ancora figli e per essere credibili come padri”.

Le cose andarono diversamente. Oggi qualcuno di quegli uomini buoni e deboli non c’è più e mi dispiace. Don X fu assegnato ad un’altra parrocchia. Di cui oggi è parroco.

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